Mi chiamo Daniela, moglie e amministratrice di sostegno di Roberto, divenuto da 3 anni disabile grave. Durante il lungo percorso riabilitativo il malcapitato Roberto veniva condannato ad obblighi contrari al buon senso ed alle più ragionevoli condizioni di equità giuridica. Trattasi di una causa nata nel 2006, indetta dalla ex compagna (dalla sindrome di Medea) e madre del figlio riconosciuto, cresciuto ed amato; (finché era in salute) svolta poi nel Luglio 2008 (quando del precedente Roberto non vi era più nulla, se non la forza di respirare meccanicamente) nella quale veniva condannato poiché da circa 2 anni aveva omesso di rivalutare il bonifico di mantenimento al figlio. Ebbe inizio un nuovo calvario, di nuovo vittime inermi, ma da una giustizia e la sua esecutività, in grado di determinare un effetto gravemente pregiudizievole per Roberto e la sua nuova realtà di vita; per poi percepire il concetto discriminatorio che “invalido è sinonimo di parassita”. Avvalendosi (la contro parte) di mezzi così subdoli e calunniatori pur di prevalere ed apparire in sede di udienza parti lese e vittime; ma la realtà è ben altra, questo è il frutto della strategia processuale, ogni accusa, vera o falsa che sia, è lecita, con buona pace della deontologia professionale. Partendo in esame con falsi accertamenti su Roberto, dipingendolo come un bancarottiere, avallati da stolti giudici incapaci di leggere e accertare quanto dichiarato. Stabilendo un minimo aumento per l’assegno alimentare al figlio, paradossalmente fin quando era nel pieno delle Sue capacità! Mentre a partire dal suo “prepensionamento per lievi motivi di salute”, l’aumento cresceva notevolmente, perché in grado di procurarsi dell’altro per vivere, includendo arretrate e rivalutate esose spese extra per le attuali e dovute esigenze di vita del figlio (22enne) . Se il dovere di mantenimento in favore dei figli non economicamente autosufficienti ancorché maggiorenni, deve essere commisurato ai redditi, alla consistenza del patrimonio ed alla idoneità lavorativa e professionale dei genitori; “come possono dei Giudici non tener conto di una oggettiva premessa di modifica”? Ho sempre creduto si trattasse di un grave malinteso, convinta poi, fosse l’esito dell’inadeguatezza e dell’incuria di chi avrebbe dovuto assisterlo legalmente, contestandogli di non aver mai preso parte a quella udienza, per poi convincermi di ricevere dapprima una “discriminazione indiretta” stabilita in sede presidenziale, apparentemente neutra, mettendo però il vero disagiato e malato in una posizione di svantaggio, intimandolo e degradandolo contro la prepotenza di chi abusa di un potere inattacabile.. È apparso contraddittorio rimettere la decisione al collegio ove la lite insorse, o ancora operare una distinzione in nome di un cambiamento ed i suoi marcati effetti negativi. A seconda del momento in cui venne presentata l’Istanza o in cui si pervenne alla sua decisione, malgrado le condizioni di vita e di salute di Roberto erano tragicamente mutate, erano tuttavia state rese note, come si evince dai fascicoli depositati dal precedente legale. Privato di una libertà quotidiana rivolta alle sue cure, esaurita dall’efficacia intimidatoria anche di rapporti di mero ordine economico e privi di una ragionevole giustificazione. Non ricevendo più un meritato anche minimo grado di considerazione dal figlio, se non quello di sentirsi perseguitato nel contendersi già la divisione della propria pensione, invece di impiegarla per garantirgli di passare meglio il resto dei suoi giorni; oltraggiandolo nel pretendere di vendere la casa per liquidarlo. È cresciuta in lui l’insicurezza, la voglia di lasciarsi andare senza più credere alla guarigione, riscontrando sulla propria pelle che quanto più è severa la malattia di un individuo, paradossalmente si resta soli. Emarginati non solo dagli amici o ex colleghi, ai quali la malattia fa “comoda paura”, ma dalla nostra cara società che ti nega il diritto di sentirti tutelato dalla legge o incluso come bisognoso di cure e attenzioni all’interno di una quotidianità che sia il più possibile vissuta dignitosamente, cercando illusoriamente di cancellare il dolore, la morte e tutto ciò che è limitante… ma il valore di una persona, o il grado di felicità, non si misura sui limiti dell’handicap fisico. Abbiamo perso il ricorso! Ha vinto ancora la corruzione degli ideali e delle coscienze. Spero con questa mia lunga missiva di poter ricevere un aiuto valido ad un estremo e infelice residuo di lealtà da due persone invisibili come noi, Daniela e Roberto.
Vittime di un sistema giuridico discriminante per veri disabili
di
robindan
Lettera pubblicata il 23 Febbraio 2011. L'autore, robindan, ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Buongiorno Daniela.
E’ molto difficile poter commentare questa tua lettera senza cadere nella trappola di un mediocre uso delle parole e di abusati concetti di comprensione verso il prossimo che spesso lasciano, in chi li riceve, quel retrogusto amaro di sentirsi beffato dalle impermeabili coscienze della gente.
Certamente anche a me vengono spontanee delle considerazioni, alcune banali altre più profonde.
La prima riflessione è quella sugli avvocati che hanno seguito il caso. L’immagine che ne traspare è quella di alcuni Azzeccagarbugli che non hanno preso ‘a cuore’ la situazione, limitandosi al loro compitino legale per essere poi, immagino, comunque ben pagati.
Ma in tutto quello che scrivi la cosa che mi colpisce di più, e che sicuramente avrà segnato profondamente nell’animo anche il tuo Roberto, è l’atteggiamento del figlio che, a quanto capisco, cerca di ottenere quanto più possibile ora, quando il padre è ancora in vita.
Un domani forse dovrebbe poi dividerlo…. con te.
Essere ‘traditi’ da un figlio penso sia una delle cose più laceranti e devastanti che si possa provare. Gli ex colleghi, gli amici…i presunti amici…piano piano si allontanano. Ma la vera amicizia, si sa, non è cosa comune.
Ma un figlio…da un figlio no. E’ inaccettabile. Inconcepibile che un ragazzo di 22 anni, anche se certamente ‘spinto’ da una madre infame, invece di assistere il papà e rendergli meno faticose le ore passate in compagnia di una malattia devastante, pensi a quanto possa subito economicamente ottenere.
In questo tuo scritto c’è solo una cosa altamente positiva che mi resta dentro e per la quale il tuo Roberto può essere addirittura invidiato: il tuo amore verso di lui.
Avere accanto una persona dalla quale sentirsi amato in una maniera così grande credo sia, soprattutto nella malattia, altamente confortante.
Che dire ancora. Oltre queste poche parole non so darvi altro.
Posso solo inviarvi un forte e sentito abbraccio, e augurarvi quella serenità e quella giustizia finora con voi avare.