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Lettera pubblicata il 6 Dicembre 2010. L'autore ha condiviso 2 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore uqbardeva.
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Maria Grazia, concordo con il post da te riportato di Cox2. Tuttavia, mi pare di capire che ne diamo lettura un po’ diversa.
Cox2 scrive: “Il concetto di famiglia, e con esso quello di monogamia che è subentrato nel corso della nostra evoluzione, che in quest’epoca viene sempre più demonizzato e bistrattato, è frutto di una scelta razionale, più che istintiva, da fare tra persone mature e consapevoli. Ci siamo dimenticati di tutto questo: ci si sposa più per convenzione sociale, per ottenere uno status, che per reale presa di coscienza. Così il matrimonio, anziché essere habitat di scambio, confronto e condivisione, diventa gabbia, da cui alla fine si vuole solo scappare…..”.
Non dice affatto che le persone non si dovrebbero sposare, ma che (OGGI) si sposano con sempre meno consapevolezza (di sé, dell’altro e di ciò che si sta/stava facendo), cosa che si può riscontrare, ampiamente, in ogni altro ambito della vita. Ergo: il matrimonio DIVIENE una gabbia. Ma come il resto, eh. E non diviene una gabbia, guarda caso, in chi ha un matrimonio soddisfacente (e le premesse, perché ciò accada, sono appunto la maturità, la consapevolezza, di conseguenza la consapevolezza dei PROPRI sentimenti e di ciò che si sta facendo: si sta facendo, si spera, ciò che SI DESIDERA, che ci dà FELICITA’, gioia, godimento, realizzazione).
La gabbia, insomma, Maria Grazia, SIAMO NOI, in caso. Ce la creiamo noi. E non è *insita* NEL matrimonio in sé. Tanto è vero che la profondissima insoddisfazione, diffusa, vale per tutti gli “incasinati” di questa terra: single, conviventi, semiconviventi eccetera.
Riguardo al “cambiamento” di cui tu parli. Ora, siccome tu sei l’AVANGUARDIA da quando, presumo, avevi cinque anni, non puoi pretendere che gli altri si adeguino, così, al volo, dopo secoli, come sai fare tu : )
Quindi, tolta te, ti dico: il “cambiamento”? Ma quale, ma dove? Torno al discorso della pubblicità: si sono CREATI AD ARTE, desideri impossibili, finti, irrealistici, “lontani”, che nulla hanno a che fare con gli esseri “umani”, CONDANNANDOLI alla perenne insoddisfazone e INFELICITA’. Arrivo a dirti anche a una infelicità “costruita”, inesistente, ma tuttavia, alla fine, esistente eccome. Esempi? Un bambino, buttato alla TV e ai videogiochi, rincoglionito, “incantato”. Prendilo, e portalo fuori o in gita: e vedi che è UN ALTRO. E gli torna subito IL SORRISO. Si RIANIMA. Come se prima fosse morto e ora vivo.
Caro M, la famosa frase di De Medici piace anche a me.
Ed ho imparato ad applicarla nella vita.
Ma oltre a vivere il presente, soprattutto perché, caro M, si può morire anche domani, ho imparato a dare certezze. Se ti dico che domani alle otto ti passo a prendere in macchina, cascasse il mondo li faccio.
Poi se capita un evento imponderabile che mi impedisce di farlo non dipende da me.
I cavalli buoni si vedono a fine corsa? Si vero. Lo dico sempre ad ogni inizio del campionato di calcio.
Infatti caro amico, come ho già scritto, non ho mai detto che sarei arrivato a fine corsa. Una sola volta nella vita. Ma avevo un cuore imbattibile e correva soli per una persona.
Le ipotesi si fanno quando non si conoscono le questioni. E allora si ipotizza che sia andata o che possa andare in un certo modo.
La canzone che ti ho citato non su basa su ipotesi. Quelle le hai volute vedere tu.
Buona giornata.
Buongiorno a Tutti.
Ciao M. Nel “panta rei” ci ritroviamo tutti, volenti o nolenti, la differenza la fa solo la visuale nella quale ci si ritrova soggettivamente. Ma contrariamente a quello che appare, non è il tempo a passare, ma noi, amori compresi.
Basta vedere la modesta (in termini numerici) platea di partecipanti a questo forum, quante variegate opinioni esprime rispetto al medesimo episodio.
Wilde ha creato e citato migliaia aforismi, mai banali, spesso in contrasto tra loro ma non credo che li abbia applicati alla lettera alla sua way of life. La sua vita è l’esempio della creatività artistica, non della coerenza, e a noi piace per questo, perchè ha vissuto sotto la spinta delle emozioni e della sua sensibilità, che lo ha portato ad esserne vittima, per l’intensità dei piacere e dei dolori che ha provato, che venivano amplificati dal suo genio artistico, appunto. Non era un cinico, gli sarebbe piaciuto poterlo essere in certi momenti, questo sì, ma non c’è mai riuscito. E la dimostrazione è la qualità e l’intensità delle sue opere. Il cinico lo è costituzionalmente non si accorge neanche della differenza, e lui non aveva quella costituzione, come mi pare non l’abbia tu, che con le tue dichiarazioni appari più epicureo: ti accontenti e godi di quello che viene ( letto sempre nella accezione originale).
Caro M. non so se ho vissuto amori alla Moccia, che conosco appena per motivi generazionali, ho vissuto tragedie certamente, una sicuramente. Ho conosciuto anche stronze, una sicuramente, e il passare degli anni mi ha attenuato la spinta idealistica verso la manifestazione amorosa, riconoscendo in questa l’ormai stracitata spinta fisiologica di cui spesso parlo. Ma un bel giorno, serenamente rassegnato ad accontentarmi di quanto la vita mi offriva, ebbi la fortuna di incontrare la donna che ano da oltre vent’anni, e in lei ho visto finalmente la “mia” immagine riflessa nella maniera che mi piaceva. Quella è stata per me la maturazione di cui parli: aver trovato la famosa anima gemella. Mi sono reso conto solo con lei di quanto certe emozioni siano funzionali solo ad uno scopo, che con l’amore vero hanno poco o nulla a che vedere, ma che vengono chiamate amore per le sovrastrutture morali che nei secoli ne hanno deciso la collocazione etica.
Trovo difficile spiegare compiutamente la differenza, non essendo possibile trasmettere comprensibilmente tutte le sensazioni che mi hanno portato a questa conclusione, e l’esempio più vicino >>>
>>> è quello del cieco e dei colori. Da cieco, quale ero mio malgrado, se mi avessero parlato dell’arcobaleno avrei risposto che non esiste, perchè per me esisteva solo il nero. Lo so è difficile e incompleta come spiegazione, ma il senso è quello.
Maria Grazia, ancora. Poi ora ti posso spostare il tutto su un piano CONCRETO: quante volte pensi che un essere umano, in una vita media di settanta anni, possa COSTRUIRSI una vita? Che significa un tetto sulla testa, una famiglia (se la desidera: come la maggioranza la desidera, e finiamola, per cortesia, con ‘sta storia che la donna vuole il tetto sulla testa, il matrimonio, il bambino, le garanzie, e l’uomo invece no… Dai, su…). Quante? Dieci, dodici, quante?
Insieme a ciò, in parallelo, si è distrutta una INTERA ECONOMIA. Sfugge questo?
Quanti lavori crediamo che una persona possa svolgere in vita sua? Io a quaranta, di miei, ne ho contati cinquanta. E ora sono FINITA, distrutta. E lo dico con una certa “serenità”, diciamo. I ventenni, tantissimi, si sentono distrutti, finiti, ORA.
Hanno l’esaurimento nervoso a venti anni. Io ho iniziato a sentirmi, essere, esaurita, a quaranta.
Rossana, ti ringrazio tantissimo. All’inizio la tua risposta era molto soddisfacente per me. Dopo invece, trattandosi di cose molto complesse, mi sono ripersa (sono anche molto stanca mentalmente, questo va detto ed è un limite tutto mio, vorrei precisare) e ora sono più confusa.
Provo allora a tornarci un attimo. Uno o una che ha un trauma incurabile, come lo manifesta? Posso dire, per esempio, che inizio a vedere come se avesse PIU’ PERSONALITA’. Cambia continuamente IDEA, obiettivo, umore, sentimenti…?
Oppure viaggia tipo a “compartimenti stagni”. E’ come se, in base alla situazione, all’ambiente, sotto un apperente “adattarsi”, diviene completamente diverso: perciò se è al lavoro diventa uno squalo… Se è con gli amici fa il divertente e il “calmo” e sicuro di sé… Se è con la moglie e i figli (o col marito) è ipocrita e si tiene tutto dentro… Non riconosce le SUE emozioni più profondi, i SUOI desideri più profondi, e inizia, talora, segretamente, a domandarsi: ma chi sono? Cosa sto facendo? E poi, poiché è pressato dalla vita e dagli eventi, questo dura poco… E rientra, sempre più, in RUOLI: sa che cosa gli viene chiesto, ed ESEGUE. Ma chi gli sta VERAMENTE accanto capisce che NON C’E’…
Che c’è qualcosa che non va… Che è come se non ci fosse, come se fosse lì, ma fosse altrove.
Giampaolo, tutta la mia comprensione.
Che delirio, ragazzi… Non esistono “valori vecchi” e “valori nuovi”. Esistono (esistevano…) i valori universali.
Che oggi si chiamano: egoismo, opportunismo, individualismo, competizione, ipocrisia, per dirne alcuni.
M.,
mi ha fatto piacere leggere cosa pensi di Wilde, che condivido.
e per ora mi fermo qui…
Verita
Un bacio per i tuoi post 1291 e 1295.
Ma sei vera?
Dove sei che vengo a cercarti ?
Smack!
Buongiorno a tutti!
Giampaolo,
“…ho imparato a dare certezze. Se ti dico che domani alle otto ti passo a prendere in macchina, cascasse il mondo li faccio”.
Credo che tu ed io possiamo essere d’accordo nel notare che il peso di una promessa per un passaggio per l’indomani, ed il peso di una promessa che dipende, in minima parte, da noi, spalmata su una forbice temporale che vada un po’ più in là di un solo giorno, non siano paragonabili.
Golem,
“Ciao M. Nel “panta rei” ci ritroviamo tutti, volenti o nolenti, la differenza la fa solo la visuale nella quale ci si ritrova soggettivamente. Ma contrariamente a quello che appare, non è il tempo a passare, ma noi, amori compresi”.
Ma perché l’amore è atemporale? L’amore è un qualcosa al di fuori dell’essere umano? Noi non facciamo parte del tempo? Se così fosse, allora sarebbe solo il tempo a passare, ma visto che così non è, il tempo si trascina tutto ciò che ne fa parte. Noi compresi.
E’ come una scatola, e la si riempie come meglio si crede.
“Non era un cinico, gli sarebbe piaciuto poterlo essere in certi momenti, questo sì, ma non c’è mai riuscito”.
Oscar Wilde è stato cinico, è stato un non-cinico, ed è stato tante altre cose, volutamente in contrasto tra di loro.
Questo contrasto era consapevole, voluto. Il paradosso non era casuale.
Oscar Wilde sapeva benissimo chi era e cosa voleva essere. Ed anche lui,ha fatto del piacere oggetto di ricerca personale. Come Epicuro. Il piacere come aspirazione di vita, come ricerca continua.
Che male c’è?
Che male c’è a concentrarsi su se stessi, a fare di se stessi degli uomini pieni, appagati? Forse troppa indipendenza destabilizza l’altro/a perché non consente dei punti di manipolazione, non consente di creare dipendenze profonde. Non consente ad altri il pieno controllo su di te, nega l’appartenenza.
Tu dici di essere stato un cieco che ha acquistato la vista grazie ad una donna.
Lo stesso per me.
Era cieco, ed ho acquistato la vista grazie, prima di tutto al percorso che ho fatto su di me, e poi grazie ad una donna.
Mai come in questo periodo sento di appartenere a me stesso. Non ho mai avuto così tanto dominio su di me.
Il dolore provato mi ha permesso di conoscermi profondamente, costringendomi a guardare lati della mia persona che prima non volevo vedere. Quando si raggiunge la consapevolezza che ci si può sempre ricostruire, allora si diventa più impegnativi per certi tipi di persone. Tipi di persone che, sinceramente, io non guardo nemmeno più.
Ciao Rossana,
ho fatto cenno ad Oscar Wilde perché ne avevate parlato, e poi perché è uno dei miei scrittori preferiti.
Cosa pensate di una persona che non fa promesse, e quindi che non si basa sulle parole?
E’, forse, meno rassicurante?
Perché si cerca una sicurezza nelle parole proiettate nel futuro, dimenticandosi i fatti concreti del presente?
Fatti concreti VS promesse, quindi fatti che ancora non si sono concretizzati.
Certezza dell’oggi VS possibilità del domani.
Ciao a tutti
Giampaolo, ancora. Non ho dubbi che se tu dici a un amico domani vengo alle 8, tu l’indomani sei lì alle 8, salvo… Un terremoto. Sai che ti dicono gli amici (spero non i tuoi) oggi? Ti dicono, le rare volte con cui – ormai – ci hai a che fare: “non sentirti sola”, “non sei sola”, “ci vediamo”, “voglio vederti”. Ti salutano, e si fanno risentire, dopo tre mesi, o sei, e ti dicono, come niente fosse (tu avevi detto loro che appunto hai avuto un “terremoto”, ti è successo di tutto, e ti senti poco bene, diciamo… Eh?): “ehi ciao, come va? Che fai di bello?”. E non venitemi, please, a dire, che questa non è FOLLIA. Perché poi ci ritroviamo su Facebook, a tutte le ore, tutti i giorni, e facciamo pure finta di non conoscerci, eh? Su, l’ipocrisia, a certi livelli (come tutte le cose negative: a certi livelli) è sintomo (grave) di “malattia”. Abbiamo tutti i “mezzi” per essere in “contatto”, e invece CI EVITIAMO. E RITNORNIAMO, ben contenti, in CONTATTO, se gli altri vedono che ti è capitato un qualche “successo”. Ti sei sposato? Ti sei innamorato? Hai fatto i soldi? Hai vinto un premio? Hai accettato “sfide” degne di questo nome? Sei salito in cima al monte a cogliere la stella alpina? Sei stato in Africa ad accarezzare il “feroce” (addomesticato…) leone? Hai realizzato opere artistiche e ci hai fatto la mostra? Hai avuto il bellissimo bambino che io non ho avuto? Sei guarito dal cancro dopo due anni che non ti ho chiesto manco come stai? Bene. Allora, amico mio, posso considerarti ORA un amico. E allora sì, ORA posso chiederti “come stai”. E verificato che tu effettivamente hai accarezzato il feroce leone, hai fatto soldi a palate, stai con una “supergnoccaspaziale”, allora sì, forse possiamo andare a prenderci… “L’aperitivo”. Forse ci scapperà pure un bel weekend, perché l’amico ora ha la villa, la terza, in non so quale costa e mi ha “invitato” (e bisognerà pur che io, ORA, appuri se è proprio “vero”, l’invito, e se lui è proprio un “amico”, eh… Sennò… Che bel pezzo di merda, LUI, che era…). Vogliamo continuare così? Benissimo. Perciò, dell’ipocrisia, quando nel letto, solo, ci sarà quello che non ha chiamato l’amico col cancro, quello che se n’è fregato quando TU avevi perso il lavoro, TU avevi perso un figlio giovane, TU avevi un genitore con una malattia devastante, che cosa ci farà, l’ipocrita? Se la porta con sé sul letto d’ospedale, se l’accarezza, che ci fa? E allora sì che l’unica certezza – da vivi – è la morte. Però, son soddisfazioni.