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Due tipi di Invidia

di Marquito
Trovi il testo della lettera a pagina 1.
Lettera pubblicata il 4 Ottobre 2011. L'autore ha condiviso 4 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore .
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La lettera ha ricevuto finora 16 commenti

Pagine: 1 2

  1. 11
    Marquito -

    @ Rossana:
    Ciao. Non ho mai dubitato del fatto che ci siano persone meno inclini all’invidia di altre; ho detto soltanto che l’invidia è un sentimento fra i più umani e fra i più naturali e che soltanto un angelo potrebbe affermare a buon diritto di non averla mai provata. Il mio discorso verteva sulle strategie che vengono messe in atto per arginare questo sentimento doloroso. Ritengo che la razionalizzazione sia la più pericolosa, anche perché comporta una notevole disonestà intellettuale.
    Anche io sono stato in analisi e la mia analista ha riscontrato una curiosa incapacità di rimuovere e di razionalizzare i sentimenti negativi :-))
    Per quanto riguarda l’invidia l’ho conosciuta molto bene quando soffrivo di depressione ed ero praticamente immobilizzato a letto. La depressione mi ha arrecato delle sofferenze indicibili e in quel periodo terribile, lo ammetto senza alcun timore, ho invidiato intensamente le persone che non erano affette da quella malattia invalidante.

  2. 12
    LUNA -

    Ciao 🙂

    Ho trovato molto interessante il post di Marquito, il centro del quale mi sembra piuttosto la gestione delle emozione negative piuttosto che un’apologia delle emozioni negative. Non mi sembra neanche una “tesi” la sua, quanto piuttosto un’interessante osservazione delle dinamiche umane (certamente molto vaste) prendendo degli esempi concreti.
    Che le emozioni “negative” esistano, quanto quelle “buone” mi sembra un dato ovvio.
    Personalmente credo, come Marquito mi pare di capire, che l’ammettere le proprie emozioni negative sia molto più sano che negarle.
    Spesso se accettiamo una nostra emozione negativa, di qualsiasi genere, essa può anche sciogliersi come neve al sole, o dirci come stiamo noi in quel momento. in cosa ci sentiamo stonati con noi stessi o in una situazione, cosa stiamo proiettando all’esterno e offrirci l’occasione per guardarci dentro in modo propositivo.
    Trovo interessante anche l’osservazine che è difficile ammettere l’invidia non solo in quanto sentimento negativo, ma anche/soprattutto per il suo comune significato di “mi sento meno di te in qualcosa che tu hai e io no”. Insomma, l’invidia sarebbe una dimostrazione di mancanza di autostima che eleva l’altro ad una posizione superiore. “Se io ammettessi di invidiare qualcosa che tu hai significherebbe dire che mi sento frustrato rispetto a te”.
    In realtà non è sempre così. A volte significa anche solo: io mi sento frustrato rispetto a me, ma posso essere in grado di capire perché o semplicemente di accettare il mio senso di frustrazione. Anche, in alcuni casi, la mia diversità o accettare ciò che di me non posso cambiare, ma quali siano invece i miei punti di forza.
    Esiste una fase, la pubertà, in cui ad esempio credo che sentimenti di confronto/”invidia” siano molto naturali, e fanno parte in realtà della ricerca/costruzione della propria identità. Gli adolescenti vedono spesso gli altri, in un gioco speculare, come migliori: più alti, più magri, più “formati”, più abili, più sicuri, più loquaci, più spigliati ecc. Spesso questo tipo di “invidia” è assolutamente silente, altre volte si manifesta con chiusura o aggressività.
    Non a caso credo che pochi di noi tornerebbero volentieri ad avere 12 anni, che nelle foto di allora si vedano fighi o sfigati poco importa.
    Non so per quale ragione ci sia lo stereotipo che l’invidia investa sempre qualità materiali o superficiali: l’auto più costosa, il successo, le tette più grosse.
    A parte il fatto che spesso queste sono “proiezioni”, in realtà penso all’esempio della donna che ha difficoltà ad avere figli o sta rielaborando il lutto biologico di non poter averne. E’ abbastanza naturale direi (non è successo a me ma l’ho visto succedere) che, finché costei non ritrova la sua pace, provi una fitta di dolore nel vedere donne incinte, passeggini, madri felici. La sua non è un’invidia cattiva, è il dolore di un desiderio frustrato. Il suo momentaneo “sentirsi meno” non è un sentirsi meno rispetto ad un’amica,

  3. 13
    LUNA -

    una sorella, una sconosciuta con il pancione. Non prova cattiveria nei confronti di donne che in quel momento sono incinte. Prova però una serie di sensazioni molto umane e contrastanti, un tormento che può essere definito negativo in quanto fa male, ma non, in una visione psicanalitica, “giusto o sbagliato”, semmai più o meno funzionale.
    Mi sembra anche naturale, per esempio, nel momento in cui abbiamo un problema di salute o una limitazione fisica, “invidiare” coloro che invece hanno salute e non solo limitati fisicamente. Ciò non significa che non possiamo anche essere contenti per loro e con loro o che vorremmo mettere loro il cianuro nella minestra o che abbiamo un problema di autostima.

    Concordo con Marquito che spesso sono le persone che provano le più accese emozioni di invidia a negarle. Spesso, anzi, la “colpa” o se vogliamo dire meglio la “responsabilità” viene proiettata all’esterno. Poco importa se una persona semplicemente è e non manifesta in una maniera o nell’altra la propria vera o presunta qualità che è oggetto di invidia: la persona dà fastidio, irrita, provoca. Non è nemmeno importante – come sottolineava Rossana, giustamente, ma in caso di invidia “patologica” ciò non ha nessuna importanza – quali problemi, difficoltà possano esserci nella vita di ognuno. Perché quella dell’invidioso è una visione parziale, in macro c’è quella qualità/difetto perché visto come provocazione. Allora può essere anche inventato un “dietro” (sei colpevole, hai certamente qualcosa da nascondere, ecc) o un’accentuazione dei difetti o mancanze (ciò si riscontra spesso nella dinamica distruttiva del mobbing e della molestia morale, ndr, in cui la persona oggetto di molestia diviene colpevole in realtà più per ciò che ha che per ciò che non ha). Spesso la qualità invidiata non viene neppure centrata con onestà – Non mi dà fastidio che tu mi sembri più sereno/felice/risolto/ricco/alto/basso/biondo/amato/facilitato di me: no, ti detesto perché quando metti ad asciugare il tuo bucato le goccie invadono un pezzo del cortile che, secondo i millesimi, è anche mio (per dire). “Non so nemmeno spiegare perché, ma detesto quella persona, a pelle”. ecc.

    E’ verissimo che una sensazione di invidia non accolta, non riconosciuta, non riportata al proprio stato d’animo e all’ascolto di sè, ma tenuta costantemente fuori e insieme negata, può diventare ossessione, persino odio e distruzione. Comunque un male di vivere, certamente. Ma ciò accade spesso con ogni sensazione di frustrazione, nostra, che non siamo in grado di ascoltare e accettare, superare realmente.

    L'”invidia” (se vogliamo “confronto con” che diviene “stimolo no a emulare, prendere l’altrui identità, quanto piuttosto notare cosa ci piacerebbe avere per noi stessi” e ad attivarci per ottenerlo con i nostri mezzi) di cui parlava M. nel primo esempio è spesso non manifesta. Ma non per ipocrisia o negazione. E’ una questione tra sè, che trova la sua ragione e la sua risoluzione funzionale.

    ciao 😀

  4. 14
    Marquito -

    L’analisi di LUNA è assolutamente impeccabile e la considero un’ottima integrazione del mio intervento iniziale. Se dovessi basarmi sulla mia esperienza personale, potrei dire che gli invidiosi peggiori sono proprio quelli che negano ostinatamente e insistentemente di provare invidia. E lo stesso ragionamento si potrebbe fare per molti altri sentimenti negativi, come la rabbia, il rancore, la gelosia e il desiderio di vendetta. Mi diverto sempre moltissimo quando una persona, senza neanche essere stata interpellata, interviene per farci sapere di “non sapere cosa sia l’invidia”. Se imparassimo a convivere con le emozioni negative ne trarremmo dei benefici straordinari, saremmo molto più sereni e non riverseremmo le nostre frustrazioni sulle persone che ci circondano. Il vero problema non sono i sentimenti negativi, ma la totale mancanza di auto-coscienza e di consapevolezza degli stessi.
    Come ho già scritto nel mio precedente intervento, la razionalizzazione è il meccanismo di difesa più subdolo e insidioso. Ci sono persone che per non ammettere di provare invidia arrivano a elaborare delle vere e proprie ideologie. Di fronte a tanta ipocrisia, di fronte a tante mistificazioni, io sono orgoglioso di dire: “Sono una persona piena di difetti, ma proprio perché ne sono consapevole mi resta ancora qualche possibilità di migliorarmi”.

  5. 15
    Dodicesimo peccato capitale -

    Cara LUNA, come sempre mi trovi d’ accordo con te. Aggiungo un caso. La mia invidia-senso di frustrazione si è manifestata (anche) conto terzi. Il non poter/riuscire a soddisfare desideri di altri che vedevo sotto la mia ala protrettrice. E questo, credi, c’entra sia con l’autostima (labile se si arriva al punto di cercare negli altri la ragione di sé stessi) che con un senso di protezione innato destinato ad infrangersi (almeno in parte) contro la realtà. La mancanza di autostima viene, tratteggiata, spesso, come un tabù da rinnegare o un’arma da usare per insultar/punzecchiare chi ci sta sulle palle. In realtà è un qualcosa da affrontare prima che ci distrugga l’esistenza rendendoci ombre che strisciano oppure mostri di falsa boria e aggressività quando, in realtà, ce la facciamo sotto. Il senso di protezione andrebbe limitato confidando (anche) nell’intelligenza altrui di non pretendere l’impossibile.

  6. 16
    Eme -

    Un’ ultima considerazione. Il pensiero di Marquito in merito a certi argomenti è profondamente diverso rispetto a quanto da altri riportato. Chi ha l’accortezza di leggere anziché basarsi sulle deduzioni altrui per formarsi una propria opinione ne è ben consapevole. Ora, per davvero, spero che la lettera prosegua senza altre distrazioni o, in alternativa, si chiuda. Mammina o dominatrice (non è ben chiaro) saluta e se ne va.

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