Siamo una coppia in difficoltà, tra le tante, ma non come tante altre.
Il nostro rapporto con i Servizi presenti sul nostro territorio, sopratutto quelli Sociali, ha un’origine lontana, circa nove anni fa. Nostro figlio maggiore aveva due anni quando ci siamo convinti che nel suo sviluppo c’era qualcosa in Lui che non funzionava correttamente. La pediatra di base ci indirizzò verso la locale USL nella figura della neuropsichiatria infantile, che si limitò in sei mesi solamente a osservare il bimbo in un lettino a giocare senza alcuna precisa risposta ai suoi evidenti ritardi di apprendimento, movimento e cognizione. Infatti tutt’ora non esiste nessuna relazione di tutta questa attività, seppur all’epoca richiesta, solo di un ripetuto invito alla separazione di noi genitori come soluzione ai problemi evidenziati dal bimbo da parte della neuropsichiatra stessa.
Solo grazie all’interessamento personale del sostituto della nostra pediatra di base, riuscimmo invece ad avere in tempi strettissimi e immediati, una valutazione completa ed esauriente presso il più vicino reparto ospedaliero specializzato di Neuropsichiatria Infantile. La diagnosi fu veramente una mazzata: ritardo generalizzato dello sviluppo atipico, con ritardo psico-motorio e globale dello sviluppo, concentrato nella sfera dell’apprendimento cognitivo ed espressione. Inoltre ci sottolinearono l’aver perso inutilmente tempo, con riflesso immediato sul possibile intervento riabilitativo. Praticamente era ed è, un disabile.
Pertanto ci rivolgemmo per attivare quanto necessario e di Suo diritto per legge, ai Servizi Sociali presenti sul territorio, facenti capo all’Ambito Distrettuale. Questi si attivarono nella referente del Comune dove abitavamo, per l’assegnazione del sostegno previsto. Il bimbo fu comunque indirizzato al locale asilo infantile, dove non fu assolutamente seguito nel modo consono, adeguato e corretto nonostante la presenza di insegnante di sostegno e di un’educatrice, che si giustificarono nella Sua non collaborazione il fatto della mancanza di risultati apprezzabili. Questo è dimostrato da una relazione delle stesse persone coinvolte e in nostro possesso, ma in realtà il bimbo fu volutamente trascurato, isolato, ignorato e le risorse a Lui dedicate, indirizzate volontariamente in vario modo, altrove. Da porre l’accento anche sull’opinione e lamentela dei genitori di altri bimbi presenti in asilo, che indicavano nella presenza di Nostro figlio un possibile disturbo come sperpero della attività educativa e didattica disponibile. Questi nostri commenti non sono pregiudizi ma situazioni verificate di persona all’interno dell’asilo stesso nel corso di verifiche, a seguito delle parole del bimbo e nonostante le ripetute segnalazioni alla referente dei Servizi Sociali e al competente Dirigente Scolastico, di quanto effettivamente accadeva. Questa situazione durò per due anni senza intervento alcuno.
A questo punto decidemmo autonomamente, non trovando comunque l’approvazione della stessa referente per ragioni di bilancio e risorse, di trasferire il bimbo in una struttura adeguata e competente (riconosciuta a livello nazionale) per la sua situazione, che portò immediatamente a un suo miglioramento generale, favorito dall’inserimento in un progetto educativo personalizzato con a capo l’alternanza di vari responsabili e una squadra di specialisti a supporto. Questo va specificato anche in considerazione dei fatti successivi. Allora, in parallelo a questo, i Servizi Sociali proposero un’attività psicoterapeutica di aiuto e supporto anche a noi come genitori presso il consultorio della locale USL nella specifica referente, vista anche la presenza di problematiche all’interno della coppia. Quest’ultima, senza analisi o domande, al primo e unico incontro avuto, indicava nuovamente la separazione come unica e definitiva soluzione ai problemi del figlio e Nostri! La nostra fu una cocente delusione. Visto la situazione venutasi a creare, di nostra iniziativa e anticipando eventuali altre richieste o osservazioni dei Servizi Sociali, ci rivolgemmo inizialmente a uno psicologo privato ma visto i costi elevati, ci affidammo a un percorso presso un altro consultorio familiare pubblico sul territorio, comunque sempre a nostre spese. Queste consulenze sono durate oltre un anno e mezzo, con sedute congiunte e singole, portandoci a un maggior equilibrio tra noi stessi e il tutto finalizzato al sostegno del bimbo disabile, per cui mia moglie lascia definitivamente anche il lavoro, anche per l’arrivo di un altro bimbo. La nostra situazione abitativa diventa ancora più precaria, per spazi disponibili e funzionalità. Anche dietro l’insistenza della referente dei Servizi Sociali stessi, l’impossibilità per motivi “burocratici” di ampliare la casa dove abitavamo nonostante un’ampia superficie potenzialmente edificabile e disponibile, decidemmo di trasferirci in un altro comune limitrofo, investendo sacrifici, risorse e un mutuo su una nuova abitazione, restando comunque nell’ambito dei precedenti Servizi Sociali del Distretto. Nei tre anni successivi, fino ad oggi, abbiamo avuto il piacere di incontrare il nuovo referente solamente quattro volte, di cui tre a scadenza annuale (?), sempre in tempi molto stretti o solo su Sua espressa richiesta, nonostante la nostra particolare situazione, sottolineata in Nostri ripetuti inviti e disponibilità. Non c’è stata alcuna attività di aggiornamento, di “follow up” rispetto alla collega precedente, in sostanza nessun interesse nei confronti della situazione effettiva in famiglia, delle possibili agevolazioni o aiuti, psicologici o economici che potevano essere necessari o ancora esserci. Il quarto incontro ci porterà ad una gradevole sorpresa, ma andiamo con calma.
Nel frattempo, il bimbo più piccolo, dopo aver frequentato proficuamente l’asilo nido, viene trasferito al locale asilo infantile dove cominciarono a manifestarsi comportamenti di iperattività con difficoltà di apprendimento. Decidiamo, visto il precedente in famiglia, di compiere una valutazione presso gli specialisti della struttura che segue il fratello maggiore. In base ai risultati delle valutazioni ed a quanto emerso, scegliamo in seguito di trasferirlo nella scuola d’infanzia all’interno della stessa struttura, sempre non incontrando la completa approvazione della referente dei Servizi Sociali sulle nostre scelte per vari motivi, oltre ai soliti di bilancio e risorse.
Veniamo a fatti più recenti. L’anno scorso su analisi e proposta del responsabile di progetto della struttura, visti i risultati ottenuti dal bimbo nei tre anni di scuola elementare all’interno della stessa, oltre ai due anni di scuola dell’infanzia, viene deciso il trasferimento di Nostro figlio maggiore presso un istituto scolastico statale locale. Iscriviamo quindi il bimbo nella massima fiducia di una proficua collaborazione tra noi, struttura, assistente sociale e istituto scolastico al fine di questo importante passo. Siamo convocati dai Servizi Sociali per la quarta volta, solo per comunicarci la riduzione delle ore disponibili a sostegno per nostro figlio, non preoccupandosi di nessun altro aspetto legato al trasferimento e frequenza, tanto meno, di qualsiasi supporto alla famiglia stessa. Nessun incontro è pertanto programmato in merito con tutti gli attori coinvolti in questo trasferimento. Il bimbo inizia scuola, aiutato anche dall’esperienza dell’educatrice presente prima in struttura che lo segue ora anche in scuola statale. L’accoglienza nella nuova classe, ben più numerosa e articolata di quella della struttura, avviene inizialmente in modo positivo. I compagni accolgono nostro figlio senza troppi problemi, seppur nel suo programma differenziato. Ma dopo circa un mese, Nostro figlio inizia ad avere episodi d’intolleranza e rifiuto dell’attività proposta, anche con reazioni improvvise, a volte violente nei confronti d’insegnanti o compagni, che proseguiranno tutto l’anno. Nostro figlio non è persona violenta, anzi piuttosto tranquilla e pacifica se non istigato di proposito oppure quando gli viene richiesto qualcosa al di sopra delle sue possibilità, in quanto è perfettamente cosciente dei suoi limiti. Non siamo informati di tutto di quanto effettivamente successo o del progetto educativo proposto ma in particolare, visto quanto accadeva, non sappiamo quanto intercorso nel corso dell’intero anno scolastico, tra struttura (responsabile di progetto, squadra di specialisti), scuola (insegnanti, sostegni, Dirigente Scolastico) e Servizi sociali (referente, responsabile), delle comunicazioni o indicazioni di comportamento nei confronti del bimbo. Non siamo stati coinvolti in maniera diretta, completa ed efficace come famiglia, venendo nuovamente a mancare l’attività di “counselling”, auspicata dalle valutazioni specialistiche fatte del bimbo in ambito di tutti gli esami svolti all’esterno alla struttura stessa e di nostra iniziativa. A nulla sono valsi anche i nostri tentativi di chiedere aiuto per questi episodi di intolleranza come mancanza di linee guida comuni, anche per poter intervenire anche da casa in eventuale supporto alle insegnanti. Le nostre richieste sono rimaste in pratica lettera morta, fino a una riunione congiunta e già comunque programmata da tempo a fine anno, in cui, era auspicata la presenza dei soli professionisti e Servizi Sociali ma non della famiglia, questo da richiesta della scuola stessa (?). Nella stessa riunione, in nostra presenza è emerso solo uno scambio di responsabilità dei fatti accaduti tra scuola e struttura su quanto accaduto, ma poco è stato, in seguito messo in progetto o riveduto per il bimbo. Non sappiamo cosa effettivamente è stato detto prima del nostro arrivo. Ma il bello di tutto questo deve ancora venire.
Veniamo successivamente convocati dai Servizi Sociali, che al fine di tutelare la scuola per i fatti sopra citati, ci comunicano di aver provveduto a inviare una segnalazione dei fatti accaduti e della famiglia presso il Tribunale dei Minori. Da quanto ci è parzialmente letto della comunicazione, si deduce che comunque noi genitori siamo i soli responsabili dei fatti accaduti e del comportamento anomalo del bimbo, con argomentazioni presenti nella segnalazione prive di senso logico in più punti o da dimostrare, risalenti ad alcuni anni prima e non aggiornate, contenenti informazioni errate e comunque valutazioni volutamente distorte, solo al fine di screditare noi genitori, coinvolgendo per questo, anche le figure di tutti i figli. Questo inoltre supportato dalla presenza anche di difficoltà all’interno della coppia e indicate nella relazione della prima assistente, cioè sette anni prima! Questo anche con l’intervento e l’approvazione della struttura stessa, oltre che, indubbiamente, della scuola. Da notare, che all’atto della parziale lettura causa le Nostre osservazioni e non opposizione (da specificare, poiché siamo stati in seguito indicati e in separata sede, di questo), la referente dei Servizi Sociali era tutta impegnata a prendere appunti delle nuove informazioni avute come delle situazioni venutesi nel tempo a creare.
Questo ci porta a pensare che il primo comportamento anomalo di Nostro figlio nel prossimo anno scolastico sarà motivo di ulteriori sole richieste come azioni verso Noi genitori, prima che un intervento mirato e congiunto tra tutti per il bene del bimbo, solo perché consapevole della sua disabilità ed in questo non considerato. Non sappiamo cosa e come deciderà il Tribunale dei Minori, intanto la comunicazione è andata e a Nostra responsabilità. A nulla è servito richiedere un colloquio con i vari referenti, anzi siamo rimasti ulteriormente molto delusi, che l’unica spiegazione avuta dal Responsabile in toto dei Servizi stessi, è stata che Loro (i servizi) sono al corrente della realtà delle cose (!) della nostra situazione e delle azioni da intraprendere. Inoltre se non c’era stata alcuna attività verso o congiuntamente la famiglia, questo era dovuto alla quantità dei casi seguiti dalla stessa assistente e del tempo a disposizione. Ma se la stessa assistente dedica mezze o intere giornate a determinati casi sul territorio come confermato dal competente Assessore comunale, perché di principio, non ha voluto interessarsi come coinvolgerci nei tempi dovuti anche noi? Esistono allora priorità e assistiti di serie A, B, C, D … Z.
Se questo è il risultato dell’impegno, di quanto abbiamo fatto, investito, creduto, voluto e costruito per Nostro figlio e i suoi fratelli, anche in maniera logica, determinata e autonoma, anche al di fuori dei servizi stessi, in strutture pubbliche e convenzionate, c’è da pensare come riflettere su quanto e come Loro hanno agito verso la nostra famiglia, per qualche motivo o ragione a noi mai comunicata o sconosciuta, anche nell’origine. Volutamente abbiamo deciso di non entrare nei dettagli e nomi di tutti i singoli personaggi, enti ed istituzioni con cui ci siamo confrontati in tutta questa situazione, se le loro parole, scritti, atteggiamenti, azioni come comportamenti sono da considerarsi personali, professionali, istituzionali oppure chiara manifestazione di ben altre realtà effettiva o lacuna professionale. Di sicuro, un disabile non può essere aiutato per quanto gli è possibile ad essere una persona “normale” in una società che si ritiene civile e umana, portando avanti a tutto, bilanci, risorse o interessi di parte o meno, in qualsiasi forma.
Ringraziando quanto accaduto, adesso c’è solo una famiglia ulteriormente in difficoltà, oltre a quanto, già di Suo destino. Se volevano ulteriormente minare la precaria serenità di casa Nostra, ci sono riusciti i Servizi Sociali nel loro comportamento e a propria ragione naturalmente. Altre situazioni ben più impegnative o gravi sul territorio hanno assistenza, valutazione e azioni ben diverse, ma questo, probabilmente è altro discorso e peso, come prima indicato. Noi intanto per la Nostra tutela in tutto questo, dobbiamo sobbarcarci ulteriori spese di avvocati e consulenti di parte, oltre che vivere in cinque e mantenere un mutuo e due utilitarie (per necessità logistiche), il tutto su un salario da operaio.
Se ci separavamo otto anni fa, Nostro figlio sarebbe diventato adesso una persona “normale” e in migliori condizioni? Perché dobbiamo arrivare a questi risultati per non lavorare in modo adeguato e trasparente, soprattutto in maniera univoca per il bene del bimbo? In qualsiasi modo, chi ci perde o guadagna in tutto questo? Perché questo accanimento da parte dei Servizi Sociali verso chi, anche in modo autonomo ma comunicato, visto il comportamento degli Stessi, agisce per il bene di un bimbo? I bambini disabili che fine devono fare se questo è il modo di aiutarli? Se i Servizi Sociali volevano essere primi referenti, perché non si sono attivati nei modi più consoni e corretti? Sebbene ci siano anche concause, è questo un esempio di etica professionale da parte dell’Assistente?
http://trentinosolidale.archaeopteryx.tv/associazioni/102 RIVOLGETEVI A QUESTO INDIRIZZO,SONO UNA MAMMA SOTTO I SERVIZI SOCIALI,HANNO TENUTO MIO FIGLIO IN COMUNITA’ E SEDATO DA PSICOFARMACI PER 12 ANNI ORA GRAZIE A LORO SONO RIUSCITA A RIPORTARLO A CASA