Stamani aprendo le prime pagine dei giornali online balza agli occhi la foto a colori che ritrae quel giovane corpo di donna esanime, sul lettino prendisole. Bianco candido, come la sua innocenza. La guardi, così giovane, e non puoi non notare la sua mano: non ha avuto nemmeno il tempo né il diritto, legittimo, di difendersi e, nell’abbandono a terra di quelle dita, pochi istanti prima pieni di energia, vedi la sineddoche di quanto gli equilibri del mondo siano in piena metamorfosi, abbandonati a un gruppetto di 8mila pazzi. La sua chioma bionda e le gambe magre ed affusolate che spuntano abbronzate dal telo. Non un asciugamano da mare. Ma un lenzuolo che sotto l’ombrellone non ti aspetteresti in un giorno di solleone qualunque, ma scopre l’efferratezza del kalashnikov che ha freddato quella bagnante. L’unica colpa di quella povera anima? Voler rubare alla Tunisia più sole possibile. L’Isis, questa nuova setta-stato che semina orrore e sgomento tra le località musulmane turistiche ha colpito ancora. Per caso mi sono imbattuta in questa poesia di un Premio Nobel cui è un onore aver dato i natali, Quasimodo, nella sua lucida, profetica attualità. La condivido con voi, con la profonda mestizia di chi – forse utopicamente – vede quegli iracheni come l’altra faccia di una stessa medaglia.
“Uomo del mio tempo, sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore”.
apprezzabile la riflessione… molto bella, antica e attuale nello stesso tempo, la poesia…
bellissima sensibilità. grazie
Questi gruppi sembrano avere come centro di studio l’ignoto e i suoi archetipi. La valenza simbolica di questi archetipi dell’ignoto è commisurata all’immaginario collettivo storicamente determinato e all’immagine data che, nella vita, riflette quello che sei veramente e non il modo in cui scegli di manifestarti. Oggi ci sentiamo quasi in dovere di uscire alla luce del sole perché gli stili di vita ci esortano ad apparire, ma l’orientamento sessuale viene vissuto come una gabbia dalla quale non è possibile uscire; nella mente delle persone, fino a qualche anno fa, non c’era spazio per l’idea che quelle due persone avrebbero potuto vivere separate, presentando delle caratteristiche che li portavano ad un livello superiore e non li facevano vivere l’uno in funzione di una sessualità da gestire (secondo loro) e l’altra in funzione delle sue emozioni. Per gli altri il mio uomo ideale ha sempre avuto determinate caratteristiche, anche se tra di noi non c’era nulla. Mi vedevano più vera. Tutte le volte io, lui, o entrambi, dovevamo trovare delle argomentazioni valide per far capire alle persone che non stavamo insieme.
Queste alchimie, che sono veri e propri sodalizi, emergono anche sul posto di lavoro, mi sembra inutile negarlo perché creano un alone che conferisce pregio al lavoro; fermo restando che l’uomo che vi riconosce qualche cosa di prodigioso, per natura è portato a cercare l’identità in ciò che è inferiore all’umano… si sente come represso… quando è presente una donna, che si riconosce come tale anche dal punto di vista “sentimentale” oltre che affettivo, gli viene naturale sentirsi sotto pressione. Diventa più di una moglie e rischia di confondersi. La lascia parlare, ma ha sempre la sensazione di essere un po’ contenuto. Per questa ragione viene da tutti giudicato meno “selvaggio” di quello che credono. La ferinità si spalma sull’immagine d’insieme e ne esce un ritratto molto più soave.