Rimpianto, s. m.: «Pensiero nostalgico e doloroso, o suggerito da un senso di rammarico e d’insoddisfazione, rivolto a persone o vicende irrimediabilmente scomparse o passate» (Devoto – Oli, Vocabolario della lingua italiana, voce omonima, 2014).
Lo Zingarelli, così definisce il sostantivo rimpianto: «Ricordo dolente o nostalgico di qualcuno o qualcosa che si è perduto» (Nicola Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, voce omonima, 2021).
Rivolto a persone scomparse o passate. Questa frase si potrebbe tradurre – e così mi pare correntemente accada – con: «Ciò che avrebbe potuto essere, ma non è stato». Il riferimento, nella definizione di rimpianto, all’aggettivo nostalgico, credo possa svolgersi così: «Purtroppo, non è stato ciò che avrebbe potuto essere, e che sarebbe stato bello fosse stato».
Probabilmente, anche il solo fatto che «non sia stato, ciò che invece avrebbe potuto essere» fa un po’ mitizzare ciò che «non è stato». Fa pensare, in altre parole, sarebbe stato assai più bello-interessante-affascinante «ciò che non è stato», anziché quello che abbiamo adesso, qui, ora.
Sono in molti ad avere dei rimpianti: di tipo sentimental-affettivo, lavorativo, etc.
Volendo restare al primo tipo, vorrei sommessamente dire di provare invidia per colei (o colui) che riesce ad «intraprendere un viaggio» con altri, nonostante quest’ultima (o quest’ultimo) abbia apertamente dichiarato aver rimpianti.
Son degni della massima lode, io credo. Chapeau!
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