Gentile Corrado Augias,
Sono stato un docente a contratto al Politecnico prima a Torino e poi a Milano per circa 10 anni.
Vorrei denunciare il fatto che il carico didattico dei Politecnici italiani in barba alla legge è coperto per circa il 60-70% da contrattisti esterni.
Si tratta di contratti annuali che a livello nazionale prevedono remunerazioni che oscillano (a seconda dei crediti attribuiti all’insegnamento) da 0 a circa un massimo 3000 euro lordi l’anno. Un remunerazione indecente se si pensa che un professore di ruolo per lo stesso incarico percepisece più o meno la stessa cifra mensilmente.
Ora per risparmiare le università italiane offrono addirittura posti da insegnante a titolo gratuito trasformando la figura del professore esterno in un ricco ed annoiato benestante in cerca di riconoscimento intellettuale o in un bamboccione pregiato che ancora abita dalla mamma, e quindi può permettersi il lusso di insegnare. Altra attuale nefasta tendenza è quella di pre-pensionare i docenti piu anziani per farli ri-entrare a contratto esterno in modo da caricare delle spesa l’ente pensionistico e non l’università che cosi ottiene lo stesso corso ad un costo 10-15 volte inferiore. Tendenze e processi che negli anni hanno dequalificato l’insegnamento nel suo complesso.
D’altro canto i concorsi universitari sono come è noto sistemi di cooptazione celati sotto le vesti di falsi concorsi meritocratici. Concorsi dove i docenti incaricati di giudicare seguono procedure di voto formelmente molto complesse ed articolate per esiti molto spesso noti. Per verificare l’efficenza del sistema di reclutamento dei nuovi ricercatori e docenti di ruolo è sufficiente percorrere un qualsiasi corridoio di dipartimento, dove le clientele, le parentele o addirittura l’intero albero genealogico dei baroni piu incalliti occupano gli uffici dei docenti e dei ricercatori strutturati. La situazione è nota da tanti anni a tutti coloro che operano nelle università italiane eppure il folto numero dei professori presente in Parlamento ed ora anche nel governo nulla propone. Ma lo sviluppo del paese, la famigerata ripresa delle crescita, non doveva partire proprio da una riforma dell’università e della ricerca
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