Per il Dott. Enrico Mentana
Caro Direttore, ieri ascoltando nel suo TG la toccante lettera scritta da quello che mi preme considerare un uomo ancor prima che un paziente di una struttura per anziani, mi ha suscitato alcune riflessioni.
Mi presento. Sono un operatore sanitario, nello specifico un chirurgo che lavora in un ospedale pubblico. Le confesso che il suo ” non c’è nulla da aggiungere” al termine della lettura della lettera non l’ho trovato opportuno.
Mi sono domandato quale sia stato lo scopo della pubblicazione e soprattutto quale sarebbe stata la reazione dell’ascoltatore. Forse io ho il privilegio, spero non la presunzione, di considerare il problema dei ricoveri da due punti di vista, cioè come figlio di due genitori ultraottantenni ( per fortuna in ottima salute) e come operatore sanitario.
C’era bisogno del Coronavirus per scoprire la realtà disumanizzante dei ricoveri? Potrà mai essere considerato un atto umano far trascorrere ad una persona l’ultima fase della sua vita in una residenza, per quanto pulita decorosa e protetta?Sia ben chiaro, lungi da me il giudicare le persone che, per i propri cari ad esse fanno ricorso. Chi sono io per farlo; ogni famiglia ha le proprie difficoltà affettive, organizzative ed economiche e di certo non viviamo im una società strutturata per evitare le disgregazioni famigliari. Pertanto in alcuni casi si ricorre di necessità alle strutture suddette. Ma cosa dobbiamo pretendere da esse, in particolare dal suo personale? La professionalità, il rispetto della persona, il riconoscimento della dignità come bene assoluto da perseguire. Pensiamo davvero che il personale debba sopperire all’affetto mancato dei famigliari?Voler bene ad una donna ed un uomo vuol dire anche soffrire con lui; non si pretenda questo nè da medici nè da infermieri; se il personale dovesse farsi carico di ciò non reggerebbe un peso simile. Forse è proprio l’opposto di quel che viene detto nella lettera; chi sceglie questo lavoro e può farlo per anni è perchè capace di non assorbire troppo le inevitabili sofferenze della vita;a volte perciò un personale può sembrare per nulla empatico, ma di fatto quello è anche uno scudo per non essere travolti.
Madre Teresa Di Calcutta mi ammonirebbe per qusto mio scritto, ma Lei è una grande Santa, un modello per tutto l’essere umano; ma essere santi è difficilissimo ai più; al contrario essere professionisti della sanità (e non dipingeteci come eroi) rispettosi dell’uomo e del malato, essere figli che vogliono bene ed amano i propri genitori, bhe quello per antrambi è umanamente possibile.
Grazie e buon lavoro, ho sempre una grande stima di Lei.
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La vita quando si perdono i propri punti di riferimento ha un volto che fa paura. Si tratta di una realtà che ci serve anche a portare avanti il dialogo tra civiltà e tra culture. Questa faccia truce e arcigna non ha un significato originale o furbesco. Se ti colpisce significa che hai bisogno di riappropriati della tua vita e di abbandonare i divertimenti per realizzare un ideale di vera gioia nel solco della tradizione gloriosa della chiesa (o del partito), dove non sono mai mancati i volti persi e le facce appese, in genere, denunciano la presa di possesso della chiesa (o della piazza) di chi si oppone strenuamente alla fede (invocando le prove) e annuncia il concetto di essere avanti in un’epoca in cui la missione della chiesa ( o del partito) si è conclusa e si può uscire per andare in vacanza o nei parchi di divertimento.