Proposta innovativa di una mediazione Italo–Egiziana nel processo di pace Israeliano-Palestinese.
Alle elezioni politiche del 25 gennaio 2006, Hamās (presentandosi per la prima volta) ha ottenuto la maggioranza (76 seggi su un totale di 132) del Consiglio Legislativo Palestinese, creando il timore di un blocco totale del già difficile processo di pace israeliano – palestinese. La proposta innovativa di una mediazione italo – egiziana.
Hamās, acronimo di Harakat al-Muqāwwama al-Islāmiyya (in arabo: “Movimento di Resistenza Islamico” ) è un’organizzazione religiosa islamica palestinese di carattere paramilitare e politico, praticante il terrorismo. Fondata “ufficialmente”, nella sua forma piu’ fondamentalista, da Ahmad Yāsīn e Muhammad Tāhā nel 1987 come“diramazione” della Fratellanza Musulmana, pone le basi della sua ideologia nella distruzione dello Stato d’Israele e nella creazione di uno Stato islamico in Palestina. In realtà Hamās fu finanziata direttamente e indirettamente fin dagli anni ’70 e ’80 da vari Stati, ad esempio Arabia Saudita e Siria. A quel tempo, pero’, tale organizzazione si distingueva per il suo contenuto “ politico-caritatevole “, peraltro riconosciuto in Israele che, a parere di numerosi studiosi, pur non avendo mai sostenuto direttamente Hamās, le permise di esistere anche per opporsi al movimento laico al-Fath di Yasser Arafat. L’organizzazione si concentro’ soprattutto sui problemi morali e sociali come attacchi alla corruzione, l’amministrazione di awqāf (fondazioni pie) e organizzando progetti comunitari. Solo verso la metà degli anni ’80 il movimento fu trainato dal pericoloso shaykh cieco Ahmad Yāsīn che cominciò a predicare la violenza immediata ( per questo motivo egli venne arrestato da Israele e rilasciato solo quando promise di fermare la sua predicazione ed ottenne di poter continuare la sua attività dallo Stato ebraico ). L’acronimo “Hamās” apparve per la prima volta nel 1987 in un volantino che accusava i servizi segreti israeliani di indebolire il morale dei giovani palestinesi per poterli reclutare come collaborazionisti. Ma fu con la prima Intifāda che inizio’l’uso della forza da parte di Hamās con “azioni punitive contro i collaborazionisti”, progredendo verso obiettivi militari israeliani ed infine con azioni terroristiche che prendevano di mira i civili considerati”bersagli militari” in virtu’ del fatto di vivere in uno Stato altamente militarizzato.
L’unica speranza, quindi, per riavviare il processo di pace israeliano – palestinese è quindi di esaltare l’originario contenuto ideologico di Hamas di carattere “ politico – caritatevole “, ma nel contempo inserendolo in un contesto internazionale di piu’ ampio respiro che coinvolga, in particolare altri Paesi, notoriamente trainanti nel campo delle mediazione “ difficili”. In tale contesto ritengo auspicabile un’entrata in gioco proprio sia dell’Italia ( che ha avuto, in passato, un ruolo importante, in Europa e nel Mediterraneo, esercitando una politica, come disse Andreotti, di equivicinanza. ) quale garante dell’imparzialità delle trattative sia dell’unica Nazione che riesce a dialogare con le parti in causa : l’Egitto che, è bene ricordarlo, ha appena ospitato il neo costituito parlamento arabo e che, nel contempo, vede, tra le sue fila governative, proprio i rappresentanti della Fratellanza musulmana da cui ha avuto origine, peraltro, Hamas..
Ed è su questa strada innovativa della mediazione italo-egiziana che ritengo sia possibile superare quelle difficoltà ideologiche che , allo stato attuale, sembrano offuscare quel complesso processo di pace, ormai lento a definirsi e apparentemente arenatosi sulla spiaggia dell’incomprensione e della contrapposizione politico – religiosa.
CLAUDIO BRAGAGLIA
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se posso permettermi, la questione palestinese può essere sintetizzata come espropriazione progressiva (oltre il 78%) dei territori palestinesi ai danni della popolazione araba e a favore dell’immigrazione israelita, espropriazione peraltro percepita come aggressione a causa dei giochetti fatti dagli USA nel 1947 all’ONU e delle successive azioni terroristiche bilaterali.
per trasformare questo poderoso “casus belli” – che non ha trovato un’adeguata “forma risarcitoria” in 60 anni – in un “casus pacis” mi sa che ci vuole un miracolo di diplomazia internazionale ben al di sopra delle dubbie capacità dei personaggi politici attuali, soprattutto se si considera quanto il perdurare della questione palestinese fa comodo un po’ qua e un po’ là!