Gentile Direttore,
mi rivolgo a Lei ed alla Sua redazione, per parlare di un ennesimo caso di prepotenza bancaria, in ordine al quale molte persone e molte aziende, già in difficoltà, rischiano la sopravvivenza.
In questo interminabile periodo di crisi economica sono sempre più utilizzate tutte le forme, consentite dalla legge, per il recupero forzoso del credito.
Una di queste, forse la più diffusa, è quella del pignoramento di somme sui conti correnti bancari.
Come avviene spesso anche per i pignoramenti immobiliari, che hanno dato luogo ad un mercato di speculazione e di speculatori, anche il blocco giudiziario di denaro sui conti correnti bancari, consente speculazioni da parte di alcuni istituti di credito.
Il creditore, nel tentativo di recuperare il suo dovuto, attiva la procedura esecutiva del credito riconosciuto dal tribunale e, appena decorso il breve termine temporale del precetto, intima alla banca, a mezzo uffciale giudiziario, il blocco di somme, in genere 2 volte e mezza quella effettivamente dovute, e l’istituto, terzo pignorato (o anche più di uno) rende indisponibile al correntista debitore la cifra fino alla concorrenza massima di quanto intimato.
Dopodichè, entro 30 giorni, il creditore procedente deve iscrivere a ruolo in tribunale la somma pignorata ed attendere i tempi della giustizia (circa 11/12 mesi almeno), per ottenere l’erogazione di quanto preteso e stabilito dal giudice.
Nel frattempo questi soldi restano infruttiferi nei depositi delle banche, che, considerando le migliaia di procedure in corso ogni giorno, godono di un finanziamento gratuito, ormai sostituente i conti correnti vincolati, sui quali le banche stesse sarebbero disposte a pagare interessi attrattativi, per convincere i correntisti.
A conferma di quanto scrivo, ci sono gli ostruzionismi praticati dalle banche per lo sblocco delle cifre pignorate.
Infatti la logica del creditore procedente è quella di recuperare il suo capitale e le spese sostenute il prima possibile. Quindi utilizza la pratica esecutiva come leva forzosa per il suo fine e pertanto, molto spesso, addiviene ad un accordo con il debitore od addirittura al percepimento del suo credito, in tempi molto brevi.
Il debitore, vistosi bloccare il suo conto corrente (anche più di uno), se può, ha tutto l’interesse ad ottenere la liberazione del denaro.
Cosiderando che, colui il quale subisce un procedimento esecutivo, in genere, ha chiare difficoltà finanziarie, i soldi pignorati sono essenziali per la sua sopravvivenza e decisivi per non alimentari ulteriori debiti e relative conseguenze.
Dunque, una volta perfezionato l’accordo tra debitore e creditore, il legale di quest’ultimo invia le dovute comunicazioni alla banca, terzo pignorato, per concedere lo sblocco del conto corrente. Ma la banca se la prende molto comoda, adducendo pretesti di ogni tipo, fino al punto di costringere il debitore a rivolgersi all’arbitrato bancario.
Il debitore, già in difficoltà, spesso non può permettersi patrocini legali capaci di ottenere audience presso l’ufficio pignoramenti della banca. E la brutta situazione rischia di trasformarsi in tragedia.
Cerco di essere più specifico.
L’accordo transattivo tra debitore e creditore può intervenire dopo che il pignoramento è stato iscritto a ruolo in tribunale. Il creditore procedente deve dichiarare al giudice dell’esecuzione la rinuncia al pignoramento e comunicare alla banca l’inefficacia del pignoramento stesso, che dovrebbe immediatamente liberare le somme bloccate sul conto corrente.
Oppure l’accordo avviene addirittura prima dell’iscrizione a ruolo, eseguibile entro 30 gg. dalla data di ricezione dell’avvenuta notifica dell’ufficiale giudiziario, ed informare la banca, richiedendo la liberazione del conto corrente.
Nel primo caso la banca che riceve la comunicazione a mezzo pec del legale rappresentante del creditore, accompagnata dalla dichiarazione di rinuncia al pignoramento, rilasciata dal tribunale competente, nella migliore delle ipotesi si prende almeno 7/15 gg. prima di ridare disponibilità delle somme pignorate al creditore; nella peggiore va avanti per oltre 2 mesi, pretestuosamente, ritenendo sempre insufficiente la documentazione ricevuta. Ben lo sanno gli avvocati dei creditori, che sono costretti a reiterare solleciti per lo sblocco, su pressione dei debitori ottemperanti.
Nel secondo caso invece, sostenendo che, fino alla decorrenza dei termini, il pignoramento può essere iscritto a ruolo e quindi passare sotto la giurisdizione del tribunale, ignorano qualsiasi richiesta, intimazione e comunicazione, che il legale del creditore invia loro, a mezzo pec, sotto la propria responsabilità, ed attendono i 30 gg. oltre ai loro presunti tempi tecnici, per sbloccare il denaro pignorato.
Ora mi perdonerà, se mi esprimo con qualche inesattezza legale, non essendo io un avvocato od un giurista, ma il principio di cui stiamo parlando, riguarda la tutela del credito di un privato, avverso un altro privato debitore. Quindi dovrebbe essere il privato creditore a pretendere la garanzia della riscossione del proprio denaro, non il terzo pignorato. Ovvero se il creditore dichiara validamente e sotto la sua responsabilità che, il suo credito lo ha già riscosso e non ha più nulla a pretendere dall’ormai ex debitore, il custode, cioè la banca, dovrebbe rilasciare il denaro bloccato a garanzia in immediato; semplicemente perchè non sono soldi suoi !!!
Ciò che risponde l’ufficio legale della banca, in casi come questi, sembra l’affermazione del proprio diritto, invece che la manifestazione di un dovere.
La discrezionale interpretazione di queste situazioni è confermata dal differente atteggiamento tra banca e banca. Alcune accettano la dichiarazione del creditore, ritendola sufficiente a sollevarle da ogni responsabilità. Altre, le più grandi e famose, invece procedono nelle modalità sopra descritte, generando, con questo atteggiamento, la rovina delle famiglie o la chiusura delle aziende oggetto del pignoramento.
Mi pare evidente che ci sia una strategia voluta e finalizzata al reperimento gratuito di capitali da parte delle banche ostruzionistiche, che sfruttano opportunisticamente le procedure giudiziarie, a danno di poveretti in clamorosa difficoltà, infischiandosene della loro sorte, presente e futura.
Sarebbe interessante quantificare il totale nazionale dei capitali impegnati e bloccati sui conti correnti bancari, in modo da capire quanto denaro e per quanto tempo medio gli istituti bancari lo detengono depositato gratuitamente.
Perchè quando i pignoramenti agiscono sui crediti che il pignorato vanta verso enti pubblici o aziende, appena ricevuta la pec di rinucia, liberano subito il credito, mentre le banche seguitano a tenere bloccato il denaro?
Avrà compreso che il sottoscritto e la sua piccola azienda familiare, siamo vittime di questo comportamento. La prego di credermi che, dopo l’accordo raggiunto con il ns. creditore, nessuna dichiarazione, documentazione ed intimazione inviata con pec alla banca, da parte del legale del creditore, risulta sufficiente allo sblocco della somma pignorata.
Non potendo pagare altri fornitori, siamo incorsi nel blocco delle forniture, con conseguenze disastrose per l’attività e per tutti coloro che ne vivono lavorandoci. Stiamo rischiando altri contenziosi che potrebbero costringerci alla chiusura.
Tutto questo per un qualcosa che, nonostante le capziosità giudiziarie, travalica, a mio parere, il confine dell’appropriazione indebita.
Spero tanto che la presente susciti la Sua attenzione e quella della Sua redazione. Magari una verifica di quanto affermo, facilmente effetuabile presso gli studi di qualunque avvocato civilista, presso gli uffici legali delle banche (nel ns. caso la banca Intesa Sanpaolo) e soprattutto presso tanta gente comune in difficoltà economiche potrà, spero sempre, suscitare un’inchiesta giornalistica sull’ennesimo torto perpetrato da potenti e prepotenti.
In ogni caso La ringrazio per l’attenzione concessami e continuerò a seguirla sempre con interesse.
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mah … i tassi pagati dalle banche ai depositanti sono infimi , non credo che il motivo delle lungaggini burocratiche sia il risparmiare quattro spicci di interessi. Piuttosto se si hanno soldi in banca ed ormai si e’ ricevuto il precetto , e’ da coyoni lasciarceli , meglio pagare il creditore o ritirarli in contanti.
La seconda sempre!
Il valore del denaro non si misura solo con gli “infimi interessi” riconosciuti ai depositi in conto corrente, ma con quello che può rendere avendolo (gratis) a disposizione. Basta considerare quanto pagano le banche per farsi prestare denaro dalle banche centrali. Il pignoramento non si elude “togliendo i soldi” dal conto corrente, perché resta in attesa che arrivino altri accrediti e, se si è una azienda, arrivano comunque, sotto forma di incassi a mezzo bonifici, carte di credito, ecc.
Per cortesia, se non si conosce la materia, è meglio chiedere chiarimenti, piuttosto che esprimere giudizi o, peggio, dare consigli…inutili!
La banca non vuole sbloccare il nostro conto corrente dell’Associazione spur avendogli fatto avere il certificato del Tribunale che dichiara che il pignoramento non è stato iscritto a ruolo.
Premetto che tale debito essendo ingiusto non è da noi stato pagato e fortunatamente il c/c era vuoto. Asserisce che per sbloccare il c/c non serve la richiesta di certificazione della non avvenuta iscrizione a ruolo del pignoramento per sblocco c/c rilasciato dal Tribunale in quanto per loro è valido solo se inviato dall’avvocato di controparte.
Trovo incredibile che la banca possa rifiutare un certificato del Tribunale Corte d’Appello)asserendo che per loro è valido solo uno scritto fatto dall’avvocato di controparte che ovviamente mai rilascerà tale attestazione pertanto sono tre anni con il conto corrente bloccato ma con le spese di tenuta c/c che oltre ad aver prelevato quanto era sul conto ora hanno fatto sconfinare di 200 euro.
Vi ringrazio
Anna Massone
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