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Ossessione sull’utilità della vita e attesa di morire

di Rabbit

Salve a tutti i gli utenti di questo sito.
Dopo aver letto molte lettere che potrei aver scritto io stesso ho avuto l’impressione che molti nascondano in fondo un desiderio di essere felici e sconfiggere la depressione che impedisce di trovare uno scopo nella vita.
Ebbene, ho sofferto di depressione in passato curandola prima con regolare psicoterapia per poi integrarla con psicofarmaci. Sono stato meglio e i pensieri suicidi mi hanno abbandonato piano piano.
Ho cominciato ad apprezzare cose apparentemente meno importanti della vita ma che in quel momento mi davano soddisfazione, anche semplicemente guardare il sole, ascoltare la pioggia o sorridere per una coccinella che mi si posava sulla mano. Ho cominciato a leggere avidamente, ad appassionarmi di arte, cultura, fotografia, poesia, disegno, sport, cucina, volontariato. Volevo recuperare il tempo che avevo perso a piangermi addosso.

Ero felice, o comunque tranquillo eppure mentre facevo tutte queste cose sentivo lo stesso qualcosa di strano, qualcosa che non poteva durare, dovevo svegliarmi e chiedermi: “Ma a che serve?
Col tempo ho cominciato ad approfondire questa domanda e adesso a 37 anni non riesco più a darmi pace. Sono tornato a una sorta di punto di partenza con la differenza che adesso ho smesso di fare tutto ma non sto male, semplicemente aspetto di morire. E’ come se mi avessero dato una settimana di vita e mi sia reso conto che non ha più senso fare quello che si fa tutti i giorni. Ho deciso di abbandonare ogni attività che richieda l’uso della testa per farmi andare il cervello in pappa il più velocemente possibile. E penso di essere sulla strada buona dato che per scrivere queste parole sto facendo una notevole fatica e mi scordo facilmente delle cose.
Il mio sogno attuale? Regalare la mia vita a qualche disabile o malato terminale, qualcuno che abbia davvero voglia di vivere. E non credo nei discorsi “pensa a chi sta peggio quindi sii felice”, io non riesco a costruirmi la felicità sulle disgrazie degli altri.
Mi sto isolando sempre di più perché vedere la gente che prova gusto nel vivere mi dà la nausea ma allo stesso tempo evito chi si lamenta della propria vita e chi ha scarsa autostima.

Ricapitolando sono arrivato alle seguenti conclusioni:
– Non ho più voglia di vivere e trovo i motivi per amare la vita
– L’assenza di sensazioni come felicità ma anche tristezza mi fa rendere conto di aver bisogno di tornare a curarmi, ma non voglio farlo.
– Non mi interessa curarmi o trovare una via d’uscita a questo stato vegetativo in cui mi trovo.
– Non odio me stesso né mi voglio bene semplicemente perché mi considero un cadavere che cammina.

Probabilmente senza saperlo mi sto auto punendo per un qualcosa a me ignoto e la soluzione migliore è quella di “vivere senza vivere”
Vorrei sapere se tra voi c’è qualcuno/a che prova le stesse “non-senzazioni”, una sorta di pigrizia o senso di inutilità nel vivere.
Grazie.

Lettera pubblicata il 18 Novembre 2012. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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La lettera ha ricevuto finora 17 commenti

Pagine: 1 2

  1. 1
    colam's -

    Ciao Rabbit, io razionalmente penso come te che “tanto la vita finisce, percio’ a che pro?”. Pero’ da questo pensiero ne traggo piuttosto un approccio fatalista e leggermente menefreghista, il che non mi impedisce di essere attivo. Semplicemente ho smesso di avere aspettative rosee o terrori vari, vado avanti “nec spe nec metu”, senza speranze e senza paura. Tanto tutto quello che abbiamo intorno e’ provvisorio e tutto lentamente muore.

    Pero’ il fatto che tutto passa non mi impedisce di dare valore, anche se solo immanente e passeggero, ai piaceri della vita. Percio’ li assaporo , con gusto, per quello che sono, momenti belli che passano e presto finiscono. Ma li assaporo.

    Insomma per dire secondo me le tue osservazioni generali sulla vita sono giuste, ma la tua autodistruzione non e’ l’unica risposta logica. Forse la chiave e’ : non tutto deve avere un perche’, ci sono anche piaceri o doveri che si possono fare cosi’ per farli e basta.

  2. 2
    Rabbit -

    Ciao Colam’s, grazie del tuo punto di vista. Hai ragione quando dici che certi momenti si assaporano semplicemente perché finiranno o che certe cose le si fanno senza un perché preciso. La pensavo così anch’io fino a poco tempo fa e appunto davo valore a qualsiasi cosa cercando di ricavare il lato positivo anche nei momenti più brutti. E proprio in questi momenti mi piaceva trarne spunti e riflessioni che amavo condividere con gli amici e a volte scriverli per tramutarli in poesie o trasformarli in disegni.
    Purtroppo questo stimolo non c’è più e l’idea di porre rimedio mi infastidisce, è strano lo so. Imparare ad apprezzare la vita per poi tornare non a odiarla ma rimanere indifferenti ad essa (come se non ci fosse più niente da scoprire) è un caso particolare. E’ come se dicessi: “Ok, mi sono divertito abbastanza ma ora basta così grazie, potete staccarmi la spina”.

    Pensa che poco fa sono stato in biblioteca per obbligarmi a prendere libro: un tempo avrei passato ore a guardarmi tutte le categorie e desiderare di avere una mente sovrasviluppata per leggermeli tutti. Ne ho scelto uno che so già ne leggerò una pagina (o meglio: fisserò la pagina) per poi restituirlo senza averlo letto. Non perché l’autore non mi piaccia, anzi; ma non voglio arrestare questo processo di impoverimento mentale, fisico, spirituale, culturale che ho intrapreso e che per certi versi mi affascina (l’unica emozione che attualmente rilevo). Ed è curioso il fatto che in attesa della fine mi interessa vedere fino a che punto posso toccare il fondo. Forse voglio annullarmi per rimanere presto isolato e andarmene indisturbato senza dover rendere conto a nessuno. Lo so, questo “dover rendere conto” significa che alla fine sono circondato da persone che mi vogliono bene e che starebbero male all’idea di vedermi soffrire. Ma forse non cerco nemmeno il bene delle persone perché voglio annullare anche le emozioni verso gli altri ma prima di tutto verso me stesso.

  3. 3
    colam's -

    mi spiace rabbit non so come aiutarti, non ho esperienze di un malessere come il tuo, credo che si tratti di depressione, forse per non soffrire più hai deciso di uccidere la tua parte sensibile.

    In parte lo capisco perché è quello che ho fatto parzialmente anche io, mi sono indurito diciamo, ho fatto il callo, sono meno sensibile e più indifferente, ma non sono (ancora?) arrivato al tuo livello. Forse mi aiutano alcuni esempi in famiglia di persone che ne hanno passate di cotte e di crude, e le hanno superate, con tenacia, rassegnazione, costanza, accettazione del fato.

    Tutto sommato completamente spento non sei, sennò non venivi a confrontarti qui, no ?

  4. 4
    Rabbit -

    Hai ragione, ancora spento non sono 🙂 Appunto cercavo un confronto per capire anche dagli altri da dove venisse il mio stato d’animo.
    Anch’io ho avuto drammi in famiglia molto pesanti (tra cui uno zio che si è suicidato) e nel vedere alcuni miei parenti stare male penso sempre che al loro posto la farei finita perché non sarei capace di andare avanti con così tanto malessere. Vorrei imparare ad essere più forte vedendo queste situazioni ma non faccio che mettermi nei loro panni centinaia di volte peggio.
    Purtroppo l’essere ipersensibili ha un suo lato negativo e lo si paga in questo modo. Forse il senso della vita è che Madre Natura ci crea per metterci alla prova e se non siamo in grado di vivere dobbiamo essere noi ad accettarne il fatto prendendo provvedimenti; e chi non se ne rende conto va avanti tra disagi interiori e mancanza di stimoli.

  5. 5
    colam's -

    Hum non pensare di non avere la forza, intanto già una volta sei “rinato”, non è poco. C’è chi non lo fa mai. Io poi ho scoperto la forza che avevo solo quando sono stato diciamo costretto a tirarla fuori, quando ormai ero spalle al muro. Ma ho scoperto di essere molto più forte di quello che io stesso pensavo.

    Nel caso tuo: quanti anni hai ? I tuoi nonni hanno fatto la guerra ? Te lo hanno mai raccontato ? Io mi rifaccio molto a questa cosa, i miei nonni e zii avevano l’età mia quando sono stati in guerra, chi è rimasto ferito, chi prigioniero per anni (degli Inglesi), chi ha perso un fratello.. Eppure sono andati avanti e ce l’hanno fatta.

  6. 6
    Rabbit -

    Ho 37 anni. Lo so, ancora “pochi” per sentirsi già così.
    Sì, ho avuto nonni che hanno vissuto la guerra, anche i miei genitori se la ricordano e ogni tanto chiedevo qualcosa di essa a chi l’avesse vissuta. Ho notato che la ricordano come un episodio che gli ha fatto capire veramente cosa sia la sofferenza e quindi apprezza ogni singolo aspetto di una società senza la guerra. Per come sono fatto credo che se ci fossi passato ne sarei rimasto segnato a vita, con un costante senso di rassegnazione.
    Hai scritto bene, ero rinato ma è come se avessi visto un mondo che in realtà non mi appartiene e mi fossi nuovamente chiuso a riccio; come se me ne stessi in un bunker antiatomico quando fuori non c’è nessun pericolo. Come se la mia unica paura sia la consapevolezza dell’indifferenza che proverei verso tutto e tutti.

  7. 7
    colam's -

    hum qui ci vorrebbe un intervento di Luna o altri utenti più capaci di me a sgroviliare i meandri della mente.
    Ci sono alcuni pensieri tuoi che secondo me non hanno fondamenta reali ma che ti auto-infliggi. Per esempio:
    – chiunque rimane segnato a vita dalla guerra, ma non è detto per niente che tu ne saresti stato “schiacciato” a differenza dei tuoi parenti. Forse anzi l’avresti superata meglio di loro.
    – non ti riconosci nel mondo esterno, sotto sotto nemmeno io, ma forse sarebbe meglio mantenere le proprie opinioni e aspettare che il tempo faccia il suo lavoro. Le cose cambiano, e la crisi aiuta a far sparire le cose aberranti.
    – la paura della consapevolezza della propria indifferenza… hum boh perché averne paura ? Anzi in un certo senso un certo tipo di distacco è una forza no ?

  8. 8
    LUNA -

    La Luna ero io? :O

    RABBIT, non so “sgrovigliare” e da cosa ha origine questa fase non possiamo saperlo io e Colam’s.
    Una cosa però mi viene in mente (anche se forse sarà una cagata interstellare):

    – forse la questione sta proprio nell’accettare la tua sensibilità in modo più costruttivo, naturale. Accettarla come una “normalità”. Termine che non mi piace, ma intendo dire come una parte di te.

    – forse ti sei un po’ s-centrato da te e anche per questo sei così eccessivamente empatico verso l’esterno @ma non faccio che mettermi nei loro panni centinaia di volte peggio.

    – in realtà non sai come reagiresti nelle situazioni altrui se ci si trovassi tu. In realtà nelle situazioni reali (non immaginate) si attivano in noi una serie di difese e risorse che non si attivano nel momento in cui, ad una determinata situazione, pensiamo soltanto.
    Anche se le sensazioni che provi, in parte, le capisco, eh.

    – Gli stati “depressivi”, certi tipi di caos (anche “caos calmo”, pausa stand by) non credo, in generale, ci invitino a morire, a lasciarci morire in senso fisico, o mentale, quanto piuttosto ad accogliere un cambio pelle. Non un cambio pelle per far contenti gli altri, eh, per adeguarci, bensì a una nostra evoluzione più naturale, serena incontro a noi stessi. Energie bloccate, anche, a volte.

    – Dici che non vuoi curarti, e sai tu. Però cosa hai da perdere a scoprire magari, meglio di così, cosa sta sotto a questo tuo malessere o modo di sentirti ora?
    Al massimo puoi sempre ricominciare lo sciopero della vita se ti aggrada.

  9. 9
    LUNA -

    – Hai detto di essere stato bene dopo la crisi precedente. Ora, se rileggi le fasi precedenti con gli occhi di questo stato “depressivo” (virgoletto perché non so se di ciò si tratti e comunque la parola depressione, usata nel linguaggio comune, non significa una cosa sola) è abbastanza normale che tu la veda come una fase senza senso, o cose del genere.
    In realtà sai appunto che l’altra volta la crisi ti ha persino portato cose buone. Proprio andandoci dentro. Non passivamente, ma con gli strumenti giusti, pur senza negandola. Le crisi ci parlano. Però se non riusciamo a tradurle a volte sembrano travolgerci, senza un perché o con dei perché sui quali però non siamo veramente sintonizzati.

    – L’inattività è conseguente alla fase e al malessere. Tuttavia, più stai inattivo e più ti isoli e più diventi “troppo pensiero” e sei come colui che si ascolta respirare e quindi percepisce con enfasi anche ciò che è naturale. Ti affezioni al “troppo pensiero” e al fascino, anche maledetto, che ha. Quasi che l’esterno e le cose di questo mondo siano banalità che coprono ciò che davvero la mente sennò elabora, di saggio e più profondo. Però anche questo è un po’ un barbatrucco della “depressione”, ocio! 🙂

  10. 10
    colam's -

    Eheh si’ Luna sei tu 😉

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