È notte fonda; sto ritornando a casa in macchina, c’è silenzio, sento solo il rumore del motore e della radio, che ho abbassato al minimo; in giro non c’è nessuno; ogni cosa, animata e inanimata, sembra sia assopita, avvolta dall’oscurità della notte; solo i lampioni, in un susseguirsi monotono, mi fanno luce sulla strada, che si colora di un giallo dorato.
“ciao nonna, come va lassù? “, lo dico ad alta voce, sicuro che la notte, mia complice, avrebbe tenuto segreta questa conversazione. Non sono religioso, eppure mi piace pensare che lei sia lì, a guardarmi.
Rimango in attesa di una sua risposta; sono un po’ imbarazzato in realtà, perché dopo la sua morte non ho pensato molto a lei, anzi, l’ho quasi dimenticata.
Sento un bisbiglio, o solo il frutto del mio pensiero; “io?, bhe nonna, non me la passo molto bene… cosa? No non è per l’università, mi piace quello che faccio, non è neanche per la mia famiglia… è solo che mi sento tremendamente solo… sì, solo è proprio la parola giusta per descrivere la mia situazione”.
È la prima volta che lo dico ad alta voce, non l’ho mai detto a nessuno, ma sento che mi posso confidare con lei.
Un soffio d’aria entra dal finestrino, e mi sussurra all’orecchio. “sono stanco nonna, stanco di vivere così, ogni giorno è uguale al precedente, studio, mangio, studio, mangio, dormo e di nuovo il giro ricomincia…. si lo so che è così la vita di uno studente, ma… la mia vita si ferma a queste tre sole cose… in che senso? Bhe, nel senso che non ho amici con cui uscire… perché? Perché non riesco ad essere me stesso con le persone al di fuori della famiglia, non ho carattere, non ho autostima, non ho intraprendenza… fidati nonna, è così, non sto esagerando, sono sincero al cento per cento”.
Mi avvicino a casa, ma decido di prendere un’altra strada, ho voglia di rimanere ancora un po’ in macchina; “perché non te l’ho mai detto? ” sorrido amaramente “perché quando tu c’eri ancora, io stavo benissimo, avevo tutto quello che un bambino potesse desiderare…. “, tiro un sospiro, “mi mancano quei giorni nonna, i giorni più belli della mia vita; ti ricordi? Ogni mattina, prima di andare a scuola, mia mamma portava me e mio fratello a casa tua, ci davi qualche biscotto, sempre gli stessi, orribili! “, mi metto a ridere, poi smetto “scusa, cioè… diciamo che non erano i biscotti più buoni del mondo. Poi dopo scuola, ecco che ritornavamo, e tu avevi preparato i budini al cioccolato, con dentro quei biscotti, che nel tuo budino diventavano molto più buoni”.
Comincia a piovigginare, tiro su il finestrino. “ti ricordi quella volta che ho sbattuto la gamba dentro la porta di casa tua? Ho cominciato a strillare e quel giorno non sono andato a scuola, sono rimasto lì con te, mi hai fatto sdraiare sul divano, mi hai messo una coperta…. avevi anche una pianolina digitale su cui improvvisavo qualche melodia…. forse è grazie a quella che qualche anno dopo ho iniziato a suonare il piano… cosa?.. si, suono il piano, da un po’ ormai, forse una delle poche note positive di questa vita di merd… ” guardo in alto “cioè… di cacca”.
Svolto sulla strada che porta a casa sua; ci passo davanti e rallento per darci uno sguardo, tanto non ho dietro nessuno.
“sai che adesso che ci penso, non ricordo un solo giorno che abbia piovuto quando venivo a casa tua? C’era sempre il sole”, faccio uno sbuffo “adesso che ritorno qui, è buio e piove”.
Accelero e mi lascio dietro la casa.
“non posso dirlo a mia madre, capisci? I miei hanno già altri problemi a cui pensare. Uno psicologo? Nah, ti ho detto che non riesco a relazionarmi con le persone, ad essere me stesso, figurati se inizio a farlo con uno sconosciuto. Purtroppo è un circolo vizioso nonna, e io ci sono incastrato dentro, e non riesco ad uscirne, e ho paura che non ne uscirò mai e ad un certo punto arriverò al momento in cui non riuscirò più a sopportare questa situazione e… “, mi fermo, non ho il coraggio di concludere la frase.
“come? No, niente.. ” cerco di cambiare il discorso “lo sai che avrei voluto fare il conservatorio?, si però mi sono affacciato tardi alla musica, troppo tardi perché potesse diventare il mio lavoro… cosa? No mi piace l’università, mi piace molto, però ognuno di noi ha un sogno nel cassetto giusto? Il mio sogno è di fare il musicista, però purtroppo ho scoperto la musica troppo tardi…. vedi, a me piacciono le cose fatte bene: avrei potuto buttarmi e fare il conservatorio, lasciandomi dietro l’università, ma sono sicuro che non sarei mai diventato bravo come quelli che iniziano a suonare a 5 anni; forse sarei riuscito a passarlo, ma sarei diventato un musicista qualunque, niente di eccezionale, e la cosa non mi va giù; io voglio essere tra i migliori in quello che faccio, e con l’università ce la posso fare”.
Intravedo un gatto sul ciglio della strada; subito si fionda in una siepe e scompare nelle tenebre.
“scusa nonna se non ti ho mai pensato in questi 7 anni, ma diciamo che gli ultimi ricordi che ho di te non sono molto belli… eh? No no no sei stata una nonna bravissima, però gli ultimi mesi di vita, forse l’ultimo anno di vita, diciamo, purtroppo non eri più in te stessa. I miei genitori hanno dovuto assumere una badante sai? E poverina quella cercava di aiutare, ma tu non volevi, eri sempre stata indipendente fino ad allora. La cosa è peggiorata e sei stata portata in un ospedale o casa di cura, ora non ricordo con precisione, ma una cosa me la ricorderò per sempre: un giorno sono andato a trovarti con mia mamma e tu… dio… “, mi scende una lacrima, che provvedo subito a togliere con la mano, “tu non mi riconoscevi nemmeno, non sapevi il mio nome, volevi solo disperatamente parlare con mio padre, tuo figlio. Hai preso il cellulare di mia madre mentre stava squillando, probabilmente una sua amica che stava chiamando, e, senza rispondere alla chiamata, inizi a parlare, come se dall’altra parte ci fosse veramente mio padre, mentre il frastuono della suoneria ti rimbombava nelle orecchie”.
Inizio a piangere, non riesco contenermi; le lacrime iniziano ad annebbiarmi la vista e decido di rallentare; riprendo la strada per casa.
“scusa se ti ho interpellata solo per darti una carrellata di brutte notizie… so che vorresti per tuo nipote il meglio, ma la vita è mia e l’unico che può cambiarla sono io giusto? ” lo dico senza convinzione.
Arrivo a casa; “ciao nonna” lo bisbiglio sotto voce, con un debole sorriso. Spengo la macchina, mi soffio il naso, asciugo gli occhi, mi guardo attraverso lo specchietto per assicurarmi che le guance non siano rigate dalle lacrime, poi scendo e mi incammino verso la porta. Apro e trovo mio padre in poltrona; è rimasto sveglio ad aspettarmi.
“ciao, tutto bene oggi all’università? “.
Accenno ad un sorriso: “si si, bene, come al solito”; mi dirigo in camera mia, “buona notte”.
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Categorie: - Me stesso
Chapeau!
Hai talento per scrivere: coltivalo!
“Passerà questa pioggia sottile come passa il dolore…”
Una lettera molto bella
Molto bella.. La paura che hai di essere te stesso con gli altri la supererai crescendo, vedrai 🙂
scrivi sempre
Ma fatti un viaggio da solo e conosci tanta gente nuova io sono stato sempre in vacanza in Ungheria sul lago Balaton e ho conosciuto solo ragazze speciali se fossi sempre rimasto qua a deprimermi non oso imnaginare. Tanti viaggiano solo con compagnia e hanno paura viaggiare da soli non capisco quale sia il problema , da soli non si litiga con nessuno è si fa quello che si vuole … Meglio di così stacca un Po la spina ogni tanto
é più facile sfogarsi con uno sconosciuto, che una persona conosciuta. Pensaci
Campano,
sì, è più facile sfogarsi con uno sconosciuto, che però non potrà mai avere un’idea completa della realtà che viene descritta. ne apprenderà i soli aspetti che vorranno essere comunicati, e quindi non potrà che formarsi una visione unilaterale e limitata.
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Matthew,
testo intimistico di piacevolissima lettura. Bravo!