[continua…] Questo è stato forse il mio più grande errore. Avrei dovuto fregarmene, conoscere più ragazze possibile, chissà, forse avrei incontrato anche qualche ragazzo e gli sarei piaciuta, e mi sarebbe piaciuto, magari non si sarebbe fatto niente ma avrei sentito di avere una speranza. Non soffrivo fino in fondo per quell’educazione così rigida, soffrivo perché sapevo che in quell’ambiente era difficile, per me, trovare un compagno, lottare per frequentare qualcuno insomma, non sarebbe mai successo, e lo sapevo. Non ho l’aspetto della ragazza carina e spensierata tipica del liceo. Al liceo sono tutte belle. Almeno da me funziona così. Tutte con i nasini, con la bella pelle, capelli dal parrucchiere. Anche le brutte sono brutte belle, da liceo insomma, mica sono brutte da ceti popolari. Io avevo capelli terribili, un naso che ancora adesso fa piangere dal ridere i miei stessi genitori quando vedono una mia foto, una pelle devastata dall’acne, non sono molto proporzionata, ho le gambe corte e il fisico un po’ dritto da anguilla, come un maschio. Per essere considerata un essere umano devo frequentare ambienti dove ci sono donne molto semplici, e uomini che si accontentano, di solito sono persone che hanno un’istruzione bassa e una condizione economica umile. Purtroppo nella mia città, molto piccola e a prevalenza medio/alta-borghese, poiché c’era molta superficialità a volte mi riferivano che i genitori delle mie coetanee dicevano su di me che ero brutta e non avevo speranze. Per dire a che livelli di superficialità ci trovavamo. Non sapevo che avrei potuto trovare brave persone con cui trovarmi bene. Il fatto che io stessa venivo da una famiglia diventata col lavoro di mio padre medio-borghese da appena una generazione, mi faceva sembrare impossibile comunicare – culturalmente – con qualcuno che fosse ancora più ignorante delle persone che frequentavo.
Oltre questo, mi portavo dietro un’altra situazione particolare: entrambi i miei genitori non avevano parenti, entrambi si sono spostati a vivere in un’altra città, entrambi senza amici o circoli da frequentare (per ferrea volontà di mio padre che è inossidabilmente un invidioso di tutto e tutti, un complessato di quelli rari, e poi nelle situazioni sociali soffre a vedere mia madre più brillante e intelligente e serena di lui). Questa cosa mi ha reso una persona che non aveva un gruppo con cui interagire dalla nascita, a differenza delle mie amiche che per le loro esperienze potevano contare su cugini, figli di amiche della madre, conoscenze che si univano in virtù di questo, etc, in una città piccola in cui sembra si cammini per strada per gruppo sociale e non solo per ciò che si è (un paesino ecco a tutti gli effetti).
Il mio errore in tutto questo qual è stato? Cosa potevo fare? Ora che ci penso, col senno del poi, dovevo unirmi a qualche gruppo giovani di chiesa. Solo che non essendo molto credente, per coerenza (e invece nella vita bisogna essere furbi a volte…non guasta!) non ci pensai davvero mai. Nemmeno questo posto i miei genitori frequentavano. Avrei dovuto io superare la naturale diffidenza per questi gruppi di persone spesso strane e avere amicizie a tutti i costi. Eh si questa è stata una mia colpa. Ad oggi avrei un’identità presso almeno un circolo sociale, dato che per il resto non mi nacque una passione né niente, non sono mai stata a contatto con la musica, con un’arte qualsiasi, andavo solo a scuola e poi stavo a casa.
Capitolo scuola: non ne parliamo. Sterilità assoluta, bigottismo, antipatie gratuite per le ragazze più in vista, per le famiglie più di destra della città. Cose raccapriccianti. Lezioni terribili, non ho mai avuto il piacere di dire: che lezione meravigliosa. Oppure: che prof appassionato alla materia, quasi la fa piacere pure a me. Forse era colpa mia, fatto sta che su 25 di noi, 25 andavano a ripetizioni di matematica e fisica obbligatoria e la metà a latino, questo per cinque anni (l’altra metà prendeva 6 per i pianti dei genitori durante l’orario di colloquio con i docenti, non per altro.) Le altre materie per noi non esistevano. In inglese andavo bene perchè studiavo a casa da sola con i testi delle canzoni. Appena i prof si facevano una buona idea di te, 7 e 8 sul registro senza mai avere un’interrogazione, magari per un anno. Si accanivano solo su quelli che non studiavano mai, io e altri considerabili bravi andavamo avanti con i nostri voti alti agli scritti. Si lamentarono negativamente di me solo quando sentirono che un anno decisi di andare alla festa in discoteca organizzata annualmente dell’istituto. E poi quando smisi di studiare. Gradualmente, malessere e disperazione si presero possesso di me a tal punto che dopo il diploma (che mi vollero dare proprio per darmelo, lo ammetto. Gli ultimi due anni non studiai un solo giorno o quasi) non uscì di casa per 3/4 anni, dopo aver perso per un litigio anche le mie ultime due amicizie. In un contesto chiuso, serratamente chiuso, dove si andava avanti per gruppo sociale, persi la speranza nella vita, di poter fare qualcosa al di fuori, di poter amare qualcosa e qualcuno, e mi chiusi in me. Rimpiango di non aver saputo reagire e anche di non esser stata aiutata da un esperto. L’ho capito solo molto dopo che soffrivo di ansia, di convinzioni errate, di “patriarcato” a casa mia, e che avevo un disperato bisogno di stare con i miei coetanei sia maschi che femmine per quello che loro erano anche se non sapevano essere i più costruttivi o seri del mondo, in fondo mica lo ero io? I miei genitori non hanno mai mosso un dito a parte dirmi di uscire – fosse stato facile – e di studiare almeno.
Questo è il passato che avrebbe dovuto gettare le basi della mia personalità, che mi avrebbe dovuto fornire oggi a 30 anni esperienze e sicurezze, paure certo ma quelle fondate, e invece mi trovo oggi a zero, consapevole di essere a zero, anzi se guardo da quest’ottica mi dico in fondo che forse qualcosa di buono ce l’ho anche io se ho saputo mettere tutto da parte e iniziare comunque una storia d’amore – che mi ha dato gioie, consapevolezze e momenti di crescita per me FONDAMENTALI – e ho ripreso a studiare, contando sul mio futuro, almeno provandoci. Non dovrei in fondo vederla così, pur consapevole della ricchezza che ho perso?
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La chiarezza il piu’ delle volte costa fatica. Si pensa di fare brutta figura, ma a monte c’e’ la paura di ferire l’altro, unita a quella di apparire troppo fuori dal tempo. E’ difficile spiegare ad uomo che la tua sensibilita’ non ti consentirebbe di dormire separati (es.). Dietro questa esigenza non si nasconde la paura del tradimento o la storia dei doveri coniugali. Si tratta di un bisogno “spirituale”, e comunque difficile da spiegare, che si lega alla natura di quella singola persona. Ci sono persone che arrivano ad accettare la vedovanza proprio in virtu’ di questa estensione dei sensi che li porta a sentire la presenza, ad avere quella percezione fisica del vincolo che sostituisce il bisogno fisico di sentire la presenza. Nel mondo di oggi e’ difficile mettersi a nudo in questo senso. Si tratta di aspetti del tuo carattere e della tua personalita’ che ti mettono in imbarazzo. Riconoscere in se’ stessi quello che si contesta del mondo non e’ da tutti. In alcuni aspetti mi sento un po’ materialista, ma nel mio piccolo mi sforzo di essere umile. Accetto le posizioni degli altri e cerco di essere sempre la prima a fare un passo indietro. Ma non mi sento una donna remissiva. Cerco di far prevalere il giudizio.