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I mali dell’Italia

di pisino

È molto facile impancarsi a giudici imparziali, dispensatori dall’alto di condanne e di assoluzioni, quando si scrive su un giornale o quando si discute al bar o dal barbiere. E difatti nella bocca dei giornalisti italiani abbondano allarme, condanne e moralismo. E così anche nelle discussioni al bar.
Lo studioso Galli della Loggia ha sottolineato questa antica tradizione della gente dello stivale e soprattutto delle sue élites intellettuali (vedi per esempio il Leopardi) di versare nella condanna globale dei costumi, delle mentalità, dei difetti di tutta una classe politica e di tutto un popolo.
Gli italiani sono portati al giudizio morale, alla lamentela, alla giaculatoria. Le condanne, le proposte, le soluzioni ai problemi che affliggono l’umanità derivano in Italia da uno spiccato gusto che ha la gente per il teorico, per la discussione, per l’esibizionismo, per il “perché non fate come me?”. Il giornalismo italiano è in genere – vedi lo stesso Enzo Biagi, recentemente scomparso – un giornalismo moralizzatore in cui il predicar bene nasconde spesso il razzolar male. Biagi, per esempio, nonostante il suo voler apparire bastian contrario, a me è apparso sempre un uomo in sintonia con il potere.
Fatta questa lunga premessa, vorrei anch’io esprimere un parere su certi mali che affliggono l’Italia e da cui gli italiani farebbero bene ad affrancarsi.
Uno dei più gravi, secondo me, è l’oralità incontinente, cioè il gusto per le chiacchiere, per le polemiche. Se c’è una parola che ricorre incessantemente dalle Alpi alla Sicilia, questa è appunto “polemica”. So che un popolo non cambia carattere facilmente. Ma io non propongo che gli italiani diventino dei pesci d’acquario, incapaci di esprimersi, introversi, poco amanti del contatto umano, frigidi insomma (come tanta gente di qui, in Québec dove vivo, tanto per intenderci). Il popolo che ha avuto sempre l’ossessione del bello è troppo cosciente della bellezza dei gesti, delle parole, dei suoni, per immeschinirsi e ridursi a delle ombre. Ma le chiacchiere e la retorica sono dei veri cancri, in un’Italia dove dal presidente della Repubblica all’imbianchino, passando per i magistrati, fanno tutti a gara a chi esterna di più.
E se un tempo vi era il culto della frase pomposa, oggi l’oralità incontinente privilegia lo scimmiottamento della parlata americana. Gli italiani, non dimentichiamolo, sono dei grandi imitatori. Invece dovrebbero dare un bel calcione alle parole inglesi perché queste oscurano le frasi e rendono ridicolo un intero paese. Ma cos’è questa “Devolution”? Dobbiamo forse chiederlo al “Ministro del Welfare” nel “Question time”?
E non sono solo le parole inglesi, mal pronunciate e mal capite, che andrebbero ostracizzate. Sarebbe da correggere, perché approssimativo, anche un certo vocabolario che gli italiani usano. Prendiamo il termine “immigrato”, di cui si servono spesso a sproposito. “Immigrati” vengono infatti chiamati anche i clandestini extracomunitari che si trovano su natanti di fortuna in alto mare.
Parole e frasi come “il senso dello Stato”, “i nodi verranno al pettine”, “servo del padrone”, “fede antifascista” e certe altre sono state in gran parte abbandonate. Adesso si fa un grande abuso dell’aggettivo “civile”. Nel paese dove tutti sembrano avere un enorme “coraggio civile”, duole constatare che è il coraggio “tout court” a far spesso difetto.
Voglio infine puntare il dito sui due peggiori cancri che affliggono l’Italia: la malavita organizzata, che controlla larghe fette del territorio nazionale, e lo spirito di parte, ossia lo spirito ideologico, partitico, settario di tanti italiani sprovvisti di un sentimento elementare d’interesse e di dignità nazionali.

Lettera pubblicata il 12 Novembre 2007. L'autore ha condiviso 3 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore .
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