Donatori di musica…non solo per lo spirito!
Con queste parole, ricordo, ebbi il piacere di commentare e condividere un post su facebook lo scorso 13 marzo dopo essere stata ad un concerto per pianoforte nel reparto di oncologia di Mantova.
Io il cancro l’ho conosciuto di persona, avevo 35 anni, non molto tempo fa e , come di solito accade, in quei momenti si ha l’impellente bisogno di affidarsi e di fidarsi di qualcuno che ti prenda in carico e si curi di te. E così fu! Nei primi mesi il reparto di oncologia di Mantova diventò la mia seconda casa, i medici il mio punto di riferimento e gli infermieri il sorriso quotidiano che dava conforto e infondeva una parvenza di normalità durante l’infusione della chemioterapia.
In assoluto, l’urgenza di percepire che la vita condotta fino a quel momento non sarebbe stata del tutto stravolta dalla malattia era il bisogno primario, la cura migliore per il cuore e, di conseguenza, per il corpo.
Ecco perché mi è spiaciuto molto leggere le accuse rivolte ai medici del reparto oncologico di Mantova, criticati per aver inserito, all’interno del reparto, momenti ricreativi e culturali con musicisti donatori di musica per alleviare le sofferenze dei pazienti e dei loro familiari. Non un nuovo metodo di cura, ma un’attenzione e una cura in più oltre a quelle farmacologiche affinché anche un luogo come può essere quello di un reparto di oncologia possa essere il più accogliente possibile e dare la sensazione che la bellezza esista anche là dentro. E allora penso che possa accadere di provare rabbia o sconforto per la malattia di un proprio caro o anche di non sentirsi coccolati o trattati come si vorrebbe, ma generalizzare e accusare un intero reparto di insensibilità e indisponibilità sia ingiusto per chi lo riceve come accusa, ma ancora peggio rappresenti l’oblio per chi, colpito dal cancro, o coinvolto come suo familiare, rischi di perdere la fiducia in chi si dovrà prendere cura di lui e accompagnarlo verso la guarigione possibile.
Michela Russo
3357586757
Michela,
ti fa onore difendere quello che hai avuto modo di conoscere in un momento in cui “l’urgenza di percepire che la vita condotta fino a quel momento non sarebbe stata del tutto stravolta dalla malattia era il bisogno primario, la cura migliore per il cuore e, di conseguenza, per il corpo.”
non avendo vissuto l’esperienza e il personale sanitario che hai descritto, non sono in grado di aggiungere altro, né in positivo né in negativo.
sempre difficile comprendere e accettare opinioni diverse dalle nostre, che dovrebbero comunque avere una loro ragione di essere, magari anche soltanto determinata da difficoltà personali che trovano sfogo su aspetti che meriterebbero approvazione.