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La mia triste storia

di malinconica66

Mi è venuta voglia di raccontare la mia storia nella speranza di trovare qualcuno che abbia con me e la mia vita risvolti analoghi. Ho 45 anni, figlia di una ragazza madre che si è sposata con il mio padre adottivo quando avevo 6 anni. Due matrimoni alle spalle e storie sentimentali tutte fallimentari. Non ho avuto figli (pur desiderandoli) e a parte i miei genitori ormai anziani non ho nessun parente. Ho un lavoro che non amo, una casa, amicizie con rapporti discontinui e per me difficili da gestire per la grande sfiducia che nutro nei confronti degli esseri umani in genere. Con i miei i rapporti sono sempre stati conflittuali, non mi sono mai sentita appoggiata e quando sono in difficoltà non confido nel loro aiuto. Adesso sono in una fase della mia vita in cui sento che la vecchiaia si avvicina e il senso di solitudine è sempre più presente e invadente. Piango sempre, ho pensieri negativi sul mio futuro nel quale mi vedo vecchia e sola. Quando i miei non ci saranno più sarò completamente sola ed il pensiero mi terrorizza. Penso a quanto è ingiusta la vita che non dà a tutti le stesse possibilità. Perché nascere per essere destinati ad una vita grigia, senza affetti, monotona e triste? Penso spesso al suicidio perché non vedo alternative alla sofferenza. Non voglio intraprendere terapie farmacologiche che ti danno una carica artificiosa da cui poi dipendi per la vita. Le psicoterapie, già sperimentate, sono costose e non ti garantiscono soluzioni, anche perché spesso fatte da professionisti che non hanno davvero a cuore il loro lavoro, un lavoro molto delicato e dai risvolti etici spesso disattesi. Ho cercato di essere molto concisa perché lo spazio è limitato. Non sono nemmeno capace di chiedere aiuto, sono e rimango chiusa in me stessa, nel tentativo orgoglioso di difendere una presunta dignità calpestata fin dalla nascita, quando le cosiddette (in termini tecnici) “figure di riferimento” avrebbero dovuto dare le giuste risposte ai bisogni di una vita da loro dipendente, vita che, lasciata alla mercé del caso, adesso è in seria difficoltà.

Lettera pubblicata il 12 Marzo 2012. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Categorie: - Me stesso

La lettera ha ricevuto finora 5 commenti

  1. 1
    alice -

    Ciao cara,in primis nel tuo nik ce scritto 66 e se è l’anno della tua nascita hai solo 46 anni e obiettivamente hai ancora una bella fetta di vita davanti e anche se 66 fossero i tuoi anni vecchia non saresti!!
    Niente nella vita è perduto se hai la voglia di metterti in gioco! metti seriamente da parte la malfidenza e buttati anche a rischio di prendere delusioni!!Sacrifica la tua infelicità e ricomincia a vivere e frequentare gente!!Posso capire che il pensiero di perdere i genitori per paura di rimanere sola, ma ricordati che se sei serena la solitudine non ti distrugge!!Per via della figura mancante del padre ti consiglio di non pensarci,ormai hai una personalità costruita e non te ne fai nulla ma se proprio vuoi sappi che un uomo vale l’altro quindi prendine uno di riferimento che per te sia il migliore e segui cio che pensa e fallo tuo!! il consiglio che ti posso dare è esci, frequenta gente, vai a ballare, dedicati a qualsiasi hobby , svagati e soprattutto vivi!!!

  2. 2
    malinconica66 -

    Cara Alice ti ringrazio e concordo sulla necessità di superare l’inerzia che mi accompagna da tempo. Il motore è bloccato e il cervello impegnato in continue rimuginazioni negative. Ho chiesto un periodo breve di astensione dal lavoro per avere la possibilità di fermarmi ad ascoltare meglio il mio disagio e viverlo fino in fondo nella speranza di poter ripartire. E’ molto dura però. Passo le mie giornate da sola a leggere, leggere, leggere tanto materiale sulla tristezza, sulla depressione, ma anche sull’assertività, sul pensiero positivo, sull’autostima. Leggere non fa male, anzi arricchisce se le fonti sono ben selezionate e affrontate con spirito critico, ma ad un certo punto deve anche arrivare il momento di agire, di sperimentare sul campo le informazioni apprese ed è proprio lì che casca l’asino. Superare l’inerzia, decidere di investire energie in qualcosa è un punto di impasse difficile da oltrepassare. Oggi ho chiesto l’aiuto di un amico/collega che da anni frequenta ambienti ricreativi religiosi. Spero possa essere un punto di partenza. Io non sono religiosa nel senso formale del termine. Ho avuto come la maggior parte degli italiani un’educazione cattolica messa in discussione durante la crescita e sono troppo razionale per vivere la religiosità tradizionalmente intesa, ma spero in questo modo di trovare dei contatti, persone con cui relazionarmi e che abbiano raggiunto un livello di consapevolezza tale da renderli tolleranti anche nei confronti di chi non la pensa esattamente come loro. Non ci sono solo integralisti tra i cattolici per fortuna. Mi rendo conto che il percorso non è facile e che alla fine l’unico punto di partenza è in noi stessi. Per ora ho individuato il punto, prossimo passo accendere il motore.

  3. 3
    cassandra8 -

    “Malinconica66” purtroppo al giorno d’oggi il lavoro che facciamo non è mai quello che ci piacerebbe fare,ma in qualche modo dobbiamo pur sopravvivere…Hai la fortuna di avere una casa e non è poco,hai dei genitori con i quali non hai uno splendido rapporto,ma ce li hai ancora!Non è mai troppo tardi per rimediare!Un giorno potresti pentirti di aver lasciato le cose così e potrebbe anche mancarti semplicemente il sentirti “attaccata”…Sei ancora giovane e non devi buttarti giù!Come ti ha già suggerito “Alice” esci,svagati,dedicati ad hobby,cerca la tua anima gemella!Non hai potuto avere figli pur volendoli?Potresti adottare…Fai bene a non affidarti ai farmaci,che danno una cura effimera,ma non pensare al suicidio!Pensa a chi vorrebbe vivere ma non può…Sii ottimista e come hai detto,supera l’inerzia!Solo se ti alzi e fai qualcosa le cose cambiano!

  4. 4
    malinconica66 -

    Hai ragione Cassandra. Dovrei guardare da un’angolazione diversa gli aspetti della mia vita che considero in modo negativo. In particolare quando piango pensando a ciò che mi è mancato in termini affettivi fin dalla nascita, una nascita che ritengo molto sfortunata forse perchè confrontata con quella di tante persone che mi sono passate accanto negli anni e che hanno avuto a differenza di me una crescita “normale”. Per normale intendo una famiglia che dà le attenzioni richieste ad un individuo in crescita. Pensando ai miei genitori non posso dire che siano persone cattive e indifferenti sono tutt’altro che tali. Sono a loro volta il frutto della loro educazione e hanno dovuto tenersi in equilibrio con le risorse che a loro volta hanno ricevuto. Mi addolora moltissimo il pensare alla loro infelicità e al fatto che avrebbero potuto essere anche loro più fortunati, ma la vita non è generosa con tutti. Mi addolora vivere la distanza emotiva nei loro confronti, ma è un blocco talmente pesante da non riuscire a spostarlo. Li assolvo razionalmente, ma emotivamente c’è qualcosa che mi frena. Sono molto arrabbiata con la vita e sono imprigionata in una posizione di orgogliosa pretesa. E’ molto infantile tutto ciò e sò che finchè non ammorbidirò questa rigidità di fondo le cose non cambieranno. Ho costruito la mia identità sul confronto continuo con gli altri ritenendomi sempre e costantemente “svantaggiata” anche se fisicamente e materialmente non è così. Provengo da una famiglia umile e non sono ricca, ma non mi manca nulla dal punto di vista pratico e nei confronti delle persone oggettivamente svantaggiate è davvero riprovevole ritenersi tale. Il mio handicap è affettivo o almeno così ritengo che sia. Ho sempre vissuto con un senso di “mancanza” come compagna di viaggio e questa sensazione mi ha impedito di mettere a frutto le ricchezze che possiedo, ma alle quali non ho mai dato importanza perchè concentrata su quella maledetta “mancanza”. Se una persona vive concentrata sulle carenze è ovvio che sviluppa rancore, senso di credito nei confronti della vita, invidia nei confronti di chi ritiene abbia ciò che a lei manca. Bisogna cancellare questa visione delle cose, smontare tutto l’apparato di credenze costruito negli anni e incominciare a guardare la vita con occhi nuovi, gli occhi di chi vede solo ciò che ha e parte da lì, apprezzando, amando e provando gratitudine per ciò che ha. Ora piango pensando alla vitalità che ho sotterrato continuamente con la mia suicida visione della vita, una vitalità che non merita di essere maltrattata, ma che ha diritto finalmente di esprimersi e forse non è troppo tardi per farlo.

  5. 5
    malinconica66 -

    Guardare con nuovi occhi la vita non è facile. Si tratta di un nuovo inizio che richiede umiltà. Rimettere in discussione l’apparato di credenze è come rinascere e iniziare a guardare con gli occhi di un bambino il mondo e dare ad esso un significato nuovo. E’ come se fossimo contemporaneamente genitori e bambini. L’abitudine radicata di interpretare gli eventi in un certo modo và contrastata e sostituita da una nuova visione, più funzionale a un rapporto disteso e conciliante con la realtà e con noi stessi. Modificare gli automatismi costruiti negli anni è un lavoraccio che richiede concentrazione, impegno e disciplina mentale. E’ più facile se durante questo percorso si è affiancati da qualcuno che capisce il lavoro che stai facendo e ti supporta magari mettendo a disposizione la sua analoga esperienza. Magari con una nuova disposizione d’animo e una nuova apertura potrò vedere che sono già in buona compagnia e guardando con nuovi occhi magari vedrò nelle persone che incontro aspetti che fino ad ora non ho mai notato. E’ molto difficile ripartire, molto molto difficile

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