Lui è un ragazzo dal cuore d’oro, il più buono che in vita mia abbia avuto la fortuna di incontrare.
Perfettamente imperfetto, ma perfetto per me. Sognatore, idealista, eppure lucido, logico.
Ho sempre adorato la sua capacità di credere caparbiamente nel futuro pur detestando il presente, il suo rifiuto della convenzionalità pur non appellandosi ad alcun simbolo estetico, il suo essere diverso senza sforzi, il suo essere libero pur impegnandosi, il suo essere obiettivo anche quando i malesseri lo investivano, il suo amarmi con semplicità.
Un po’ come cantava qualche tempo fa Jovanotti, lui mi ha “raccolto come un gatto” e mi ha portata con sé.
Quando l’ho incontrato iniziavo a realizzare quanto il mondo attorno non mi piacesse, quanto fossi lontana dall’ipocrisia che ogni giorno mi si infilava negli occhi, nelle orecchie, quanto incapace fossi di adattarmi alla cosiddetta falsità. E di quanto, malauguratamente, più cercavo
di allontanarla più me la ritrovavo ovunque, di quanto fossi triste perché a casa mi volevano
educata, rispettosa, la domenica in chiesa, triste o felice era relativo, e perché a 14, a 15, a 16 anni le ragazze hanno tutt’altri pensieri che qualche ragionamento strutturato sul mondo, sentirsi soli non era poi così difficile.
E lui mi ha incoraggiata a lottare per quello in cui credevo, l’unico che capisse quel discorso, anzi che lo pensasse da molto tempo.
Sì, ammetto, crescendo ci siamo sentiti speciali e unici, migliori. Il nostro è stato da subito un matrimonio ideologico: stesse visioni, stessa ribellione, stesso comportarsi di conseguenza ai pensieri, stessa coerenza, stessa ostinazione, stessi interessi, stessi gusti.
Eravamo due studenti orgogliosi che guardavano increduli i loro coetanei sprecare gli anni più belli dietro a fumo, alcol, droghe, volgarità, festini, televisione, video games, e loro guardavano noi con disprezzo, quando in sella alle nostre bici correvamo come pazzi verso i prati, quando passavamo i pomeriggi a fare foto, a mangiare gelati e progettare il futuro insieme. Le vacanze, i viaggi, i libri, i film, la prima macchina, l’università… e poi la nostra casa, i nostri figli.
……………
Sono passati diversi anni da quei giorni. Siamo cresciuti, sempre insieme. Abbiamo superato i pregiudizi degli altri, i dispiaceri, abbiamo perso e lasciato per strada tanta gente, tutti tasselli di un puzzle ormai lontano. Siamo un po’ cambiati, pur rimanendo sempre uguali. Perché te ne accorgi da quali priorità uno dà alle cose, se è sempre lo stesso. Sono felice di quella scelta, lo so che è quello giusto, la nostra storia non è stata umiliata da terze persone, abbiamo dimostrato a noi stessi qual è il vero rispetto reciproco, abbiamo raggiunto il compromesso per molte questioni, l’equilibrio nell’infinito andare e venire del bene e del male.
Eppure scrivo qui perché ho un peso nell’anima. E quel peso si chiama paura, una paura che non riesco a superare. Mi chiedo se davvero io sono quella giusta per lui, se saprò farlo felice, se sarò una brava compagna di vita. Perché in fondo sono sempre stata malinconica, lo sono di natura. A sprazzi sono allegra, sono entusiasta, forse anche coinvolgente, sono fedele, sincera, bilancio dolcezza e attimi di stizza, ma resto sempre la ragazza disillusa, quella che si chiude nei suoi nuvoloni neri e si impensierisce. Ho il brutto vizio di rimuginare sui dispiaci, ne soffro e non so fingere. Come può una persona triste fare felice la persona che più ama al mondo? Perché prima di amarlo gli voglio bene e questo vuol dire che la cosa più importante è che lui stia bene, che si senta a casa con me, in un nido carezzevole e rassicurante. Ma il passato mi rimbalza addosso, ho il terrore di diventare la moglie e la mamma che è stata la mia famiglia per me, dove quasi tutto si traduceva in chiusura, no, spiegazioni mancate, un nido che nutre ma non permette di volare. Quanto a me.. me ne accorgo che, pur abituato, soffre la mia lontananza quando i brutti pensieri mi trasportano in un mondo fatto di ansie e insicurezze. Preciso: non insicurezze su noi, ma sulla paura che noi, quelli diversi dal mondo, quasi come per punizione, ci ritroviamo soli e senza via d’uscita. Lo siamo effettivamente soli, possiamo contare solo l’uno sull’altra. Questi sono i mesi in cui rifletto, e mi spavento, mentre lui vorrebbe chiudere gli occhi e buttarsi, mentre mi chiede un figlio ma io mi concentro sul lavoro che non lo permette, mi chiedo se mai potremmo essere indipendenti, essere un nucleo unico e svincolato.
Sono giovane, eppure sento che è maturato il tempo di andare, di crearci la nostra famiglia, a modo nostro come sempre… ma se penso alla soluzione che non trovo, alla leggerezza alla quale non so consegnarmi, mi salta in mente un mare fatto di punti di domanda. Lui, come sempre, a tutto questo risponde con un “pensi troppo, rilassati”. Ma io non dormo più…
Altre lettere che potrebbero interessarti
Categorie: - Amore e relazioni - Me stesso
Non capisco tutte queste tue “paranoie” (e ti prego di non prenderla come un’offesa il mio considerare queste tue riflessioni come paranoie…sicuramente per te sono qualcosa di molto più profondo che però io non posso captare in pieno non essendo te).
Però, io credo che hai una grande fortuna e cioè quella di avere accanto un uomo che ami e a cui vuoi bene, e che ricambia questo amore nei tuoi confronti. Ed è su questo che devi farti forza.
Sarai una moglie perfetta se lui ti sceglierà come tale. Sarai ai suoi occhi una madre perfetta se lui avrà scelto te come madre dei vostri figli…
Insomma, non devi pensare di non poter essere all’altezza. Lo sei nel momento in cui tu pensi di esserlo e lui te ne dà conferma. Tutto qui.
Non bisogna fasciarsi la testa ancor prima di essersela rotta!!
Goditi il tuo amore, la tua anima gemella, la tua vita con lui e pensa a che grande fortuna stai vivendo! Tutto ciò che potrà venire fuori da questo amore, non potrà che essere qualcosa di buono e meraviglioso…
Non pensare e rilassati!