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Lettera pubblicata il 17 Settembre 2005. L'autore, beppino, ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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marco.dt,
mi sono soffermata su queste tue parole: “riflessioni sul senzo che ha la vita e cosa il futuro ha da propormi”.
non è che ti aspetti troppo dalla vita e dal futuro?
hai provato a pensarla in termini di dare invece che di avere?
non sono sicura che chi vuole togliersi la vita la ami più degli altri. Pavese, che di fatto se la tolse, dopo un’inutile richiesta indiretta di aiuto, la viveva con grande difficoltà… e non mi pare che ne fosse così attratto…
sapete che
– si dice che chi parla di suicidio non lo fa mentre si dovrebbe temere molto di più che lo faccia chi non ne parla?
– che più si va avanti con gli anni e meno ci si suicida?
– che i paesi dove più alto è il numero dei suicidi sono quelli in cui si gode collettivamente di un certo benessere?
a volte la gioventù, non avendo mai visto in faccia la morte, vive la possibilità di questo evento più o meno come un gioco, senza rendersi conto veramente che davvero gli occhi non si apriranno più, la bocca non avrà più parole, le braccia resteranno inerti…
senza contare quando se ne parla, o lo si fa, solo per attirare l’attenzione… infatti, sono pochi quelli che lo fanno tanto bene da riuscirci: nella stragrande maggioranza dei casi tutto si risolve in un po’ di agitazione…
resta un atto contro natura, come il figlio che muore prima del padre, non sono cose da tutti i giorni…
ciao!
marco.dt,
adesso capisco meglio il tuo disagio. non è il futuro o la vita in sè che ti spaventano, è la difficoltà di rapportarti agli altri. questo sì che è un grosso problema…
dovresti cercare di capire da dove nasce, cosa tutt’altro che facile… vorrei poterti dire di più ma è un qualcosa che conosco poco, anche se una persona a me carissima patisce per queste difficoltà come te. non è che ti vedi più interessante e più importante di quanto gli altri ti riconoscano? non è che anche qui ci possa essere un eccesso di aspettative da parte tua?
forse siete soltanto diversi dalla massa e fate fatica a inglobarvi. e vivete la situazione con sofferenza… la fase di adeguamento potrebbe essere lunga ma potrebbe essere anche meno difficile di quello che sembra trovare un equilibrio…
ciao!
Io non odio la vita,
ma non sopporto le persone che non capiscono,che fingono d’ascoltarti ma poi non lo fanno mai!Quelle persone che ti chiedono come stai e poi se gli dici male attaccano con un’altro discorso…Non sopporto la mia personalità sempre così insicura con la paura d’essere guardata,toccata anche solo per stringere la mano,
non mi reggo come ragazza,mi affeziono alla gente soffro con le persone sono così insicura che arrivo persino a non camminare più se per strada vedo la folla,sono così sbagliata
Sono d’accordo, Rossana, quando dici che è possibile un adeguamento rispetto alla massa ma se questo comporta la repressione della mia personalità preferisco starmene solo.
ania,
non sei e non puoi essere sbagliata. sei soltanto una giovane donna, priva di riferimenti, che deve portare un grande peso.
quasi nessuno ti chiede come stai perché si interessa effettivamente e te. tutti vogliono una risposta all’inglese: bene, grazie! purtroppo nasciamo e moriamo soli. perché dunque aspettarci che durante il cammino qualcuno ci faccia compagnia? capita, sì, ma per qualche tratto di strada soltanto ed è sempre un dono! non è una visione pessimistica: è la nuda realtà! sono tutti con te in una festa ma guai ad aver bisogno di un prestito! vogliono avere da te, dare è altra cosa, privilegio dei santi…
e cchhe cavolo, non vorrai mica, per caso guastar loro la giornata, vero?
e come potresti essere sicura, immersa come sei in una situazione difficile e dolorosa?
purtroppo, a mio avviso, hai due possibilità soltanto:
– subirla e patirla come in un calvario, oppure
– accettarla volontariamente e sforzarti di “portarla” dentro di te, con dignità.
c’è una enorme differenza fra i due atteggiamenti, che portano, credimi, a due vissuti completamente diversi.
PS: anch’io sto tentando la seconda strada, e non è che sia facile, eh!
ciao!
Con tutti i ragazzi/e che ho frequentato mi sono sempre sentito considerato poco seriamente e mai le mie parole hanno avuto un gran peso e la mia presenza ha spesso lasciato indifferenti gli altri.Da un po di tempo ho la tendenza ad isolarmi e questo mi fa soffrire ma mi permette di stare più a mio agio con me stesso.
ciao!!!
beh, marco.dt, se è per questo io sono praticamente sola da sempre, anche se ho avuto ben due compagni di strada, complessivamente per una durata di 24 anni…
può capitare che sia preferibile star soli che con una massa con cui non ci si ritrova. personalmente mi consolo con qualche bicchierino di marsala e parecchia Nutella, al bisogno. non mi sembra il caso, però, nè di ubriacarmi nè di annullarmi in altre droghe.
dai che ce la si fa, magari stringendo un po’ i denti ma ce la si può fare. qualche volta può pure essere bello avere la libertà di essere allegri o tristi, a piacere, e di alzarsi o andare a letto quando ci pare e piace… e poi c’è la radio, la televisione, il cinema, il pc…
comincia a volerti bene da te. ciao!
Guarire dall’ansia, dalle malattie, dal mal di vivere: e’ possibile e senza ricorrere ne’ a Freud ne’ agli psicofarmaci, una strada che soprattutto i francesi ritenevano inevitabile. La nuova bibbia in Francia e’ ‘Guarire’, il libro nel quale David Servan-Schreiber rivela i sette pilastri per riconquistare la salute dell’anima e del corpo.
Figlio del giornalista fondatore de ‘L’Express’, il professor Servan-Schreiber s’e’ fatto una notorieta’ negli Stati Uniti, dove con i suoi metodi originali e naturali, che definisce ”medicina integrale”, ha stupito pazienti e cattedratici all’ospedale di Pittsburgh, dove dirigeva il reparto psichiatrico. Agli americani depressi o ansiosi, consigliava di mettersi in casa un bel cagnolino, o un gatto, magari anche un uccello. Per uscire da se’, scaricare l’affetto e far resuscitare l’atrofizzato mondo delle emozioni, cosi’ sottovalutato dalla scienza cartesiana.
Basta un animale domestico per guarire? Non e’ cosi’ semplice. Il nuovo credo e’ tutto in ‘Guerir’, volume che Servan-Schreiber ha scritto al suo ritorno in patria – ad appena 40 anni – e ha gia’ venduto in 4 mesi ben 140.000 copie. In Francia, il paese europeo con piu’ suicidi di giovani e quello in cui si vendono piu’ psicofarmaci, il ritorno del figliol prodigo portatore della buona novella e’ particolarmente benvenuto.
Stretto fra Cartesio e Freud, il francese non lascia troppo spazio alla fantasia nella cura dei propri acciacchi fisici e interiori. I sette pilastri di Servan-Schreiber vanno dall’imparare a svegliarsi al mattino al profondo respiro che regola i battiti del cuore, da precise scelte dietetiche all”’integrazione neuro-emotiva attraverso i movimenti oculari”. Tutto con ampia documentazione delle esperienze fatte in prima persona dal medico francese in terra americana curando corpi e anime.
Il principio base e’ che il corpo, lasciato in secondo piano da Freud, ha le sue ragioni e reclama diritti e un posto d’eccezione. A molte discipline un po’ naif, esuberanti, creative e New Age made in California, Servan-Schreiber ha posto il suo marchio scientifico: sono provate e dimostrate, ne’ piu’ ne’ meno come i farmaci di cui ci fidiamo ciecamente. La dieta? Se vuoi vincere la depressione devi affidarti agli omega-3, gli acidi grassi presenti nel pesce e nelle verdure. Le emozioni? Impara a viverle tutte, non sopprimerle ma coltivale e inseguile, cerca l’emotivita’ ”sociale”, la capacita’ di prendere decisioni, la simpatia. Ma se arrivano non disdegnare neppure imbarazzo o senso di colpa.
Ipnosi, yoga e altre discipline ormai ben note vengono rivisitate con coerenza scientifica implacabile. Una, in particolare, sembra poter regalare sollievo a stuoli di persone che vivono il loro dramma in solitudine: le vittime di stupri o violenze, di attentati, di catastrofi naturali, quelli che non ce la fanno nemmeno a raccontare perche’ vivono un dolore troppo forte. Tutti loro possono essere aiutati dall’EMDR, una tecnica di rieducazione dei movimenti oculari involontari. Perche’, e’ ormai certo, il trauma si annida come una cisti nelle pieghe del cervello riportando la vittima all’atrocita’ del momento trascorso. Rieducando il movimento della pupilla, si stimola il paziente ancorandolo alle sensazioni presenti e sciogliendolo per sempre, in poche sedute, dall’incantesimo del dramma vissuto.
Testo di Tullio Giannotti
Una tecnica rivoluzionaria per il trattamento dei traumi
Vorrei iniziare a parlare di una tecnica terapeutica decisamente innovativa, che solo da pochi anni è giunta in Italia dagli Stati Uniti.
Dobbiamo l’intuizione, che sta alla base di questa promettente procedura risalente agli anni 80, a Francine Shapiro.
Questa tecnica combina aspetti fisiologici e psicologici, riuscendo a curare sia gli effetti psichici che quelli somatici scatenati da traumi.
E’ un metodo rapido, potente, estremamente efficace in molte patologie ove altre terapie sia farmacologiche che psicologiche devono arrendersi o contentarsi di modesti effetti palliativi.
Il concetto di trauma non sempre rimanda ad un significato obiettivo, riconducibile alla gravità di ciò che è stato subito (traumi gravi) ma, come è ovvio per chi si interessi del disagio e della sofferenza psichica nell’uomo, qualunque evento negativo può svolgere una azione disturbante più o meno intensamente traumatica in relazione alle variabili soggettive di colui che lo subisce..
L’E.M.D.R (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) sfrutta ed amplifica alcune procedure al contempo fisiologiche e psicologiche attraverso le quali tutti noi filtriamo, elaboriamo e neutralizziamo, a poco a poco, ciò che ci colpisce emotivamente nella nostra vita.
In certi malaugurati casi questi meccanismi naturali subiscono uno scacco, ma oggi possiamo andare in loro soccorso senza aggiungere niente dal di fuori, ma semplicemente riattivando al meglio questi preziosi automatismi naturali.
Dice la Shapiro: “ Gran parte di ciò che consideriamo disturbo mentale è il risultato del modo in cui le informazioni vengono immagazzinate nel cervello. La guarigione inizia quando sblocchiamo queste informazioni e permettiamo loro di emergere. Io considero tale processo di guarigione come un’attivazione delle capacità di autoguarigione psicologica che è innata nella persona, così come un corpo possiede la capacità di guarirsi quando è ferito.”
anonimo, grazie molte per i tuoi post. il libro è già stato tradotto e pubblicato in Italia?
la frase: “ Gran parte di ciò che consideriamo disturbo mentale è il risultato del modo in cui le informazioni vengono immagazzinate nel cervello.” è profondamente vera. a mio avviso, riprende Freud con una sfumatura diversa ma la soluzione, qui, è data da una tecnica fisica, che attiva la mente attraverso il corpo e non avviene a mezzo di parole. processo più lungo perché prima di poter sciogliere in parole il grumo che ci danneggia bisogna riuscire a scovarlo.
secondo me, il punto cruciale è che il primo passo per accostarsi a qualsiasi forma di aiuto per guarire (trovarsi un cucciolo da accudire e amare, per esempio, per essere riamati in modo semplice e istintivo) bisogna VOLER guarire.
spesso guarire significa anche modificare di molto la propria attitudine alla vita e le proprie reazioni. inevitabilmente si cambia e credo che questo spaventi molto.
in secondo luogo, come nelle medicine, bisogna credere e aver fiducia in quello che si fa, altrimenti è difficile che funzioni. ma bisogna anche impegnarsi, molto e a fondo. per far questo non si deve essere troppo giù, fisicamente o emotivamente, altrimenti non si hanno le risorse necessarie. il tutto, nell’insieme, è un processo lungo, che richiede tanta volontà e tanto coraggio.
personalmente, non so bene perché, tendo a trascurare abbastanza le esigenze del corpo e non amo i processi essenzialmente tecnici, come ad esempio il reiki… preferisco star male ma essere me stessa che star meglio attraverso un qualcosa che mi può modificare in modo meccanico, portandomi a risultati imprevisti.
in molti casi, poi, non si tratta di guarire da qualcosa che è stato ma di imparare, semplicemente, ad adattarci, più o meno bene, a situazioni dolorose che fanno parte della nostra vita, nel senso che non riusciamo praticamente o non possiamo emotivamente staccarcene, e sono fonte continua di dolore.
è vero che ci si abitua a tutto, anche ai campi di concentramento, ma occorre molto tempo per abituarsi a soffrire, e ancora più tempo per abituarsi a soffrire senza sentire l’impulso di chiedere aiuto. aiuto che poi viene sempre negato. sono ben poche le persone che accettano di condividere a lungo una sofferenza. ad ognuno bastano le proprie…
spero che i tuoi post inducano i nostri giovani amici a cercare il loro sentiero per star meglio, magari cominciando con una visitina ai servizi ASL… che poi ne discutano fra loro, per esempio qui, formando un piccolo gruppo di autosostegno, che si comunichi sensazioni, miglioramenti, ricadute, tecniche sperimentate… potrebbe essere bello e utile a tutti.
a me sei stato di aiuto. grazie!