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Lettera pubblicata il 17 Settembre 2005. L'autore, beppino, ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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beppino, hai provato con un tiramisù fatto bene coi savoiardi sardi e il mascarpone buono?
Grazie, Golem…
Io amo la vita. Se voi mi conosceste, nella vita quotidiana, vedreste che ad esempio, quando mi preparo il caffè, sto già rallegrandomi, ed al limite, salto per la gioia. Per un semplice caffè…Quando vado in città, il mio rituale è andare in un caffè a bermi o mangiarmi qualcosa. Funziono così, con i piccoli piaceri quotidiani…e quando sono con mio fratello, mi rifiuto il piacere, spesso, perché lui non vuole ch’io spenda denaro “inutilmente”. Però da solo…un tiramisù me lo mangio, eccome! Inoltre c’è un negozietto asiatico dove compro le bevande che mi piacciono un sacco…
Sì, sono un buontempone, quando voglio. Festeggio ogni piccola scintilla di vita…
Ho imparato a farlo. Forse più dei miei, o di mio fratello, perché sono passato ad un capello della morte, nel 2010. Questo…lo dimenticano tutti. Io amo intensamente quello che ho, quasi in modo eccessivo, perché ho visto la morte da vicino, e ho rifiutato di arrendermi. Ho combattuto per vivere…e ho vinto, grazie a Dio.
I miei, la mia famiglia, non vogliono ricordarsi del 2010. Si sono dimenticati di…tutti i miei tentativi, del giorno in cui ho visto degli scoiattoli, e dei sorci, in camera…
Loro non mi parlano mai di quei momenti. Li ignorano, mentre io ricordo tutto, come se fosse successo ieri. Ero sotto il piumone, avevo la febbre, e appena aprivo gli occhi vedevo dei sorci, una libellula enorme, degli scoiattoli, lì in camera…Per tre ore li ho visti agitarsi, rodere le tendine, girovagare attorno al sacchetto delle immondizie, o svolazzare per la camera…Ero terrorizzato, poi mi sono addormentato.
Quella notte nessuno se la ricorda. Nessuno me ne parla, mentre io avrei bisogno di parlarne. Bisogno di essere ascoltato.
Nel 2010 mi sono impiccato in foresta.
La cassetta su cui stavo si è ripiegata sotto di me… sicché mi sono ritrovato quasi impiccato. Ho messo tutto il peso sulla parte della cassetta che reggeva ancora…e ho pregato perché non si ripiegasse del tutto. Ero già mezzo impiccato, la corda mi stringeva tanto il collo…Perdevo le forze. Sono riuscito a snodare la corda, attorno al mio collo, e sono caduto sul suolo. Poi sono stato ricoverato al manicomio per la prima volta. Ho visto la morte da vicino…e tutti lo vogliono dimenticare, eccetto io, che non posso.
Non posso neanche parlarne, con la famiglia.
Al giorno d’oggi, e anche prima, quando ti buttavi sotto il treno, e sopravvivevi, ti bastava fare pubblicità, scrivere un libro…e diventavi una star. A casa, ho due libri che raccontano la stessa storia: in uno c’è un’adolescente che si butta sotto il treno, perde le gambe, sopravvive, e racconta della propria vita trasformata perché Dio le ha toccato il cuore…e nel secondo, è un’adolescente giapponese che fa lo stesso, dopo aver perso le gambe sotto il treno. Tutte e due: un libro, per provare al mondo che è un miracolo, sono state salvate, e ora possono parlare di Dio, ecc.
Quei libri sembrano fiabe, favole…tanto finiscono con un “Happy end”. Quasi mi viene voglia di buttarmi anch’io sotto un treno, per poter, dopo, attirare i proiettori su di me, fare pubblicità, e essere valorizzato…
Invidio chi si è buttato sotto il treno ed è sopravvissuto. Almeno sono sincero. Invidio quelle persone perché hanno un Destino. Hanno un obiettivo, nella vita. La loro vita ha un senso. Sono delle persone che agiscono, pur sapendo perché agiscono. Sono appassionate, la loro vita è trasformata. Ed per me, dov’è il mio Destino? Che obiettivo ho, nella vita? Dov’è il senso del mio vivere? Ho provato a suicidarmi, e poi, niente è…
cambiato.
Non ho scritto un libro. Non sono apparso su YouTube, non ho creato un’associazione di prevenzione contro il suicidio…Sono rimasto anonimo.
E la mia storia viene ignorata da quasi tutti.
Chi si prende cura dei deficienti? Chi si prende cura degli anonimi?
Chi si occupa dei deboli e dei fragili? Ora tutti vogliono scrivere un libro, quando hanno subito bullismo, o quando hanno tentato il suicidio…E chi non scrive un libro…viene piantato in asso, nel buio più completo. Così funziona il mondo.
Perciò…buttarsi sotto il treno…spesso mi balena per la mente.
Però non voglio fare pubblicità.
Beppino,
i tuoi post sono fra i più belli e i più ricchi di contenuto che in quasi 20 anni ho letto su questo sito.
secondo me, potresti scrivere un’autobiografia molto interessante e apprezzabile. sei la chiara dimostrazione di quanto possa essere vasta la diversità e di come TUTTI, soprattutto gli sconosciuti, dovrebbero avere diritto al rispetto.
fra l’altro, il confine fra la genialità e la banalità è spesso smisurato. per alcuni, difficilissimo e quasi impossibile accettare la propria essenza.
capisco i tuoi genitori ma non condivido la loro scelta di non valer parlare con te degli eventi che ti trascinano lontano dal tuo instabile equilibrio. si può avere paura di affrontare l’ignoto ma, non facendolo, ti lasciano solo e in preda a pesanti dubbi.
d’altronde, una delle prime imprese in cui cimentarsi, dopo la miglior possibile conoscenza di sè, è proprio quella di affrontare innanzitutto la propria quotidianità, a muso duro e con grinta, benché questa sia spesso una lotta perenne.
in questi ultimi 14 anni l’hai spuntata. se lo vuoi, potrai continuare a farlo, magari anche lamentandoti o sfogandoti, di tanto in tanto…
un abbraccio.
Beppino,
il tuo bisogno di riconoscimento è legittimo: fa capo a tutti gli esseri umani, sia quando questa aspettativa è immediatamente percepibile che quando è abilmente camuffata.
non l’hai ottenuto in famiglia, più che altro da parte di tuo padre, che ha dato un enorme contributo a tutte le tue difficoltà esistenziali; ti è quasi sempre negato dai più che non ti conoscono o che non ti conoscono abbastanza, ma… a livello sociale, ti sei conquistato in ambito lavorativo il riconoscimento che meriti. e, credimi, non è affatto poca cosa!
ho la sensazione che per te sia, ogni giorno, lotta da mattino a sera, senza armi e senza corazza. dal mio punto di vista, sei un OTTIMO guerrigliero, ancora non abbastanza allenato a valorizzare i suoi talenti!
averne tanti, come te, in quasi tutti i settori d’impegno e responsabilità, dove non appaiono che palloni gonfiati o cialtroni!
Il suicidio è la fine della vita.
Pensandoci, mi dico che…solo i depressi possono suicidarsi. Oppure quelli che come me incassano tanti shock, senza dire niente, e in un certo momento, impulsivamente, lo fanno, perché non ne possono più.
Un giorno, occorre levare il silenzio, sulla sofferenza. Occorre farlo, anche se sembra difficile, anche se ci si vergogna…e se le parole saranno taglienti, crude, dure.
Occorre dire le cose, perché la sofferenza diventi meno profonda. Spesso, la gente parla del più e del meno…ma non arriva al sodo, all’intimo, al nodo del problema.
È nell’intimo, nell’anima, che succedono le cose più gravi. La sofferenza, la conosciamo, è intima, e la si dissimula…dietro parole generali, imprecise. Non vogliamo vedere la realtà com’è, eppure la realtà occorre dirla. Anche a se stessi.
Nessuno la può conoscere. Solo se stessi.
A forza di tentare il suicidio, e di vivere nell’autolesionismo, ho fatto della mia vita una lunga guerra. Diciassette anni di guerra. E non ho vinto. Non ho ancora vinto. La sofferenza c’è, mentre ho sempre provato ad ucciderla. E niente, no: niente né nessuno può toglierla.
La sofferenza si divide in vari campi, in vari colpi ricevuti, da varie persone. La sofferenza è una serie di fallimenti…quando la società, i genitori, la famiglia e gli amici, io stesso, avremmo voluto riuscire.
La sofferenza, è anche la mia personalità. Difettosa. Non conforme alle personalità standard, a quelle che piacciono alla gente. Non conforme ai desideri di mio padre.
La sofferenza sta nel non poter spiegare “perché” soffro, ed essere capito.
La sofferenza è qui, dentro me, da anni. La gente con chi mi confido, sfiora questo dolore, senza poterlo alleviare. A volte mi dico che questo mondo è infernale. Anche questo è un dolore. Però c’è di più: anch’io sono infernale. E mi chiedo perché. Mi chiedo perché la penso così.
Avrò sempre il dolore dentro me. Un dolore che neanche Dio allevia.
Un dolore che vale una morte: quella mia.
Una sofferenza che sta qui, dietro i sorrisi, il buon umore, l’interesse per tante cose, una risalita “apparentemente” effettuata, un lavoro temporaneo, un appartamento, un cane, e tant’altre cose.
Non c’è rimedio, per il cancro dell’anima.
Beppino,
nessuno può comprendere la sofferenza di un altro, nemmeno la più amorosa delle madri quella del figlio, che ha visto crescere e che conosce dal più al meno come se stessa.
nella migliore delle ipotesi, ci si avvicina al sentire altrui ma non si potrà mai averne una percezione chiara ed esaustiva.
difficilissimo poterti essere anche soltanto di infimo aiuto: un eccesso di sensibilità non può trovare grandi rimedi, e, forse, è purtroppo da lì che si dovrebbe iniziare…
grazie per la tua testimonianza, che parla anche per chi non ha né la tua consapevolezza né le tue capacità di esprimerla.