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Lettera pubblicata il 17 Settembre 2005. L'autore, beppino, ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Golem: Motivo in più per suicidarsi eh eh. Come è possibile pensare che la vita possa essere anche Stephen Hawking e che non ci si può far niente?
Emma e Smerd. Mai. Mai mi potrebbe passare per la testa di pensare quello che tu Smerd ha immaginato, e tu Emma, hai avuto il coraggio di descrivere in maniera così terribilmente efficace. Anche perché molti di quei momenti e situazione li ho vissuti a mia volta.
Non voglio fare l ‘apologia del figlio del povero immigrato dal Sud, a cui non si affittavano le case, di un padre che ha perduro sè stesso ed è scomparso letteralmente dalla vita di una famiglia con due bambini, un maschio, io e una femmina, che dormivano aprendo aprendo le pollttonevletyonin quella che era cucina, tinello soggiorno e camera da letto. Con una madre bella come un’attrce holliwoodiana che vendeva il sangue all’Aviso per racimolare un po di soldi, non ha fatto la scuola media, ma l’avviamento al lavoro per motivi intuibili, e che ha preso un diploma professionale col quale, in tempi migliori, certo, ha cominciato a lavorare a 17 anni fino a 50 ore la settimana.
Tralascio il resto per evitare ripetizioni.
Ma ho sempre avuto uno scopo: riscattare il destino di mia madre. Facevo due lavori per un ‘azienda e per un architetto la sera (ero disegnatore). Dopo il militare mi sono iscritto alle serali per Geometra quindi: uscivo alle 17, andavo dall’architetto per due ore e correvo a scuola. Dove finivo alle 23,30. Questo per cinque anni. Mi diplomo e prendo l’abilitazione alla professione. Avevo già 25 anni e da poco avevo vinto un concorso da disegnatore all’acquedotto della Provincia di Milano, senza conoscenze. Mi iscrivo al Tribunale di Rho, come perito per le cause di natura tecnica, e non sapevo un c.... di come si svolgessero. Mi va bene, quanfo mi chiamavano per il sopralluogo prendevo un permesso, ma come dipendente pubblico lo potevo fare, bastava pagare le tasse. Comincio a guadagnare bene tra il primo e il secondo lavoro, e in più un’amministratrice di condomini a cui mia madre faceva le pulizie, mi prende come suo tecnico. Riescendo a guadagnare bene ormai, e mi voglio…
…regalare un sogno; il brevetto di pilota d’aerei, e ce la faccio. Solo il 1o grado. Arrivo a quasi 32 anni così, quando trovo una VERA fidanzata di 20, mentre io è mia madre due anni prima avevamo preso un mutuo per una casa che avesse una camera anche per me. Mia sorella era in America da 5 anni a cercare lavoro, dopo aver fatto, col fidanzato del momento, la camionista tra Milano e Teheran per due anni.
Una pausa. Sembra quasi il sogno americano vero? In fondo si era fatto un saltino: una casa. O invece è stato un incubo italiano? Quanto è costato? Mia madre colpita da una stenosi midollare a causa dei lavori pesanti che ha fatto per 20 anni, e che nel giro di mesi l’ha costretta prima col deambulatore e poi sulla sedia a rotelle. Mio padre che si era praticamente rifatto una famiglia, si ammala di cancro e rientra ( spinto a farlo) in quella originaria e viene accolto. Mia sorella che se ne becca uno al seno – che poi fortunatamente con cure sia pure pesanti ha superato – e io che schianto (finalmente), con sei mesi di cure a base di psicofarmaci pesanti, mentre dovevo continuare a VIVERE. Questo nell’arco di 4 anni, durante i quali muore mio padre, e mia madre è quasi immobile ormai.
Ciliegina sulla torta. L’anno successivo quella splendida ragazza che avevo, decide di farsi ammazzare insieme a a una nostra amica Patrizia, da un ubriaco che è arrivato a 180 all’ora a tamponarle, uccidendole sul colpo. Aveva 25 anni e io quasi 37 e anch’io volevo morire, anche se non l’ha mai saputo nessuno.
Ero riuscito a dare una casa a mia madre, sia pure piccola e a “rate”, ma lei non camminava più per essersi ammazzata di lavoro, avevo perso una ragazza che avrei sposato, e che c.... di vita era questa? A cosa è servito stringere i denti dai 10 anni fino alla soglia dei 40 per sentire di non avere più niente, compresa la voglia di vivere. E non per arricchirsi, ma solo per sentirsi normali. È dipeso da cosa il bene e il male di questa vita che ho descritto? Dal caso. Solo dal caso. Ma io ci ho messo del mio: la volontà di non mollare mai, di cercare sempre di voler vivere. Tutti esempi che mi dava mia madre, ogni giorno, da quando vendeva il sangue per fare la spesa.
Voglio fermarmi qui per il momento, nel punto più basso della mia esistenza. Ma c’è un seguito, imprevedibile, che vi scriverò domani. Ma non traete conclusioni per ora, per favore.
Buonanotte.
Golem, sei una persona perbene e gentile, lo si denota da come e da ciò che scrivi. Io invece sono rude e un po’ squallido, lo ammetto. Per cui non ti sentire nè sminuito nè ripreso se ti dico che la tua storiella, di cui non dubito la veridicità, è purtroppo solo tua. Già, perchè esistono miliardi di altri esseri (compresi gli animali) che non hanno avuto le tue peripezie, nel senso che hanno sofferto ben di più potendo “riscattare” molto meno. Pensa ad un bambino che muore e i cui genitori scivolano nella follia o nella morte. Pensa a chi non prende il brevetto per la moto perchè neanche può permettersi la bicicletta. La tua vita è stata piena di difficoltà e di tragedie, ma anche di opportunità; non così la vita di molti altri. Inoltre la vita deve essere vista non come fenomeno soggettivo, ma come entità oggettiva, per cui è giusto domandarsi ragione anche delle sofferenze degli altri. Ecco perchè ti dicevo che è tutto più complicato. Anche se ora tu sei felice o forse hai famiglia, tutto questo non ti ridarà indietro il dolore e la perdita della tua ragazza 25enne. E chi ridarà a tutti noi ogni attimo di sofferenza vissuta? Che senso ha tutto questo? Come è possibile accettarlo? Ecco perchè il suicidio è nient’altro che un atto di ribellione ovvero di volontà. E forse neanche di volontà, perchè la vita è sempre e comunque più forte di noi.
Credo di non dirvi niente di nuovo se vi chiedo di immaginare come ci si possa sentire di fronte a questo gioco dell’oca che è la vita, e alla sensazione che si prova quando ti ritrovi al punto di partenza, come una formica alla quale un passante distratto ha distrutto la tana. Una situazione surreale. E qui entra in gioco il destino nelle vesti di mia sorella.
Molto legati per essere cresciuti come due piccoli randagi, ma poco inclini a dimostrazioni di affetto esteriori, tacitamente ci siamo sempre stati l’uno per l’altra, proprio per questo imprinting che il bisogno di sopravvivere ci aveva dato. Lei in America ebbe realmente l’esperienza del vero sogno americano. Donna molto bella dai lineamenti esotici, ma costretta a vivere di espedienti, dalla cameriera, alla cuoca fino alla tassista in una specie di cooperativa di autisti, quasi una continuazione dell’esperienza da camionista che abbandonò dopo essere rimasta bloccata sulle montagne tra la Turchia e l’Iran con 45 gradi sottozero e aver visto colleghi con gli arti congelati per mancanza di soccorsi. Durante uno dei tanti trasporti conobbe un cliente italiano ma residente a New York, che rimase colpito da lei per quei casi fortuiti che la vita a volte concede. Questo era il figlio di un noto scrittore italiano non più vivente, ma di cui non rivelò subito la parentela. Si frequentarono per qualche mese e si innamorarono. Storia che è durata per oltre 25 anni Sino alla morte di lui avvenuta due anni fa. Ma lei NON VOLLE MAI SPOSARLO, nè avere figli ( il perché forse lo capirete) nonostante questo avesse ormai mostrato di essere abbiente, anche chiunque era più abbiente di lei in quei momenti. Non rinunciò mai alla sua indipendenza nonostante lo abbia amato sino all’ultimo giorno, accetto solo di lavorare per lui nella gestione delle opere del padre di questo dalle quali erano stati fatti anche dei film.
Circa tre mesi dopo il tragico incidente stradale, mentre mi trascinavo per inerzia ma sempre sorretto dal pensiero di mia madre in quelle condizioni e avendo cominciato la ricerca di un’abitazione (in affitto) per me e la ragazza ormai scomparsa, mia sorella, che doveva fare un viaggio col suo uomo in Norvegia, approfitta del fatto che lui deve rinunciarvi per sopraggiunti impegni di lavoro, per invitare me. Lo fa perché mi vede in quelle condizioni, e insiste, quando le dico che non me la sentivo, malgrado non facesse parte del suo carattere, e io alla fine accetto senza entusiasmo >>>
>>> mentre un mese prima avevo trovato un “magazzino” di 70 metri quadri a Milano, la cui proprietaria me lo concedeva in comodato d’uso a patto che lo ristrutturassi. Data la nuova situazione creatasi con la morte della ragazza con cui stavo, ero sul punto di rinuciarvi, anche perché era una topaia, abbandonata da tre anni e con una mole di lavoro per la quale sarebbe convenuto pagare l’affitto. Ma i soldi pagavano già un mutuo e sui lavori extra non si poteva fare un affidamento sicuro, arrivando quando volevano. Però accettai, proprio per non abbandonarmi alla rassegnazione, sempre con l’immagine di mia madre davanti agli occhi, che mai si era arresa al destino che le era toccato.
In quel viaggio che NON VOLEVO FARE, sulla nave che viaggiava tra i fiordi conosco un ragazza inglese che ci lavorava come artista, alla quale racconto la mia vita come sto facendo qui, soprattutto quello che riguarda la storia della fidanza morta agli inizi di marzo quando era luglio, col “magazzino” trovato in maggio. Fatto sta che ci siamo innamorati. Non entrò in dettagli intimi che alcuni in altro thread hanno voluto fraintendere per antipatia neiiei confronti, perché ne capisco le ragioni, ma due mesi dopo ha lasciato il lavoro ed è venuta da me nel magazzino che io avevo cominciato a ristrutturare, dove c’era una cucina usata, un tavolo, tre sedie, il letto e una scala a libro che fungeva da appendi abiti. Dopo due anni ci siamo sposati e la storia continua dopo due oltre due decenni. Con una figlia poco più che ventenne.
A 38 anni mi sono iscritto ad Architettura per laurearmi sei anni dopo, e prendere l’abilitazione l’anno successivo, sono stato cooptato (gratis) dal docente che mi ha fatto da relatore – oggi ancora mio amico e di soli due anni più grande di me – come suo assistente e cultore della materia (progettazione e storia dell’urbanistica) che ho fatto per cinque anni ancora, e ho lavorato anche come architetto, sia presso i tribunali che come…
Scusate avevo concluso ma avevano già registrato il post. Cerco di riprende lo.
… professionista
Sorry, evidentemente non uso come si deve il sito, ma volevo concludere, anche tenendo conto del post di Smerd inviato nel frattempo di cui capisco il senso ma comunicandogli che si, c’è sempre qualcuno messo peggio di noi, ma anche perché tutto è relativo, sempre.
Comunque, tre anni dopo l’ingresso nel “magazzino” riusciamo a riscattarlo, con un altro mutuo, anche grazie all’inglesina, che da ballerina si ricicla velocemente in insegnante e traduttrice di inglese, oggi molto apprezzata e cercata, e in quel magazzino, ormai diventato la nostra abitazione definitiva e che ci siamo cucito letteralmente addosso, ricostruendolo con le nostre mani e rendendolo realmente “casa nostra”, continuiamo la nostra vita da quel lontano giorno in cui il destino ci fece incontrare.
Mia madre ci ha lasciati da circa tre anni, per un tumore alle vie biliari che l’ha portata via in due settimane, ormai immobile da qualche anno, ma sempre lucida e presente, non senza avermi dato un ultimo esempio di come lei abbia inteso la vita, quando l’onnipresente destino mi ha messo di fronte all’ennesima scelta, quasi a volermi ricordare sino all’ultimo che vivere significherà sempre doversi trovarsi ad un bivio per decidere quale strada imboccare, e presentare questa strada come quella giusta ma che pagherai con dolori inenarrabili. Accadde quando i medici mi dissero che il tumore aveva bloccato le vie biliari e si stava verificando un’insufficienza renale a causa di questo, che avrebbe significato la fine, o la dialisi in attesa di un esito diverso ma ineluttabile, mettendomi di fronte alla scelta più difficile della vita: decidere come doveva morire la donna che mi aveva dato la vita. Lo feci, non riuscendo a trattenere le lacrime, che in quel momento furono quelle di un bambino che ripercorreva l’esistenza di quella madre e della forza con cui l’aveva attraversata.
Quando tornai da lei non ci fu bisogno di parlare, non ce n’è mai stato bisogno per farmi capire. Mi guardó con quegli occhi verdi, di quella luce che la vecchiaia non era riuscita a spegnere e restammo così per un po’. In silenzio.
>>
>> morì quella notte, nel sonno. Avrebbe compiuto 88 anni a novembre, ma se ne andó due giorno dopo l’inizio dell’estate.
Al mattino i suoi lineamenti erano ancora più belli, il naso sempre perfetto, così le labbra, non una ruga e quella serenità che molti vedono sul volto dei defunti. Mi soffermai a guardarle i capelli che la badante le aveva riordinato e pensai a quanti pensieri avevano attraversato quella testa per le persone che aveva amato, quali prove dovette superare con la disperazione nel cuore e la sola forza del suo coraggio. Ma ce l’aveva sempre fatta.
Mi aveva dato l’ultimo esempio di quel coraggio e dello sconfinato amore che solo una madre può donare, l’unico vero amore che non chiede niente in cambio, comprendendo, come aveva sempre fatto, la decisione che ero stato costretto a prendere, provando, ancora tenerezza per me quando mi sapeva in difficoltà. Tenerezza, sino all’ultimo. Ma sono certo che fosse anche contenta che non fosse dipesa da altri la scelta di “quel momento”, e che così ha suggellato due vite che si sono accompagnate – loro soltanto – nei soli momenti “unici” della vita: la nascita e la morte.
Ma c’era altro che mi stava dicendo, c’era la prova che il senso della vita è la vita stessa, alla quale lei non rinunciò mai, neppure quando dava ” il sangue” per quella vita, rappresentata dai figli ma anche dalla sua dignità di essere umano, di donna e di madre. Mi è bastato questo per sapere che fintanto ci sarà qualcuno da amare, fosse anche solo sè stessi, alla vita non si rinuncia mai. Anche quando non si avrebbe più voglia di viverla.
Un saluto.
P.S. Scusatemi se mi sono fatto prendere la mano dal sentimento. Tendo a vivere il presente e per il futuro, e tentare di dimenticare il passato proprio per questa ipersensibilità alla nostalgia. Ma in questo caso non mi è stato possibile.
Smerd tutte le storie che fanno la Storia sono “solo nostre”, né altre potremmo raccontare. Ma come ho accennato non posso che condividere quello che ho vissuto, ben sapendo che ognuno ha le proprie e in quelle si sentirà il più fortunato o il più sfortunato della Terra, nel momento in cui gioisce o soffre. Ma proprio questa condivisione dovrebbe farci entità meno soli, pur sapendo che la nostra vita, banalmente, non potrà che essere vissuta da noi,
Non mi sono sentito sminuito per niente. E non mi ci sentirei neppure se, com’è successo, volesse farlo di proposito.
Ciao.
Golem: vale la mia considerazione di prima. Con l’aggiunta di essere, per piacere, un pochino più breve e un pochino meno aneddotico. Se dovessimo star qui a raccontare ognuno la storia della propria vita…qui sopra è un nido di serpi e rischieresti che qualcuno ti dicesse che non gliene frega niente.