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Lettera pubblicata il 17 Settembre 2005. L'autore, beppino, ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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@s, non sono uno psichiatra, ma non mi sembra che la metodologia adottata da quel medico possa portare benefici alla lunga. Al massimo puó provocare uno shock adrenalinico come un giro sulle montagne russe. Probabilmente tra i suoi pazienti in cura ci sono ricchi oligarchi in stile Abramovich, gente che cade in depressione perché non sa in che modo spendere i miliardi di dollari accumulati (succede veramente). A un vecchio contadino nato e cresciuto nella ex Unione Sovietica e che é caduto in depressione per la dissoluzione dell’U.R.S.S. (anche questo succede veramente), non gli porta niente l’esperienza di essere seppellito sei piedi sotto terra, per risorgere come un novello Lazzaro, (ri)aprendo gli occhi alla vita. Comunque non si puó obbiettare niente alla tua affermazione riguardante al fatto che tutti, messi di fronte a un pericolo mortale, cerchino di salvare la pellaccia. Persino il piú incallito aspirante suicida, se si trovasse in un edificio squassato da un terremoto di XII grado della scala Mercalli, se la darebbe a gambe. Ma io credo che questo dipenda semplicemente dalla nostra memoria genetica, legata all’istinto di conservazione della specie. É una questione di imprinting, che scatta automaticamente….
Molto tempo fa, citavo su queste pagine un racconto di King (“L’arte di sopravvivere”), incentrato su fino a che punto una persona voglia (possa) spingersi per soppravvivere. Lo lessi la prima volta quasi venti anni fa. All’inizio mi affascinó per il macabro che esprime, solo piú tardi acquisii la maturitá per comprendere le implicite questioni annesse, riguardanti le reali capacitá e volontá espresse da un essere umano nel perseverare il suo istinto di conservazione. Probabilmente nemmeno il buon Stephen, pur scrivendolo, voleva arrivare a tal punto. La trama, per chi non la conosce, é presto detta. Un ricco e famoso chirurgo di New York, -continua-
-segue- deditamente segreto agli stupefacenti e allo spaccio di essi, si ritrova a naufragare su un’isola deserta. Tutto ció che riesce a recuperare dal relitto sono un milione di dollari in eroina, una scatola di fiammiferi e un vecchio coltellaccio. Dopo varie vicissitudini e sfiancato dalla fame, comincia a farsi strada nella sua mente l’idea di auto-cannibalizzarsi per sopravvivere. Comincia ad amputarsi un piede e mangiarlo. Poi l’altro. Arriva al punto di mangiarsi tutto al di sotto dell’inguine. Il finale rimane aperto, con lui che chiude le sue farneticanti memorie apprestandosi a mangiarsi la mano sinistra….
Certo, il racconto di King é pura fantasia. Nessun essere umano riuscirebbe a sopravvivere a continue e ripetute amputazioni autoinflitte, pur con l’ausilio di capacitá mediche fuori dal comune e di abbondanti dosi di eroina come analgesico….Trasponiamole nella realtá, che a volte riesce a superare la piú fervida immaginazione letteraria.
@s, la tua voglia di sopravvivere, fino a che punto puó (vuole) arrivare? Messo alle strette, riusciresti mai a uccidere e cibarti della tua amatissima gatta per sopravvivere un giorno o due in piú? E bada bene che la mia domanda non vuol essere un “j’accuse” verso i tuoi concetti espressi, quindi ti prego di interpretarli come un “pour parler”, e non come un’attacco personale. Potrei citarne altri di forumisti, ma la sostanza dei miei pensieri non cambierebbe.
@s, non ho mancato (come avrei potuto d’altronde) di leggere delle tue recenti vicissitudini. Dei tuoi attachi di fame e del tuo sempre incombente sfratto. Sono cose che ho giá passato. A febbraio ho dovuto lasciare il mio appartamento, lasciando tutti i mobili e vendendo ció che potevo vendere, come forma di pagamento ai creditori e per sostenermi un minimo. A tutt’oggi, prima di accasarmi dove sono ora, ho cambiato quattro volte abitazione, facendomi di volta in volta ospitare da parenti e amici. Dei miei 38 anni di vita, della mia lotta per la sopravvivenza (perché questa é stata la mia esistenza) tutto ció che mi é rimasto sono la biancheria intima che indosso al momento, due paia di scarpe, una valigia piena di vestiti (che non svuoto mai del tutto), un pc semi-funzionante, una decina di vecchi libri a cui sono affezionato e il cellulare da cui sto scrivendo. Per il resto ho perso tutto, compresi dignitá e orgoglio. E per questo che mi rivolgo quotidiamente quella famosa domanda, a cui evito volutamente di darmi una risposta.
@ Luca76
Forse sono stato parzialmente frainteso; quindi cercherò di spiegarmi meglio.
L’esperienza dimostra che alcune persone sono in grado di vincere il cosiddetto “istinto di sopravvivenza” e di darsi la morte volontariamente. Pare che la facoltà di suicidarsi sia una prerogativa dell’uomo, ma alcuni studiosi del comportamento animale non ne sono così convinti … Sta di fatto che questa facoltà esiste; quindi non intendevo affermare che tutti rifuggano istintivamente da una morte incombente (c’è gente che si è lasciata addirittura morire di inedia).
Quello che volevo dire è che di fronte a tale rischio siamo obbligati a dare una risposta. Ne vale la pena o no ?
Finché non siamo in pericolo di vita possiamo fare mille congetture e (in qualche caso) fantasticare sul suicidio senza alcun costrutto. Ma quando quel pericolo esiste, allora tergiversare non è più possibile. Essere o non essere; bisogna decidere.
Era semplicemente questo che intendevo dire.
(segue)
Prendo il mio caso perché è l’unico di cui posso parlare con cognizione di causa.
Finché Madama Morte non mi si è accostata in modo sì amorevole, non avevo le idee molto chiare sul mio reale attaccamento alla vita. Ma quando mi sono trovato in un situazione disperata la mia mente ha reagito in modo chiaro e inequivocabile: Sì ! Ne vale la pena ! Combatterò fino allo stremo delle forze per salvare la mia cara pellaccia !
Potevo lasciarmi andare e non l’ho fatto. Al contrario, ho messo in moto tutte le mie risorse e tutta l’astuzia di cui sono capace e ho fatto cose che un tempo avrei giudicato sconvenienti o addirittura immorali.
Sia chiaro che nutro il massimo rispetto per chi compie una scelta opposta alla mia. Io stesso, se si presentassero le condizioni che temo, molto probabilmente mi butterei dalla finestra (patire la fame è una cosa che sono in grado di sopportare; finire in mezzo a una strada no, anche a causa dei miei problemi di salute). L’esempio che hai proposto è davvero il massimo della crudeltà e non so dirti come reagirei. Posso solo ipotizzare che il mio limite di sopportazione verrebbe superato.
Il senso del mio post era proprio questo: tutti abbiamo un certo grado di attaccamento alla vita e tutti abbiamo dei limiti che non possiamo superare. Ma salvo alcuni casi eccezionali, per conoscere l’uno e gli altri dobbiamo trovarci in delle situazioni-limite.
@s, morire di inedia comporta un percorso diverso riguardo a quello che stavo dicendo. Io parlavo dell’istinto di conservazione riguardante una situazione di pericolo imminente, come nel caso che citavo di un terremoto. Il primo istinto per chiunque é quello di mettersi in salvo, aspiranta suicida o meno.
Quello che stiamo passando io, te e altri su questo forum, non é una situazione di pericolo imminente, dove dobbiamo decidere della nostra vita nell’arco di una frazione di secondo. Abbiamo avuto e abbiamo, tutto il tempo per soppesare i pro e i contro della nostra scelta. Nel nostro caso si, scatta qualcosa in ognuno di noi che puó portarci agli estremi per sopravvivere oppure a lasciarsi morire lentamente, facendo finta di vivere. E ce chi non accetta questa dicotomia e decide di dare un taglio netto, suicidandosi.
c’è la foto del calcio storico!
@ Luca76:
Beh; io negli ultimi mesi mi sono trovato spesso a un passo dalla fine. Quando ti restano 50 euro, hai una settimana per pagare l’affitto e finire su una strada equivale a morire di fatto hai un piede e mezzo nella tomba.
Comunque non è che stiamo dicendo cose tanto diverse. Quando ti trovi in certe situazioni puoi soltanto combattere o lasciarti andare. Nel primo caso prevale l’attaccamento alla vita; nel secondo prevalgono la stanchezza e il desiderio di trovare un po’ di pace.
Il succo del mio discorso è che spesso non abbiamo le idee molto chiare. Non comprendiamo l’ importanza che le cose hanno per noi. Trovarci in certe situazioni (ed essere costretti a scegliere) ci aiuta a capire di che pasta siamo fatti.
quando hai una mozzarella infilata nella gola come mi è successo sei più vicino alla fine
Pensa se fosse stato gorgonzola
Ogni tanto vi penso..
come state?