Sto perdendo lo “smalto” e questo è quello che mi fa più paura perché è una delle parti di me a cui tenevo di più e anche se credo che sono gli stimoli, le motivazioni che quando sono forti, ti fanno rinascere dandoti tutta quella carica ed energia che è come una dose di benessere generale, temo comunque che quel momento non ritornerà perché sono proprio io a non essere in grado di farlo tornare. Ecco questa è una chiara dimostrazione del fatto che quello “smalto” adesso non c’è perché se ci fosse mi toglierei da questo stato di impasse, inerzia, un circolo vizioso, nel quale probabilmente neanche ci sarei finito.
Mi rendo conto che detta così significa poco e niente, ma è proprio così, un circolo vizioso che più cerchi di uscirne e più ne sei avvolto. All’università ero un ragazzo cosiddetto “brillante”, mi spaccavo il culo tra i corsi, lo studio e il lavoro, a volte part time, a volte un po’ di più. Ero attivo, energico, e mi andava bene così, perché stavo conseguendo gli obiettivi che mi ero posto e cioè la laurea per un futuro incredibilmente ambizioso e l’autonomia che, seppur limitata, mi permetteva di gravare solo su me stesso le spese non necessarie, le tasse all’università, l’assicurazione, etc… lavoro da quando andavo ancora a scuola e capii che guadagnare era decisamente una cosa che mi piaceva. Così l’università, con i suoi infiniti esami del vecchio ordinamento, durò un po’ di più, ma faceva parte del gioco e mi sentivo decisamente sulla cresta dell’onda. Tuttavia stavo sacrificando gli anni “che non tornano più”, la cosa forse più importante, una tra quelle poche cose che ci rende orgogliosi di questo giro di giostra e mi riferisco alle relazioni, ma non solo. Poco tempo libero, zero hobby, zero passioni coltivate, uscivo poco, o meglio non quanto avrei voluto, ma il tempo a disposizione era poco e non sapevo fare di meglio e soprattutto mi dicevo che quei sacrifici un giorno mi avrebbero restituito quello che mi stava mancando dandomi molto, molto altro di più. Adesso mi rendo conto che ero troppo severo con me stesso, ma quel modo di fare e di essere mi dava sicurezza, controllo, padronanza di me e così era effettivamente, ma non si vive solo di questo. Preso dalla certezza che il mio futuro sarebbe stato eccezionale, a riscatto di quel presente, studio e lavoro andavano alla grande, voti altissimi passando da un lavoro all’altro superando ogni colloquio sempre brillantemente. Si trattava perlopiù di quei lavoretti che ti dici che non sono il lavoro della tua vita, li prendi per quello che sono e cioè senza farti coinvolgere da certe dinamiche di sfruttamento, speculazione o terrorismo psicologico collegato alla precarietà dei contratti; con questo atteggiamento paradossalmente mi facevo apprezzare sul lavoro, lavoravo bene, con serenità, raggiungevo i miei obiettivi e mi licenziavo solo perché avevo trovato un altro lavoretto con una paga leggermente migliore. Parlo perlopiù di Call Center o cose simili, part time con straordinari mai programmati, calderoni dove centinaia di colleghi, che l’azienda riconosce solo con il numero di matricola, ti accompagnano, senza riuscire a rivolgerti una parola, in quelle ore di alienazione, con pause cronometrate di quindici minuti e nessuna concreta possibilità di carriera, dove i ruoli che contano sono ricoperti esclusivamente da over cinquanta con fantomatiche eccezioni. Ma il mio posto non è questo mi dicevo, e non potrà essere questo perché se certe paghe vanno bene quando sei a casa con i tuoi e vai all’Università, poi quando diventi grande qualcosa cambia e certi stipendietti non ti permettono di progettare assolutamente nulla. Ma continuavo a ripetermi che quella era solo una fase e che la mia vera vita doveva ancora incominciare e ormai mancava poco. Quasi tre anni fa arriva finalmente la laurea con il massimo dei voti, mi proposi di aspettare la fine del contratto del lavoretto che era in corso e che sarebbe terminato dopo circa tre mesi, e poi decidere cosa fare. E poi cosa decisi di fare? Il mio atteggiamento era sereno e ottimista, avevo finalmente tutta una vita da vivere, ma allo stesso tempo mi rendevo conto che intorno a me non c’erano molte opportunità e in generale non c’era fermento nel mondo del lavoro. Un periodo di studi che riuscii a fare all’estero mi ha reso realmente consapevole che viaggiare ti apre la mente e può aiutarti a trovare quello che a volte non sai neanche che esiste, così come vuole anche la regola, un tentativo in un paese, poi un altro paese, ma qualcosa non funzionava. Intanto ebbi la possibilità di un “lavoretto” in una prestigiosissima azienda in Italia, con sede nella mia città e nonostante mi ero promesso di non cedere più alla tentazione di questi lavoretti che mi aiutavano poco e mi facevano invecchiare senza garanzie, decisi di accettare solo per il fatto che si trattava di un’azienda prestigiosa, che faceva curriculum e che forse avevo una visione troppo pessimista e che per me sarebbe potuta essere un’opportunità, ma chiaramente non fu così. Quest’ultima esperienza, però mi permise di capire cosa non mi piaceva, ed escluderlo, e anche di fare luce su cosa non funzionava all’estero. In poche parole ho capito che si, mi vedo dipendente, ma non alienato, non in cuffia, non “sgridato” se la mia pausa dura 15 secondi in più e soprattutto vorrei uno stipendio che mi permetta di vivere alla mia età con dignità, perché non possiamo essere studenti a vita, sotto il tetto dei genitori. Andare all’estero significa questo, imparare la lingua con lavoretti a caso e poi chiedere “lavoro” come se fosse elemosina perché quando inizi a imparare la lingua a trent’anni, significa che ti proponi al mercato del lavoro verso i trentacinque e sempre con la dovuta e giusta gavetta, perché quando scegli di laurearti in materie umanistiche, ti prendi tutto il pacchetto, incluso il fatto che non hai competenze specifiche e tecniche da offrire alle aziende. E poi diciamocela tutta, l’estero anche se spesso funziona molto meglio dell’Italia, non è il paese dei balocchi, non ti aspettano all’aeroporto con lavoro, soldi e felicità. E così inizia la stasi, il blocco, le sabbie mobili, una situazione che ti impone di stare fermo e cadere giù, sono fermo dalla fine del duemilaquattordici e tra pochi mesi finirà anche l’amara consolazione del sussidio di disoccupazione e mi ritrovo a trent’anni con una laurea con lode, tanta esperienza maturata nei call center, sogni infranti prima ancora di essere desiderati, un’età già fuori mercato lavoro, la consapevolezza di chi sono e cosa non mi piace, un piccolo risparmio messo da parte, ma troppo piccolo per essere investito, senza amicizie importanti e il vuoto più totale. E il mio dialogo interno si ripete costantemente le stesse cose: Cosa faccio? Vado all’estero? A fare cosa? Resto in Italia? A fare cosa? Avvio una startup? Non ho l’idea e certe cose non si fanno a comando, per disperazione, ma seguendo una passione, una vortice, possibilmente con soci skillati. Se io avessi (consentitemi il congiuntivo) un sogno? Avviare qualcosa di mio, stare dall’altra parte della barricata, avere un’azienda dove i dipendenti non hanno matricola, non hanno cognome, ma solo nome, un’azienda dove farei il possibile perché una volta fuori i dipendenti non siano frustrati e depressi, ma desiderosi di iniziare una nuova giornata di lavoro, in un luogo dove la dignità conta più del fatturato e il vero obiettivo da raggiungere è l’umanità, la solidarietà, l’ascolto, il rispetto, dove il talento non è ipocritamente scoperto o valorizzato, ma è adoperato, dove non si lavora e l’inevitabile conseguenza sarebbe un fatturato da stelle. Ma i sogni non bastano e la vita scorre finché si può nella speranza che quello smalto torni a brillare.
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Quello che vogliono tutti non sei certo il solo. Il problema è che a volte ce le cerchiamo.
Il tuo problema è che sei nato in Italia. Immaginati americano. Avresti avuto qualche difficoltà ma non le stesse che hai qui. Aprilo tu un call center: non è difficilissimo.
Lascia perdere i voli pindarici su quello che faresti tu se fossi a capo di un’azienda. Non interessano a nessuno e tu un’azienda non ce la hai. Sei capace di spiegare in due righe cosa sai fare? Così magari qualche dritta ti arriva.
inventa qualcosa per rimanere sempre giovani. farai soldi a palate!
ciao, hai 30 anni, io ne ho 2 in più, mi sento di dirti che siamo una classe sfigata cresciuta e maturata nel momento più triste della storia: questa maledetta crisi, ho fatto anche io l’università che purtroppo per altre ragioni opposte alle tue (serate, amici, ragazze, canne) non ho concluso, mi mancano pochi esami alla tesi, sogni nel cassetto a go go, mai realizzati. Oggi mi ritrovo con le mani sporche di grasso di officina, sono un tornitore, la piccola azienda in cui lavoro è mia, ereditata da mio padre. Anche qui, la crisi ci ha dato una bella mazzata, le commesse non sono più quelle di una volta, la gente fuori ovvero i clienti, sono un branco di lupi famelici. Dall’alto della mia piccola esperienza di vita credo che oggi secondo me vince chi ha un’idea concreata, chi è in grado di tappare un buco in un mercato, in questo momento purtroppo chi si alza le maniche per andare a lavorare non avrà possibilità remunerative nella migliore delle ipotesi al di sopra dei 1500€, siamo tutti in una fase di stallo, non sono contento per niente di me e di quello che faccio, vado avanti per inerzia, odio il mio lavoro, e a tratti odio la mia vita, un tempo me la sono goduta, questo non lo metto in discussione, però adesso il futuro il lavoro mi preoccupano molto, non voglio continuare cosi. Be se magari hai voglia di parlare lasciami la mail, chissà magari può nascere qualcosa di buono da un tornitore e un laureato. Ciao
Ho una paura terribile del futuro come te. Vorrei avere uno scambio d opinioni in privato. In questa lettera mi sono molto immedesimata
Grazie per i commenti, sarà un piacere parlare direttamente con voi, scrivetemi a introspectus2016@gmail.com.
Per Yog: non era un salto pindarico, ma semplicemente un semplice, banale e ingenuo sogno. Perché i sogni possono essere anche così e non hanno regole. Per risponderti, non ho competenze specifiche poiché ho una formazione umanistica e questo per buona parte comporta il “reinventarsi” ogni volta che si approccia a un nuovo lavoro, però apprendo molto in fretta 🙂
@sorpendentemente… dove sei?
Stanti i tuoi skill, effettivamente puoi decidere in piena libertà se rimanere in Italia o andarti a reinventare all’estero. E’davvero la stessa cosa, in questo caso. Almeno ne deriverai un certo senso di libertà.