“Vedrà, vedrà. La finestra è giusto ad est, se ne è accorto? Vedrà ogni giorno la luce mattutina entrare con delicatezza attraverso le tende semichiuse della camera… sentirà la fresca brezza odorosa di salmastro e il bisbiglio della risacca… ma mi segua, prego”.
Mi precede per le scale, torniamo al piano di sotto.
E’ una bella ragazza, immagino quella brezza soffiare lievissima ad accarezzarle i capelli… sollevarle dolcemente una camicia da notte di flanella…
Rimango qualche minuto basito a contemplare una stanza completamente spoglia e vuota, poi, a un suo cenno, esco con lei in terrazza.
“Guardi che vista. Davvero uno splendido spicchio di costa. E guardi laggiù”.
Lascio correre lo sguardo nella direzione della sua mano affusolata. Da qui, sporgendosi appena un po’, si scorge un faro maestoso su un promontorio selvaggio, addirittura primitivo, fitto di palme d’alto fusto che formano una graziosa oasi esotica; tutt’intorno alberi carichi di arance e limoni colorano l’ambiente e danno una nota di allegria impreziosendo l’aria di deliziosi profumi agrumati.
“Ha visto?” mi chiede. “Qui la natura e il divino, in un connubio perfetto, hanno creato un piccolo angolo di paradiso”.
Un pettirosso è arrivato sulla terrazza in cerca di qualche briciola e saltella qua e là.
Sento ancora la sua voce di miele sussurrare: “Che ne dice? Passiamo in ufficio?”.
Lungo il viale lei saluta un’anziana signora che procede a passo spedito; la riconosco, l’ho incontrata spesso in questo quartiere che da qualche mese frequento alla ricerca di un immobile adeguato.
Pizzica il freddo in questa giornata invernale; il cielo limpido è pennellato, a sprazzi, da sbuffi di bianche nuvole.
Siamo ormai in vista dell’ufficio dell’agenzia, ma lei mi appoggia la mano sul braccio e mi fa curvare… ecco il mare. Placido e mite color argento.
Non c’è bisogno di parole per capirci. Oltrepassiamo la staccionata di legno, i nostri passi cadenzati lasciano orme definite sulla sabbia; il mormorio continuo della risacca si scioglie in schiuma spumosa sulla riva.
Ma l’insenatura non è deserta, c’è un vecchio: a giudicare dal viso, segnato da profonde rughe e scottato dal sole e dal sale, deve avere almeno novanta anni. Una dura vita trascorsa nel mare, non c’è dubbio. Se ne sta lì, intento a rammendare con un grosso ago una rete a larghe trame, ma deve averci visto con la coda dell’occhio perché alza il capo e ci saluta con un lieve cenno.
Non posso fare a meno di stupirmi alla vista di quelle mani nodose e scure che si muovono sapientemente intessendo la trama con destrezza e maestria.
La ragazza ricambia il saluto con un sorriso e si siede sulla sabbia a gambe incrociate.
E a questo punto, vuoi perché ho sempre trovato deleterio sedermi con le gambe incrociate, vuoi perché quando la ho seguita in riva al mare avevo tutt’altre aspettative, la poesia ha cominciato a svanire.
La storia, se l’avessi lasciata libera di librarsi in volo come un uccelletto, avrebbe senz’altro preso la piega che vi aspettavate: probabilmente il vecchio pescatore ci avrebbe narrato epiche avventure e noi saremmo stati lì a pendere dalle sue labbra, io avrei posato le mani sulle spalle della ragazza e mi sarei fatto più vicino, lei avrebbe accettato questo contatto, prima con timidezza, poi si sarebbe abbandonata con naturalezza ed io…
Ed io niente. LaD non è un posto adatto per scrivere racconti, nemmeno a livello di Harmony come quello di cui avete appena letto l’incipit.
Mancano motivi seri per scrivere qui, i lettori sono pochi e anche questa volta il mio tempo sta per finire.
Però un po’ mi dispiace: ho infuso un alito di vita alla mia tastiera ed ho dato inizio ad una storia, è brutto stopparla così, anche perché la ragazza sta protestando: “Non te l’abbiamo chiesto noi di prendere parte al tuo stupidissimo racconto!!! Non puoi mollarci adesso, lui stava già tentando un primo approccio!”
Ha ragione. Le devo delle spiegazioni.
“Guarda carina che sei un parto della mia fantasia. Tra l’altro si vede lontano un miglio che sei un personaggio taroccato, non si è mai visto un agente immobiliare come te, fammi il piacere”.
“Non è assolutamente vero, ce ne sono tanti in giro. Comunque, fatti i fatti tuoi”.
“Me li faccio, i fatti miei: non ti sarà sfuggito – spero! – che l’altro protagonista della storia sono io stesso”.
“Tu?”.
“Sì, io. L’autore. Del resto non ne ho fatto un mistero, ho usato la prima persona, era chiaro che si trattava di me stesso. Ero io quello che ti aveva cinto le spalle con il braccio”.
“Tutto finto quindi?”
“No, non direi. Anzi. La realtà, in fondo, è finta quanto il racconto dove ti ho infilato: qui o là non fa grande differenza, sai”.
Ha dei bellissimi capelli castani, quando ho immaginato la ragazza non me ne ero nemmeno accorto. A volte l’immaginazione supera l’immaginazione, incredibile.
“Ma scrivi spesso così, tipo Harmony?” indaga lei.
“Mai. Ma tra qualche mese arriverà la primavera e io già la sento, non immagini quanto”.
“Fammelo immaginare tu”.
“Io?”
“Sei tu l’autore, c....!”
A volte certi personaggi mi sorprendono, è meglio non farsi troppe domande: tra l’altro non è da veri maschi porsi interrogativi. Mi concentro un po’ e cerco di accontentarla.
“Ecco!” le dico. “Adesso dovresti sentire quanto me la primavera, del resto se avessi considerato che in realtà siamo in dicembre, d’istinto avrei ambientato la storia in un grigio quartiere di qualche metropoli piovosa, non certo in riva al mare. E poi dai, la vista dalla finestra? Si vede subito che è farlocca. Un faro maestoso… da creparsi dalle risate. L’anziana signora che hai appena salutato già non procede più con passo spedito, ne son sicuro. È finita in sedia a rotelle, scaricata come un bagaglio della Malpensa in qualche casa di riposo. Guarda un po’ il novantenne pescatore come te l’ho conciato”.
Si gira a guardare. Vedo il suo volto diventare una maschera d’inquietudine.
“Bastardo”.
Il vecchio rugoso non può più riparare la sua rete: ha il Parkinson in stadio avanzato, non può nemmeno pensare di tenere un ago in mano. Non può più pensare tout-court, altro che raccontare avventure. E si è fatto tutto addosso, un vero schifo.
“Basta, sei un maledetto, non puoi giocare così con noi!” grida esasperata la ragazza.
“Se ti può consolare, sono anch’io un protagonista della tua storia. Autore e protagonista”.
Il vento sferza il promontorio piegando i giovani pini marittimi; si alzano dense folate di sabbia. I gabbiani si lasciano trasportare come piume senza battito d’ali verso il faro che continua a svettare indomito, schiaffeggiato con intensità dai marosi che si frangono sugli scogli scuri e minacciosi.
Laggiù si intravede una nave che sta rientrando in porto, qualcuno a bordo si è accorto che mi sto preparando a far cambiare il tempo: enormi cirri neri e gonfi di pioggia coprono il sole già da alcuni minuti.
Non so se farò naufragare la nave oppure no, immagino dipenda da cosa mangerò a pranzo.
A muoversi in questo mondo costruito da sé, si è esposti a un grave rischio: quello di capire come deve sentirsi Dio.
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Categorie: - Cultura
Ma che bravo che sei..a proposito quand’è che mi paghi da bere?
Perchè si è Professore. Elzeviri rinfescanti. Ahhh.
@Anghwy
Appena ho finito di pagare il fitto arretrato del mio laido bilocale con i velux smarciti dalla muffa. Prima non sarebbe etico. È pur vero però che sarebbe etilico. Boh, ci penso un attimo davanti a una boccia di narda.
Ma l’appartamento l’hai comprato alla fine? Perché in caso contrario ci farei io un pensierino…
@Suzanne
No, alla fine l’ha comprato il commissario Montalbano, così sono rimasto nel mio bilocale.
E io chissà che mi credevo… già mi immaginavo un’ “alzatapparelle” tutta impettita che pratica sadomaso con il suo capo sulla scrivania dell’ ufficio dell’ agenzia: uno spazio minimalista ma decoroso, ricavato da un elegante loft di città. E che nel mentre circuisce anche i potenziali clienti che accompagna agli abituali sopralluoghi presso gli immobili trattati. E invece mi ritrovo davanti ad una scenografia identica a quella che ci ritroviamo io e mia mamma davanti a casa nostra: il mare d’ inverno, du palle. L’ unico diversivo interessante quando rimango qui intorno è lo sguardo malizioso e furtivo che mi rivolge il ragazzo del mini-supermercato dove vado a fare la spesa abitualmente. E i cui genitori ( titolari del negozio ) mi salutano sempre cordialmente, ma avendo evidentemente già fiutato il potenziale pericolo rappresentato da una vecchia maliarda come me, ora lo fanno venire al lavoro molto meno 🙂
non credo che aranci e palme possano convivere nel medesimo clima.Qui a Pattaya le arance sono importate dall’Australia e dalla Cina.
Convivono, eccome (‘ste porche, come direbbe il dr-itto). Anche qui a Quarto Oggiaro trovo le arance australiane e cinesi, anche se effettivamente ogni tanto le prendo a Pattaya. Si chiama “turismo agrumofilo”.
Un gran peccato non poter godere di altre righe in questo tuo scritto… Eri partito bene. Molto bene.
Sarebbe stato troppo semplice dar da bere ad un’orda di assetati lettori.
Talvolta però si è più soddisfatti nel non soddisfare.
Gran peccato.
Grazie Gioia, io però sono soddisfatto quando soddisfo e non viceversa. Privilegiando la narda all’acqua, il mio pensiero si è ormai fatto elementare e, soprattutto, 50 sfumature di bigio lo hanno già scritto, perciò non cercarlo qua.