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Lettera pubblicata il 26 Febbraio 2017. L'autore ha condiviso 4 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore Pat79.
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Tendo a non dar peso a certe mistificazioni e relative denigrazioni ma in questo caso non posso fare a meno di precisare che NON ho mai affermato che le donne vittime di femminicidio “se lo meritano”.
Deduzione puramente soggettiva.
È una constatazione “maria grazia”.
Non occorre prendersela (sia con gli uomini che con le donne).
Rossana, sfortunatamente per te ( e per altri ) non solo ho un’ ottima memoria, ma sono anche piuttosto bravina con le ricerche via web. Per cui, non mi è stato difficile ripescare rapidamente quel tuo commento con quella triste affermazione. Anche in questo caso, non dico altro. Lascio che chi legge si faccia un’ idea..
rif: http://www.letterealdirettore.it/astio-verso-le-donne/comment-page-5/
il commento in questione è il numero 50
Nessuna forma di violenza è mai giustificabile se non, in rari casi, certe forme di legittima difesa. Il fatto che la donna diventi complice, per debolezza o masochismo sentimentale, non assolve il carnefice.
Richiamo del post incriminato più che apprezzato.
“Se il giudice fosse giusto, forse il criminale non sarebbe colpevole”
(Dostoevskij)
Giusto o sbagliato che sia, questo è anche il mio Credo da sempre. E forse in parte da qui deriva il quasi costante rifiuto a giudicare o a colpevolizzare.
Pessima abitudine volersi immedesimare troppo NON nel più debole o nel più reietto ma nella SOFFERENZA di chi la esprime sul momento o la trascina stancamente nell’esistenza, anche quando, magari, non se ne lamenta a chiare lettere.
In caso di Femminicidio è necessario condannare in maniera rapida ed esemplare, subito in cella e via le chiavi!
In caso di Omicidio… beh, faremo gli accertamenti del caso, legittima difesa, infermità mentale, attenuanti… poi dai, magari era drogato e se lo sarà meritato…
Dostoevskij ha ragione. Specie quando il giudice è “popolare” e giudica da quello che “sembra”.
Rossana, mi considero un’idealista, ma in questo frangente mi ritrovo a citare l’imperativo categorico kantiano: è la nostra ragione pratica pura a dover determinare le nostre azioni. Il sistema di leggi è un prodotto di società necessariamente imperfette, pertanto non può e non deve essere deterrente alle nostre scelte morali. Capiterà a tutti nella vita di avere la possibilità di fare del male pur restando impuniti; in tali casi risiede il senso del libero arbitrio e dell’autodeterminazione umana.
Nessuna sofferenza, per me, giustifica l’infliggere deliberatamente patimenti al prossimo. Non voglio scadere nel “sensazionalismo” tanto caro ai media-spazzatura, ma sinceramente mi domando quale responsabilità possano mai aver avuto tutte quelle donne vittime di compagni, mariti, amanti, spasimanti respinti. Ciascuno di noi dovrebbe essere giudice della propria coscienza.
Aggiungo che i commenti postati dal tal Diego sono veramente imbarazzanti. Vabbé che siamo in anonimato, ma veramente c’è da farsi accapponare la pelle.
Anche Diego, come Itto, era un uomo a sua volta “particolare”. Molto particolare. Addirittura c’è chi pensa sia lo stesso soggetto. Ma quale casso di “dolore” potrebbe mai trascinarsi un mente malata del genere, trovare particolari e condividere anche solo una virgola di quello che dicono certi elementi? Cercare il “dolore” in certe figure grottesche, quello si che è bisogno di visibilità, di “sensazionalismo” ad ogni costo. Ma da hard discount però.
Abusare di chi è più debole fisicamente è la vera vigliaccheria. Sempre. Non merita nessuna giustificazione. E non c’è bisogno della filosofia per saperlo. È automatico.
Un vero samurai, per esempio, in quei casi utilizzerebbe la regola “ichi ban” prevista dal Bushido per quei momenti di ira. Quello di pestarsi i testicoli nel mortaio riducendoli ad una poltiglia sanguinolenta. Perchè è lì che risiedono quei “probblemi”. I veri samurai in quei casi fanno il “Harahira”. L'”ira” mortale verso la geisha svergognata scaricata sugli “hari”, i gioielli di famiglia.
Per gli antichi latini era la cosiddetta pratica dei “testiculis patefactis”, di cui parlava spesso Cicerone durante le sue arringhe al Senatus Populusque Romanus, quando si trattava dei molti casi di ecchimosi e fratture prodotti dalla consuetudine amorosa della “vis grata puellae”.
Suzanne,
per mia esperienza diretta, essendo stata picchiata da un uomo fra i più dolci e sensibili che abbia mai conosciuto nel momento in cui avevo deciso di allontanarmene, affermo senza timore di smentita che alcune parole possono ferire più di un coltello e che, se non si è all’asilo, si dovrebbe tener conto della superiorità fisica della persona con cui si sta interagendo e delle sue capacità di autocontrollo.
a volte l’uomo non è equilibrato, e se una donna se l’è comunque scelto, potrebbe darsi che anche lei abbia qualche instabilità esistenziale irrisolta, a cui in alcuni momenti è difficilissimo aderire. in altri casi può essere più o meno provocato a parole. alcuni si uccidono, dopo aver ucciso.
SECONDO ME, in linea generale è l’iniquità delle attuali leggi a fomentare giorno per giorno esplosioni incontrollabili. ottima la teoria del raziocinio ma, quando entrano in gioco sentimenti e frustrazioni profonde, bisogna tener conto anche della pratica. talvolta è la ripetuta sottile violenza di comportamento nella quotidianità, gestione arbitraria dei figli inclusa, a suscitarne di più devastante.
tengo semplicemente conto di tutte le infinite forme di violenza mute e continuate che esistono in ogni ambito, anche in quelli che dovrebbero essere SOLO permeati da amore o da affetti, e mi astengo dal giudicare casi di cui non conosco i più elementari dettagli.
credo di avere facoltà di farlo, dal momento che non mi interessa cercare la generale approvazione, come qualcuno spesso mi accusa di voler fare, né di convincere nessuno di essere nel vero o nel giusto.
come tutti, simpatizzo con chi mi pare, o meglio con chi sembra offrirmi una possibilità di crescita emotiva in aspetti di mio specifico interesse, come potrebbe essere l’approfondimento sul campo di principi morali o religiosi. devo rendere conto solo a me stessa delle mie scelte di pensiero e d’interazione. rispetto sempre comunque le visioni e le scelte altrui.