Io invece vedo un miglioramento qualitativo. Prima si notavano ovvietà, improntitudine, sussiego, piaggeria, vanità, iperboli ed estremi, oggi si vedono anche attenzione, fragilitá, tristezza, umorismo oltre che le crepe, le pieghe e le sfumature dei partecipanti che prima erano coperte “dall’egotismo solidale”.
L’asilo non c’è più. Siamo passati almeno alle elementari.
“L’asilo non c’è più. Siamo passati almeno alle elementari.”
e si potrebbe arrivare pure al LICEO e all’ UNIVERSITA’, se un paio di utenti si astenessero del tutto dal continuare a fare commenti futili. confido in un MIRACOLO.
Ognuno puo` sentirsi ferito, in base al proprio carattere ed esperienze, ma anche in base alle capacita` comunicative. Ognuno esprimere ed interpreta le cose a proprio modo.
A quanto pare Valinda si e` sentita ferita da certe cose (ripeto non so quali siano perché non ho letto le conversazioni precedenti). E se e` cosí possiamo magari comprendere e rispettare i sentimenti negativi creatisi dentro di lei. Pero` la cattiveria non e` giustificabile e soprattutto non porta a nulla. Magari una gratificazione temporanea nel sapere che si e` colpito l’altro nel personale? Ok si, anche questo e` umano, ma a lungo andare saremo sempre solo al punto di partenza.
Perché non accettare che si possono avere opinioni opposte, e che si possa semplicemente dialogare e scambiare idee senza infastidirsi?
Ad esempio dai commenti che ho letto di Maria Grazia, credo io e lei siamo molto diverse, e in passato credo abbia criticato alcuni dei miei punti di vista, tra l’altro in un momento in cui mi sentivo particolarmente sensibile e vulnerabile. Ma ho letto le sue opinioni, ho pensato a che strumenti mi potessero dare per vedere le cose in modo diverso. Poi magari non ho condiviso e ho continuato a vederla allo stesso modo, ma sicuramente non mi hanno infastidita. Anche perché scrivo su questo forum appunto con l’intento di esprimere e scambiare opinioni.
Nella mia ignoranza da bimbetta dell’asilo c’è stato un momento in cui ho immaginato di poter raccogliere e catalogare le erbe e i fiori più comuni nella campagna nei dintorni di casa. Ben presto, ai primi tentativi, optai per passatempi meno impegnativi, spaventata dall’immensa varietà di specie (la “famiglia” della margherita, la più numerosa del mondo vegetale, conta circa 22.000 specie, distribuite su circa 1.500 generi).
Esistono ben 250 varietà di trifoglio, e so distinguere soltanto quello rosso da quello bianco: il primo è più alto, sboccia in primavera e varia leggermente l’intensità del colore, tendente al viola, in relazione al terreno che lo ospita. L’altro, invece, a malapena raggiunge la spanna, è ovunque del tutto uniforme nel suo bianco sporco, ornato sulla cima del fiore da una leggera sfumatura in marroncino. Fiorisce più tardi, non prima di fine giugno…
Si ritiene che un quadrifoglio (appartenente alla famiglia del trifoglio bianco) porti fortuna a chi lo trova e a chi lo riceve in dono perché la probabilità di trovarne uno è calcolata ogni 10.000 trifogli. Ho messo a segno una piccola scoperta sul tema: per quanto ho potuto finora constatare, il quadrifoglio non è il prodotto d’eccezione di una piantina di trifoglio ma una vera e propria piantina a sè, fuori dalla norma, che produce soltanto quadrifogli.
L’inconveniente per regolari bottini in cerca di buona sorte, però, esiste anche in questo caso perché la maggior parte delle specie di trifolium è per lo più annuale o biennale, raramente perenne…
Pochissime sono anche le eccezioni in positivo nel genere umano. Spesso persino i migliori sono eccessivamente orgogliosi di sé, nella maggior parte dei casi senza averne alcun merito, incapaci di valutarsi per quello che sono e non per quello che vorrebbero essere, sia nel delineare il loro entourage familiare che la loro super-partecipazione a qualsiasi tipo di agglomerato sociale. E, al contrario dei quadrifogli, non portano nemmeno fortuna!
Michelle le cose, per alcuni, non sono così “lineari” come le hai descritte. C’è chi è qui non per dialogare e allargare la propria visuale, ma solo per trovare conferme e solidarietà su un determinato “sentire”.
Se si incontrano opinioni espresse con argomenti plausibili, ma che “non piacciono”, spesso si reagisce come se queste fossero indirizzate personalmente, tanto appaiono convincenti ma sgradite, perchè offrono scenari meno idealizzati di quelli di cui si cerca conferma e solidarietà.
Questo luogo, nasce come un forum ma spesso finisce per diventare un club privato, dove i “soci” che si ritrovano nello stesso “sentire” non amano intrusi che ne scompiglino lo “statuto”.
Non tutti sono “chiari” come te su LaD, Michelle. C’è anche chi non è come appare, anche e soprattutto tra gli insospettabili.
Guarda, lo scrive anche l’insospettabile Rossana nel suo ultimo post:
“…incapaci di valutarsi per quello che sono e non per quello che vorrebbero essere, sia nel delineare il loro entourage familiare che la loro super-partecipazione a qualsiasi tipo di agglomerato sociale.”
Vedi? Lo ha capito anche lei. Partendo dai quadrifogli.
Ciao.
michelle
quello che tu esprimi è esattamente ciò che intendevo io: si può non concordare nei pensieri, nei modi di essere, nelle idee. ma al tempo stesso si può continuare a rispettarsi a vicenda. Qui invece non ho mai capito tutto questo dare addosso a un’ altro solo perchè ha una diversa visione delle cose. Del resto, se a questo mondo fossimo tutti uguali, se indossassimo tutti lo stesso “vestito”, cosa cacchio impareremmo ?
Sui giudizi e sull’esempio dato da quelli sull’arte dell’ ‘800, che evidenzia la loro assurda presunzione, in qualsiasi ambito siano espressi.
“Fu solo nell’Ottocento che si aprì un vero e proprio abisso tra gli artisti di successo (che contribuivano all’”arte ufficiale” ) e gli anticonformisti, apprezzati in genere dopo la morte. Il risultato costituisce uno strano paradosso. Attualmente, perfino gli esperti conoscono l’”arte ufficiale” dell’Ottocento solo in modo approssimativo. E’ vero che a molti di noi sono familiari alcuni dei suoi prodotti, i monumenti dedicati a uomini illustri sulle pubbliche piazze, le pitture murali nei municipi e i vasti cimiteri dalle tombe ricche ed elaborate (come quello di Staglieno a Genova), ma nella maggior parte dei casi hanno assunto un aspetto talmente anacronistico che non li degnamo della nostra attenzione, al pari delle stampe tratte da quadri celebrati un tempo nelle esposizioni, quando ci accade di trovarle appese nelle stanze di alberghi antiquati.
E’ assai probabile che in futuro questi artisti saranno rivalutati e sarà di nuovo possibile discernere tra chi è inequivocabilmente mediocre e chi è degno di attenzione, perché, contrariamente a quanto si tende a credere oggi, è evidente che non tutto era vacuo e convenzionale nelle loro opere. Ciò nonostante, si riterrà forse sempre, e giustamente, che da questa grande rivoluzione in poi la parola “arte” ha assunto per noi un diverso significato e che la storia dell’arte nell’Ottocento non potrà mai divenire la storia dei maestri più contesi e più pagati del tempo, bensì quella di un gruppetto di uomini isolati che ebbero il coraggio e la tenacia di essere anticonformisti e di vagliare criticamente e senza timore le convenzioni allora predominanti, creando nuove possibilità per la loro arte. […]
Alcuni dei “ribelli”, specialmente Monet e Renoir, ebbero la ventura di vivere abbastanza a lungo per godere i frutti di questa vittoria e divenire celebri e rispettati in tutta Europa: poterono vedere le loro opere entrare in gallerie pubbliche ed essere ambito possesso dei ricchi. Questa metamorfosi inoltre lasciò un segno durevole sia sugli artisti che sui critici: i critici denigratori avevano dimostrato di non essere infallibili e se essi avessero acquistato le tele oggetto dei loro scherni avrebbero realizzato un capitale. La critica subì quindi una perdita di prestigio da cui non si riebbe più.” (Da: “La storia dell’arte raccontata da E. H. Gombrich”)
Secondo me, a partire dall’Ottocento è proprio l’anticonformismo e il desiderio di esprimere con sincerità qualcosa di sé o del contesto in cui è immerso uno dei massimi contributi dell’artista al progresso della società, non volto alla conquista di potere o di denaro ma alla comunicazione profonda fra individui, che non necessita di successo a livello di massa per dare i suoi frutti migliori. Sono convinta che nei millenni, a qualsiasi livello, molti esseri umani hanno contribuito con l’arte all’elevazione spirituale dei coetanei, senza lasciare alcuna traccia di sé, così come d’altronde, qualsiasi riconoscimento ufficiale è privo di senso per l’interessato che non ha avuto modo di riceverlo in vita. Offrire spontaneamente, qualsiasi cosa in qualsiasi ambito, creando sintonia fra anime, resta un atto di generosità, anche quando non è né economicamente valorizzato né emotivamente ricambiato.
I criti d’arte non sono mai stati i precursori del valore di un artista, salvo casi rarissimi come Federico Zeri. Ma un vero artista non passerà inosservato a prescindere dal successo che possa aver avuto in vita. Tuttavia non basta “sentirsi ” artisti per esserlo.
Un artista non sa di esserlo, ma lo è come dato naturale del suo modo di essere.
Il primo anticonformista fu Giotto, che nella cappella degli Scrovegni a Padova diede “volto” per la prima volta all’uomo comune, che prima si perdeva in un anonimato sovrastato dalle figure sacre. L’ultimo in ordine di tempo fu Picasso, che ha stravolto gli stilemi classici secondo una visuale soggettiva. In entrambe i casi questi artisti hanno anticipato le istanze culturali che si stavano imponendo nelle società dell’epoca. Giotto, facendo emergere la soggettività del singolo individuo, che si staccava dal destino che la nascita gli avrebbe imposto, com’era normale sino a quel momento storico. Infatti gli Scrovegni rappresentavano l’esempio di una famiglia di imprenditori che confidavano sulle loro capacità di emanciparsi dal destino ineluttabile attraverso il proprio ingegno. Erano il simbolo dell’uomo nuovo che preludeva al Rinascimento che sarebbe arrivato due secoli più tardi.
Picasso ha trasferito nelle sue opere le istanze di “libertà espressiva e morale” che erano maturate nell’ultima parte dell’800, caratterizzate dal tumultuoso sviluppo industriale e sociale, rompendo gli schemi rigidi che derivavano da un classicismo “ingessato” e dittatoriale.
Che si diventi famosi come capiscuola, o ignorati per l’eternità, un artista è tale solo se rientra in questi paradigmi. Interpretare quello che la società ancora non sa di essere. Anche se è così isolato da quest’ultima, che questo concetto riguarda solo sè stesso.
Ma se ha qualcosa da dire di nuovo e di “vero”, qualcuno prima o poi lo “ascolterà”. Del potere e del denaro un artista vero si disinteressa automaticamente. È giá ricco del suo bisogno di esprimere la sua arte. Purchè sia “vera” arte.
Nell’affermare le mie convinzioni sull’arte e sugli artisti non intendo contestare pareri diversi ma soltanto esercitare la libertà di esprimere il mio pensiero in merito, che non sarà scalfito da alcuna puntualizzazione contraria.
Ieri pomeriggio sono sfuggita alla calura estiva visitando la collezione poco nota dell’Accademia Albertina di Torino, che comprende opere di scuola italiana e straniera, con una forte presenza di olandesi e fiamminghi, lungo un arco cronologico che va dal XV al XIX secolo. Molte tele di artisti piemontesi e lombardi, dai nomi pressoché sconosciuti ai non esperti d’arte locale, tra i quali spiccavano, più per la fama raggiunta dall’artista che per particolare rilievo creativo, due belle tavole di Filippo Lippi, databili intorno al 1440. Fisicità ripresa da Masaccio, ma scala cromatica di colori che ricorda quella del Beato Angelico, estrema accuratezza nell’esecuzione.
Quando si osservano in poco più di due ore almeno un paio di centinaia di opere si fatica a distinguere non solo le epoche e la falsariga degli stili ma soprattutto l’individualità degli artisti, che è per me l’aspetto più importante. Cosa ricordo di tutto questo enorme sforzo collettivo di esprimere se stessi, incanalati nelle modalità e nelle capacità tecniche concesse dalle varie epoche? A parte le copie, trascurabili, di quadri di Raffaello o di Caravaggio, già noti nei loro tratti salienti, e un vivido San Giovanni Battista fanciullo del secentesco Daniel Seyter, mi è rimasto impresso soprattutto un grande quadro che illustra un tramonto con alberi in primo piano tormentati da un forte vento, che richiama alla mente “La tempesta” di Giorgione, senza però ricordare affatto il nome dell’artista che l’ha realizzato. Ma anche due dipinti di un altro pittore, soprannominato “L’Orizzonte” per il suo interesse a guardare lontano, come se volesse esplorare oltre le tele, in contrapposizione a un fiammingo, se non ricordo male, soprannominato “Il maestro del flauto riparato”, che era riuscito a rendere le sue nature morte più vere del vero, seguendo la tradizione pittorica dei giganti della sua terra. Impossibile risalire al suo nome cercando in rete… Interessante, anche un pittore ottocentesco, per il soggetto che illustrava un sacrilegio in una chiesa, d’avanguardia per l’epoca, in cui gli artisti si stavano rendendo autonomi nella scelta dei temi da rappresentare. Inutile immaginare quanti altri, magari non meno bravi, non siano pervenuti nemmeno fin qui!
Io invece vedo un miglioramento qualitativo. Prima si notavano ovvietà, improntitudine, sussiego, piaggeria, vanità, iperboli ed estremi, oggi si vedono anche attenzione, fragilitá, tristezza, umorismo oltre che le crepe, le pieghe e le sfumature dei partecipanti che prima erano coperte “dall’egotismo solidale”.
L’asilo non c’è più. Siamo passati almeno alle elementari.
“L’asilo non c’è più. Siamo passati almeno alle elementari.”
e si potrebbe arrivare pure al LICEO e all’ UNIVERSITA’, se un paio di utenti si astenessero del tutto dal continuare a fare commenti futili. confido in un MIRACOLO.
Ognuno puo` sentirsi ferito, in base al proprio carattere ed esperienze, ma anche in base alle capacita` comunicative. Ognuno esprimere ed interpreta le cose a proprio modo.
A quanto pare Valinda si e` sentita ferita da certe cose (ripeto non so quali siano perché non ho letto le conversazioni precedenti). E se e` cosí possiamo magari comprendere e rispettare i sentimenti negativi creatisi dentro di lei. Pero` la cattiveria non e` giustificabile e soprattutto non porta a nulla. Magari una gratificazione temporanea nel sapere che si e` colpito l’altro nel personale? Ok si, anche questo e` umano, ma a lungo andare saremo sempre solo al punto di partenza.
Perché non accettare che si possono avere opinioni opposte, e che si possa semplicemente dialogare e scambiare idee senza infastidirsi?
Ad esempio dai commenti che ho letto di Maria Grazia, credo io e lei siamo molto diverse, e in passato credo abbia criticato alcuni dei miei punti di vista, tra l’altro in un momento in cui mi sentivo particolarmente sensibile e vulnerabile. Ma ho letto le sue opinioni, ho pensato a che strumenti mi potessero dare per vedere le cose in modo diverso. Poi magari non ho condiviso e ho continuato a vederla allo stesso modo, ma sicuramente non mi hanno infastidita. Anche perché scrivo su questo forum appunto con l’intento di esprimere e scambiare opinioni.
Sulla natura e… sul quadrifoglio.
Nella mia ignoranza da bimbetta dell’asilo c’è stato un momento in cui ho immaginato di poter raccogliere e catalogare le erbe e i fiori più comuni nella campagna nei dintorni di casa. Ben presto, ai primi tentativi, optai per passatempi meno impegnativi, spaventata dall’immensa varietà di specie (la “famiglia” della margherita, la più numerosa del mondo vegetale, conta circa 22.000 specie, distribuite su circa 1.500 generi).
Esistono ben 250 varietà di trifoglio, e so distinguere soltanto quello rosso da quello bianco: il primo è più alto, sboccia in primavera e varia leggermente l’intensità del colore, tendente al viola, in relazione al terreno che lo ospita. L’altro, invece, a malapena raggiunge la spanna, è ovunque del tutto uniforme nel suo bianco sporco, ornato sulla cima del fiore da una leggera sfumatura in marroncino. Fiorisce più tardi, non prima di fine giugno…
Si ritiene che un quadrifoglio (appartenente alla famiglia del trifoglio bianco) porti fortuna a chi lo trova e a chi lo riceve in dono perché la probabilità di trovarne uno è calcolata ogni 10.000 trifogli. Ho messo a segno una piccola scoperta sul tema: per quanto ho potuto finora constatare, il quadrifoglio non è il prodotto d’eccezione di una piantina di trifoglio ma una vera e propria piantina a sè, fuori dalla norma, che produce soltanto quadrifogli.
L’inconveniente per regolari bottini in cerca di buona sorte, però, esiste anche in questo caso perché la maggior parte delle specie di trifolium è per lo più annuale o biennale, raramente perenne…
Pochissime sono anche le eccezioni in positivo nel genere umano. Spesso persino i migliori sono eccessivamente orgogliosi di sé, nella maggior parte dei casi senza averne alcun merito, incapaci di valutarsi per quello che sono e non per quello che vorrebbero essere, sia nel delineare il loro entourage familiare che la loro super-partecipazione a qualsiasi tipo di agglomerato sociale. E, al contrario dei quadrifogli, non portano nemmeno fortuna!
Michelle le cose, per alcuni, non sono così “lineari” come le hai descritte. C’è chi è qui non per dialogare e allargare la propria visuale, ma solo per trovare conferme e solidarietà su un determinato “sentire”.
Se si incontrano opinioni espresse con argomenti plausibili, ma che “non piacciono”, spesso si reagisce come se queste fossero indirizzate personalmente, tanto appaiono convincenti ma sgradite, perchè offrono scenari meno idealizzati di quelli di cui si cerca conferma e solidarietà.
Questo luogo, nasce come un forum ma spesso finisce per diventare un club privato, dove i “soci” che si ritrovano nello stesso “sentire” non amano intrusi che ne scompiglino lo “statuto”.
Non tutti sono “chiari” come te su LaD, Michelle. C’è anche chi non è come appare, anche e soprattutto tra gli insospettabili.
Guarda, lo scrive anche l’insospettabile Rossana nel suo ultimo post:
“…incapaci di valutarsi per quello che sono e non per quello che vorrebbero essere, sia nel delineare il loro entourage familiare che la loro super-partecipazione a qualsiasi tipo di agglomerato sociale.”
Vedi? Lo ha capito anche lei. Partendo dai quadrifogli.
Ciao.
michelle
quello che tu esprimi è esattamente ciò che intendevo io: si può non concordare nei pensieri, nei modi di essere, nelle idee. ma al tempo stesso si può continuare a rispettarsi a vicenda. Qui invece non ho mai capito tutto questo dare addosso a un’ altro solo perchè ha una diversa visione delle cose. Del resto, se a questo mondo fossimo tutti uguali, se indossassimo tutti lo stesso “vestito”, cosa cacchio impareremmo ?
Sui giudizi e sull’esempio dato da quelli sull’arte dell’ ‘800, che evidenzia la loro assurda presunzione, in qualsiasi ambito siano espressi.
“Fu solo nell’Ottocento che si aprì un vero e proprio abisso tra gli artisti di successo (che contribuivano all’”arte ufficiale” ) e gli anticonformisti, apprezzati in genere dopo la morte. Il risultato costituisce uno strano paradosso. Attualmente, perfino gli esperti conoscono l’”arte ufficiale” dell’Ottocento solo in modo approssimativo. E’ vero che a molti di noi sono familiari alcuni dei suoi prodotti, i monumenti dedicati a uomini illustri sulle pubbliche piazze, le pitture murali nei municipi e i vasti cimiteri dalle tombe ricche ed elaborate (come quello di Staglieno a Genova), ma nella maggior parte dei casi hanno assunto un aspetto talmente anacronistico che non li degnamo della nostra attenzione, al pari delle stampe tratte da quadri celebrati un tempo nelle esposizioni, quando ci accade di trovarle appese nelle stanze di alberghi antiquati.
E’ assai probabile che in futuro questi artisti saranno rivalutati e sarà di nuovo possibile discernere tra chi è inequivocabilmente mediocre e chi è degno di attenzione, perché, contrariamente a quanto si tende a credere oggi, è evidente che non tutto era vacuo e convenzionale nelle loro opere. Ciò nonostante, si riterrà forse sempre, e giustamente, che da questa grande rivoluzione in poi la parola “arte” ha assunto per noi un diverso significato e che la storia dell’arte nell’Ottocento non potrà mai divenire la storia dei maestri più contesi e più pagati del tempo, bensì quella di un gruppetto di uomini isolati che ebbero il coraggio e la tenacia di essere anticonformisti e di vagliare criticamente e senza timore le convenzioni allora predominanti, creando nuove possibilità per la loro arte. […]
Alcuni dei “ribelli”, specialmente Monet e Renoir, ebbero la ventura di vivere abbastanza a lungo per godere i frutti di questa vittoria e divenire celebri e rispettati in tutta Europa: poterono vedere le loro opere entrare in gallerie pubbliche ed essere ambito possesso dei ricchi. Questa metamorfosi inoltre lasciò un segno durevole sia sugli artisti che sui critici: i critici denigratori avevano dimostrato di non essere infallibili e se essi avessero acquistato le tele oggetto dei loro scherni avrebbero realizzato un capitale. La critica subì quindi una perdita di prestigio da cui non si riebbe più.” (Da: “La storia dell’arte raccontata da E. H. Gombrich”)
segue…
…
Secondo me, a partire dall’Ottocento è proprio l’anticonformismo e il desiderio di esprimere con sincerità qualcosa di sé o del contesto in cui è immerso uno dei massimi contributi dell’artista al progresso della società, non volto alla conquista di potere o di denaro ma alla comunicazione profonda fra individui, che non necessita di successo a livello di massa per dare i suoi frutti migliori. Sono convinta che nei millenni, a qualsiasi livello, molti esseri umani hanno contribuito con l’arte all’elevazione spirituale dei coetanei, senza lasciare alcuna traccia di sé, così come d’altronde, qualsiasi riconoscimento ufficiale è privo di senso per l’interessato che non ha avuto modo di riceverlo in vita. Offrire spontaneamente, qualsiasi cosa in qualsiasi ambito, creando sintonia fra anime, resta un atto di generosità, anche quando non è né economicamente valorizzato né emotivamente ricambiato.
I criti d’arte non sono mai stati i precursori del valore di un artista, salvo casi rarissimi come Federico Zeri. Ma un vero artista non passerà inosservato a prescindere dal successo che possa aver avuto in vita. Tuttavia non basta “sentirsi ” artisti per esserlo.
Un artista non sa di esserlo, ma lo è come dato naturale del suo modo di essere.
Il primo anticonformista fu Giotto, che nella cappella degli Scrovegni a Padova diede “volto” per la prima volta all’uomo comune, che prima si perdeva in un anonimato sovrastato dalle figure sacre. L’ultimo in ordine di tempo fu Picasso, che ha stravolto gli stilemi classici secondo una visuale soggettiva. In entrambe i casi questi artisti hanno anticipato le istanze culturali che si stavano imponendo nelle società dell’epoca. Giotto, facendo emergere la soggettività del singolo individuo, che si staccava dal destino che la nascita gli avrebbe imposto, com’era normale sino a quel momento storico. Infatti gli Scrovegni rappresentavano l’esempio di una famiglia di imprenditori che confidavano sulle loro capacità di emanciparsi dal destino ineluttabile attraverso il proprio ingegno. Erano il simbolo dell’uomo nuovo che preludeva al Rinascimento che sarebbe arrivato due secoli più tardi.
Picasso ha trasferito nelle sue opere le istanze di “libertà espressiva e morale” che erano maturate nell’ultima parte dell’800, caratterizzate dal tumultuoso sviluppo industriale e sociale, rompendo gli schemi rigidi che derivavano da un classicismo “ingessato” e dittatoriale.
Che si diventi famosi come capiscuola, o ignorati per l’eternità, un artista è tale solo se rientra in questi paradigmi. Interpretare quello che la società ancora non sa di essere. Anche se è così isolato da quest’ultima, che questo concetto riguarda solo sè stesso.
Ma se ha qualcosa da dire di nuovo e di “vero”, qualcuno prima o poi lo “ascolterà”. Del potere e del denaro un artista vero si disinteressa automaticamente. È giá ricco del suo bisogno di esprimere la sua arte. Purchè sia “vera” arte.
Nell’affermare le mie convinzioni sull’arte e sugli artisti non intendo contestare pareri diversi ma soltanto esercitare la libertà di esprimere il mio pensiero in merito, che non sarà scalfito da alcuna puntualizzazione contraria.
Ieri pomeriggio sono sfuggita alla calura estiva visitando la collezione poco nota dell’Accademia Albertina di Torino, che comprende opere di scuola italiana e straniera, con una forte presenza di olandesi e fiamminghi, lungo un arco cronologico che va dal XV al XIX secolo. Molte tele di artisti piemontesi e lombardi, dai nomi pressoché sconosciuti ai non esperti d’arte locale, tra i quali spiccavano, più per la fama raggiunta dall’artista che per particolare rilievo creativo, due belle tavole di Filippo Lippi, databili intorno al 1440. Fisicità ripresa da Masaccio, ma scala cromatica di colori che ricorda quella del Beato Angelico, estrema accuratezza nell’esecuzione.
Quando si osservano in poco più di due ore almeno un paio di centinaia di opere si fatica a distinguere non solo le epoche e la falsariga degli stili ma soprattutto l’individualità degli artisti, che è per me l’aspetto più importante. Cosa ricordo di tutto questo enorme sforzo collettivo di esprimere se stessi, incanalati nelle modalità e nelle capacità tecniche concesse dalle varie epoche? A parte le copie, trascurabili, di quadri di Raffaello o di Caravaggio, già noti nei loro tratti salienti, e un vivido San Giovanni Battista fanciullo del secentesco Daniel Seyter, mi è rimasto impresso soprattutto un grande quadro che illustra un tramonto con alberi in primo piano tormentati da un forte vento, che richiama alla mente “La tempesta” di Giorgione, senza però ricordare affatto il nome dell’artista che l’ha realizzato. Ma anche due dipinti di un altro pittore, soprannominato “L’Orizzonte” per il suo interesse a guardare lontano, come se volesse esplorare oltre le tele, in contrapposizione a un fiammingo, se non ricordo male, soprannominato “Il maestro del flauto riparato”, che era riuscito a rendere le sue nature morte più vere del vero, seguendo la tradizione pittorica dei giganti della sua terra. Impossibile risalire al suo nome cercando in rete… Interessante, anche un pittore ottocentesco, per il soggetto che illustrava un sacrilegio in una chiesa, d’avanguardia per l’epoca, in cui gli artisti si stavano rendendo autonomi nella scelta dei temi da rappresentare. Inutile immaginare quanti altri, magari non meno bravi, non siano pervenuti nemmeno fin qui!
[…]