Chissa cosa vorrà dire tutta questa pioggia che scende giù.
Penso alle tue mani e al mio peccare. Non esisterà assoluzione al mio tradimento, anche se non ti tocco, anche se non ti cerco. Peccare è il desiderio del tuo ritorno. Io in silenzio in questo giorno di pioggia riprendo a scrivere dell’agonia che mi da il pensarti. Sei così bello in quella foto in bianco e nero che fa di te l’immagine del ricordo. Sei la primavera in autunno e la neve gelida dell’estate. Ossimoro, personificazione, poesia o delirio. Come d’annunzio voglio un amore doloroso, solo l’amore negato fa di me la scrittrice del vuoto. Vorrei pensarti felice, ma più di tutto vorrei che felice fossi stato tu con me. Ti ho lasciato andare, sei libero: non ti assillo più, non ti cerco più non ti scrivo neppure per dirti “ciao, come stai? “. Ma ogni notte, ogni volta che c’è la luce del ricordo io con te ci faccio l’amore, pronuncio il tuo nome. Tutto questo non puoi impedirmelo, è l’unica libertà che mi rimane di te. C’è amore anche quando si violenta lo spazio altrui, perché neppure il filo spinato del rifiuto fa di me una che si arrende.
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Categorie: - Amore e relazioni
“Come d’Annunzio voglio un amore doloroso, solo l’amore negato fa di me la scrittrice del vuoto…”
Terribili scherzi fanno gli ormoni a vent’anni, eh Giulia4.
Pensa che probablimente a quel sogno “d’ammore” che ti fa scrittrice del vuoto, puzzano i piedi. E’ solo grazie a quel “vuoto” che non ne sentivi l’afrore.
Stai sveglia. E’ meglio credimi.
Bye
ti capisco.. i sogni non potrà mai toglierteli nessuno.. qualsiasi cosa succeda.
stupenda Giulia4
Intense parole Giulia, un testo che dice e che arriva.
Però @Come d’annunzio voglio un amore doloroso, solo l’amore negato fa di me la scrittrice del vuoto.
e cosa fa di te una scrittrice del “pieno”?
di qualcosa che sta fuori da te e c’è se pure passa per te?
al di là della pioggia e del fatto che ognuno conosce la propria anima, il proprio piacere o dolore (o insieme al caso) e la propria scrittura non sono del tutto convinta che si scriva meglio (sul serio o metaforicamente parlando, lo scrivere la propria vita) quando si sperimenta il vuoto, e vi si indugia troppo, e con il rifiuto piuttosto che con la serenità e la pienezza, e con la pancia che brontola piuttosto che con la pancia sazia, e con le dita congelate piuttosto che con la stufa che scalda, e con le pezze al culo piuttosto che no…
e se il rifiuto e il vuoto sono un luogo da riempire con la nostra fantasia e con i nostri turbamenti, l’essere accolti e accogliere è anche il luogo della realtà, non per questo noiosa e meno intensa.
Il vero incontro e la reale contaminazione, il vero dialogo, anche emotivo, passionale, al posto del soliloquio.
Anche dal rifiuto, certamente, può nascere molto. Spesso nasce moltissimo, e a lungo.
Ma dall’essere piuttosto che dal non essere forse nasce e germoglia qualcosa di meglio, anche se siamo tante cose e chi conosce il senso di vuoto spesso sente molto di più anche “il pieno”.
Asciugare l’enfasi a volte fa bene anche all’amore, per noi innanzitutto, e non alla scrittura soltanto.
Cio’ solo come riflessione, anche dalla tua “metascrittura”, non contro.
il tuo è un pensiero tuo, d’amore e tormento, che hai affidato alla rete. E che come lettrice ovviamente rispetto.
D’Annunzio però amava molto anche il piacere mi sa, e non solo quello che viene dal dolore.
ciao! 🙂