Dall’inizio della pandemia non smetto di chiedermi come mai nel pubblico dibattito non sia mai emerso lo stretto legame tra precarietà del lavoro e trasmissione del virus. Oggi più che mai, in presenza di focolai in realtà caratterizzate da contratti di lavoro sopravvissuti a contrabbandati tentativi di stabilizzazione come società di logistica, macelli ecc., risulta più che mai evidente come i lavoratori, posti di fronte al ricatto della perdita dei loro mezzi di sussistenza, siano costretti a non denunciare eventuali loro positività al virus trasformandosi, loro malgrado, in untori delle loro famiglie e dell’intera comunità. Aggiungasi, che sempre in determinate realtà, prolifica il ricorso a manodopera irregolare e/o priva di permesso di soggiorno inserita in complessi abitativi degradati e promiscui.
Ritengo che non sia ulteriormente possibile ignorare di fronte a tutto ciò come la precarietà sia un problema non solo per chi direttamente la subisce, ma per l’intera comunità troppo spesso inerte di fronte a tali forme di moderna schiavitù eufemisticamente denominata flessibilità del lavoro.
Covid e precarietà del lavoro
di
carla morichi
Lettera pubblicata il 23 Luglio 2020. L'autore, carla morichi, ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Dove lavoro io ti puntano una pistola termica alla testa e se hai più di 37,5 ti abbattono senza troppi clamori facendo fuoriuscire un punzone metallico quadrangolare che penetra poco a destra rispetto al corpo calloso, è giusto così perché la società deve essere garantita.
In una società in cui l’unico scopo è produrre ricchezza (solo per pochi), con la globalizzazione che ha messo in competizioni tutte le economie mondiali sorvolando sugli evidenti divari sociali….
Tutto il resto, purtroppo, è in secondo piano.