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Lettera pubblicata il 26 Settembre 2011. L'autore ha condiviso 2 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore aleba.
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Luna, le solite corrispondenze nette che accumunano le nostre storie seppure distanti. Finirà questo mio bisogno di parlarne, parlarne, parlarne?? … ho kg di carta scritta nei momenti più disparati…scrivo, leggo e parlo.
“Salvami e allunga le tue mani verso me
prendimi e non lasciarmi sprofondare
salvami e insegnami ad amare come te”
… Modà
ALEBA: finirà quando non ne avrai più bisogno. Che rispostona, ah? Però quello che intendo dire è: credo che esistano vari modi di parlarne. Quando ti ho incontrata in questo forum tu ne parlavi, ma in modo diverso. Un modo che era molto più teso all’autocolpevolizzazione, quindi interno, sì, ma più implosivo, e al contempo verso l’esterno, nel senso che le riflessioni erano molto più centrate su di lui che su di te. Non mi dilungo perché penso che tu possa capire cosa intendo dire.
Oggi forse stai facendo un tuo riordino-dati molto più costruttivo, e al contempo, forse, tutto questo scriverne, parlarne, anche se proprio benissimo non ti farà stare, in qualche modo ti depura.
Scrivere può servire a mettere nero su bianco qualcosa che mette in collegamento maggiormente i nostri emisferi razionale ed emotivo.
Ma non voglio analizzare perché scrivi, perché tu ora ne abbia bisogno o a cosa ti possa servire, scusami. Però, ecco, non mi stupisce che tu dica che scrivi, leggi, parli a hai kg di parole. come non mi sorprende che tu ti chieda: quando finirà?
Ci sono vari modi per parlarne e non parlarne.
Io per esempio ho ancora bisogno, certamente, di parlarne. e so che ne parlo però in modo diverso. Non sempre. Ma in generale sì. E quando me ne parlo nel modo “implosivo” la cosa dura molto meno.
So che questo mio mettere nero su bianco o riflettere serve a ME. Prima tutto era sempre molto più teso a capire cosa servisse a LUI e a NOI, a capire per uno scopo che andava anche al di là di me. Oggi mi interessa capire quello che ho bisogno di capire per il MIO equilibrio, per la MIA versione della storia (che non significa un solo punto di vista, cioè un dire: è tutta colpa sua, o cose del genere), per riordinare dei MIEI dati, per fare un mio punto su di me ecc. Al contempo non mi va assolutamente di parlarne.
E non è un paradosso, secondo me.
Fuori ne parlo pochissimo. Già prima ne avevo parlato con un numero ristrettissimo di persone. Forse non lo avrei nemmeno fatto se non fossi stata costretta a. E non per vergogna o che, ma principalmente per riservatezza. Certo, anche per proteggere la persona che amavo e la mia libertà di poter scegliere di restare con lui senza che la gente mi dicesse: ma cosa fai???
questa voglia di libertà è stata anche un limite? Può darsi. Può essere diventata anche una forma di non libertà, certamente. Al contempo quel meccanismo di protezione è molto tipico di situazioni come quella che io e te abbiamo vissuto.
E’ più facile che una persona dica: mio marito è una vera lagna, quando c’è la partita diventa insopportabile.
o
mio marito non mette mai i calzini sporchi nel cestone
che dire le cose che noi avremmo dovuto dire.
Io però, comunque, è vero, sono sempre stata una persona molto riservata, seppure molto socievole. Una persona che ha sempre avuto molto il senso dei panni sporchi che si lavano in famiglia, ma anche della privacy in senso positivo. Delle mie relazioni non ho mai (S)parlato,
ciò non significa che io non possa avere fatto delle confidenze alle amiche più care, sorelle. Ma comunque sia nella mia vita le questioni più personali le ho sempre risolte con una grande riservatezza.
Quindi appunto in questo caso per me è stato anche un trauma dover mettere in mezzo altre persone (per esempio quando non avendo una casa ho dovuto chiedere per forza ospitalità agli amici), durante un work in progress così pesante, ma io ho cercato che ciò non avvenisse e lui invece non è stato capace di avere un atteggiamento più maturo. Inoltre penso anche che ho sempre avuto bisogno di una cosa: di sapere che, in ogni caso, che fossimo rimasti insieme e bene o che le nostre strade si fossero divise con dietro un codazzo di disastri vari, io sarei potuta ripartire da me, dalle mie impostazioni di default. Per farti capire meglio, se ci riesco: quando mia nonna è morta, e per me è stato un grandissimo dolore, naturalmente io l’ho detto ad alcune persone vicinissime, e mi ha fatto bene che loro sapessero anche per il tipo di empatia che c’è tra noi, ma mi faceva stare meglio uscire in un mondo in cui la gente non sapeva che stavo attraversando un dolore. Mi parlava d’altro, ignorando i fatti si rapportava con me come se non fosse così, e questo mi permetteva di respirare. Sul lavoro mai ho dato segnali che nella mia vita ci fossero dei casini. A volte quando i casini sono stati più grossi forse sarò sembrata meno sveglia rispetto ai miei standard, e questo per me era fonte di sofferenza, al contempo però riuscire a darmi un calcio in culo e fare bene le cose qualsiasi cosa stesse accadendo, o mantenere una vita sociale positiva per me era importante. Può sembrare che fosse perché avevo bisogno di portare una maschera, per timore del giudizio altrui. Io vedo la cosa sotto una luce diversa: vedo una mia protezione personale di rispetto al mio modo di essere, di vedere la vita e me stessa, comunque. E mi ricentrava anche. Se io avessi detto: non posso, non posso perché ho dei casini, forse la catena dei non posso sarebbe stata infinita, ci sarei caduta dentro.
Io e lui siamo stati insieme una vita, e per la maggior parte del mondo la nostra era una gran bella storia. Così quando la gente viene a sapere che è finita se ne esce con delle curiosità o delle frasi fuori luogo. Io sto facendo un grande lavoro di ricentratura su di me, e non ho voglia e energie per questo. Tempo fa mi sono sentita dire questo, di fronte al fatto che avevo detto è finita con aria serena e chiudendo la cosa in due battute: ah, allora lo hai lasciato tu, non ti importava poi granché. Io ho detto: semplicemente non mi va di parlarne 🙂
“17 anni e non ti va di parlarne? Non puoi mica fare lo struzzo così! Una storia così importante, magari recuperabile e tu fai così?”.
Io ho detto: Non mi va di parlarne fuori. Mi va di parlarne con me stessa, o al limite con lui, il diretto interessato. (continua)
Tutte le storie che finiscono sono particolari, ma quelle come la mia e la tua sono faccende che hanno bisogno di un surplus di proficuo dialogo con se stessi.
Le persone chiedono, è naturale anche che sia così, tuttavia non capiscono che (non possono sapere che) spesso il problema sta nel fatto che dire tre parole dice tutto e al contempo per spiegare tu dovresti aprire una botola, di melma, e comunque non potresti spiegare.
I miei amici che sanno la storia non hanno bisogno di spiegazioni e riassunti.
Le persone che hanno vissuto esperienze simili si annusano e riconoscono. Anni fa una donna che conoscevo solo per aver comprato cose nel suo negozio mi raccontò una storia di violenza psicologica.
Alla fine mi disse: scusa, non so come mai l’ho raccontata a te.
Io non le avevo assolutamente detto di me, zero.
Tuttavia capivo quello che mi diceva senza che lei avesse bisogno di farmi un disegno, senza che io fraintendessi, come se parlasse in un codice comprensibile.
Così a lei venne naturale parlarne, come non avrebbe potuto, forse, con chi l’avrebbe fraintesa dalla prima frase. E sentì tutta la mia empatia – mi ero commossa – per la strada che lei aveva fatto per tornare alle sue impostazioni di default. E che capivo perché pur dicendomi di aver sofferto: ora sono serena, e non odio il padre dei miei figli. spero che anche lui trovi la sua serenità. Mi raccontava con entusiasmo del suo nuovo amore. “una storia completamente diversa” mi diceva “perché anch’io sono diversa da com’ero allora”.
Una donna una volta mi attaccò bottone al supermercato, dicendomi quanto ero bella e quanto ero solare, mentre purtroppo sua figlia… si sfogò, chiedendomi cosa ne pensassi. Si sfogò perché io la stavo a sentire. Alla fine si segnò due libri e mi disse grazie. E non mi domandò: ma come mai hai capito? In entrambi in casi mi sono chiesta se sarei stata più onesta a dire: vi capisco perché so. Ma io avevo bisogno di avere uno scambio così. E io credo che con il senno di poi o già in quel momento abbiano capito benissimo, de panza, perché io capivo di cosa stavano parlando.
Io sono sempre sensibile a questo tema, e ne ho il massimo rispetto. Penso che la violenza sia sempre una catena, purtroppo, qualsiasi gancio si sia di quella catena. E penso che quando la catena si spezza, nel senso che una persona riesce ad uscire dal meccanismo, ha fatto qualcosa per sé, e qualcosa anche per la non violenza. L’altro può cogliere il messaggio o no, ma certo è che gli si è data una possibilità in più di coglierlo che subendo dei meccanismi. Anche se bisogna uscire anche dalla catena di avere bisogno, per tornare a vivere, che colga e capisca.
Forse non si è capito granché di quello che volevo dire. Sono nel MIO work in progress, e ci tengo alla mia serenità. Per me la serenità è parlarne e non parlarne, sentendo quando per me, e come e quanto, è il caso e quando no. Immagino che lo stesso valga per te. Ti abbraccio.
Ciao Luna, mi ritrovo in ogni parola che hai scritto. Anche io, come te, non ho parlato della mia storia. Non voglio rispondere alle domande che verrebbero spontanee….sono riflessioni mie intime, sarebbe come parlare di alieni parlarne con persone “normali”.
ALEBA: il punto è però che anche tu sei “normale”. Sei una normonevrotica normale (passami l’espressione, che non è un’offesa!) in un mondo perlopiù di normonevrotici, ciascuno con i suoi punti di forza e le sue debolezze, le sue crisi da superare o superate, di varia entità. Quindi se comprendo benissimo perché non hai voglia di metterti a disquisire dei tuoi fatti privati e intimi e di ufologia (e appunto ho scritto dodici post a riguardo e quindi sai il mio punto di vista!) rimane il fatto però che viviamo sulla Terra e non su Marte, anche se la Terra ogni tanto ci sembra a tutti un po’ marziana. Quindi (ma lo dico in generale, non dico che tu non lo fai!) è importante anche, per ritrovare i parametri (che non sono uguali per tutti, certo, ma io parlo dei propri parametri “normali”, affini a se stessi) stare anche in mezzo agli altri.
Scusami, questo tra l’altro non lo dico a te, perché magari in mezzo ai terresti ci stai tutti i giorni, ma come riflessione generale, anche se passasse di qua qualcuno che soffre di una situazione particolarmente aliena (e alienante, perché queste situazioni lo sono) o ne sta uscendo.
Purtroppo quando si vive una situazione aliena si finisce con il sentirsi a propria volta “alieni”. Ti è mai capitato quando magari andavi a casa di qualche altra coppia e vedevi delle situazioni e pensavi: piacerebbe anche a me, ma…
come se tu vivessi su marte e ogni tanto facessi una capatina da spettatrice sul pianeta terra. Pensando che non era male come vivevano i terresti…
Bisogna stare attenti a quei “MA”. Bisogna stare attenti al distinguere il fatto di vivere una situazione percepita come “aliena” – o di averla vissuta di recente – seppure a cui ci si può assuefare sino a considerarla il proprio pianeta, e il fatto di arrivare a percepire anche se stessi come alieni pieni di “MA”.
Mi piacerebbe entrare in un negozio, vedere un vaso di fiori, comprarlo perché sta bene in salotto, portarlo a casa e dire, con piacere e soddisfazione: ma guarda che bene che sta qui in mezzo al salotto!
MA…
Ho fatto un esempio banale, lo so, per spiegare le volte in cui io mi sono sentita “MA…”. Dando anche per scontate delle castrazioni rispetto ai “terrestri”, pur soffrendone e sapendomi terrestre.
MA…
lo dico questo perché purtroppo situazioni come quelle di cui parliamo chiudono e allontanano, chiudono e allontanano (anche per il dispendio di energia che richiedono, per l’introversione a più livelli che richiedono ecc) dalla quotidianità, anche dal fare un giro in un negozio, fare una passeggiata guardando le vetrine, andare al mare e sentire due donne lamentarsi del fatto che il marito non mette i calzini nel cestone.
Se accade fanno pensare: “ma guarda te di cosa si lamentano queste… sono fortunate e non lo sanno”.
Ma, a parte il fatto che non si può sapere cosa c’è dietro la vita di ognuno, forse si “guarisce” nel momento in cui dopo aver sofferto molto e aver sopportato cose esponenziali, pur apprezzando le minime cose
e ritrovando un atteggiamento positivo, si ritorna a dire di fronte ad un parcheggio introvabile “che palle, possibile che non ci sia un posto libero da nessuna parte oggi???”. Perché ci si può anche scocciare e dirlo, pure non facendone una malattia o ciò che rovina una giornata.
E non a non accorgersi neanche che si sta girando da due ore o pensare che le disgrazie della vita sono altre, perché le hai casa o perché ti hanno trapanato le budella fino all’altroieri o hai vissuto ad alcatraz.
E non cominciare ad urlare in mezzo alla strada perché non trovi parcheggio (perché sei nervoso, frustrato per altro ai massimi livelli, ma contieni) e aver voglia di tirare quattro sberle a quello che ti ha fregato il posto.
Forse non riesco a spiegarmi…
Ma sai anche perché mi è venuto in mente? perché tempo fa parlavo con una mia amica che ha attraversato, molto giovane, la battaglia contro la leucemia.
Per anni è ovvio che la sua è stata una relativizzazione fortissima, mentre comunque era positiva e lottava come una tigre.
Oggi, oggi che sta meglio, ogni tanto si lamenta di qualche cazzata, pur sapendo che poteva morire e si è salvata la vita (cosa che non dimenticherà mai, dico, al di là della paura e della sofferenza provata, dico non dimenticherà mai nella sua accezione positiva, perché è come nascere due volte, e la seconda in modo consapevole).
Ed è anche dal suo lamentarsi di qualche cazzata, quelle banalità per cui uno dall’esterno pensa “uno che ha passato quello che ha passato lei non ci farebbe neanche caso” che si capisce che anche dentro la sua anima sta guarendo. Non è più su Marte, anche se ha fatto un giro e che giro su Marte. E nessuno, solo chi è stato su Marte come lei, o con lei, può capire cosa significa davvero.
C’è chi è stato male e non vuole parlarne, per dare una svolta, lei fa volontariato nel campo della ricerca. Io credo che entrambe le cose siano assolutamente corrette dal punto di vista della “panza”. Credo che ognuno abbia i suoi tempi, di recupero dello stress, della propria identità di persona sana, ove per sana intendo “con l’intera percezione della proprie risorse” e per l’integrazione, nella propria biografia, di un’esperienza negativa, di un cambiamento. E per darsi le proprie risposte.
Sono quindi assolutamente sulle tue corde per quanto riguarda il rispetto intimo della propria biografia, per le ragioni che si dicevano.
Al contempo penso che chi ha vissuto un’esperienza negativa abbia molto bisogno di respirare normalità, anche andando a comprare il giornale la mattina e fermandosi al bar a bere il caffé, anche sentendo il brusio delle chiacchiere della normalità e della banale quotidianità. Anche per rimmergersi nel mondo, ricordarsi di farne parte e rendersi sempre più conto di non essere alieno, quantunque l’esperienza possa essere stata aliena. E anche mentre fa un suo percorso interiore per darsi le sue risposte e affronta delle difficoltà.
Baci a voi.
ALEBA: Ecco Aleba hai detto bene “la casa è quel luogo dove devi allentare le tensioni e non imparare a guardarti alle spalle”. Hai detto bene. Io a casa non ero mai in tensione. Stavo bene. Mi sentivo a “casa”. Con lei tranquillamente. Senza tante problematiche. Non cercavo nulla non volevo nulla. C’erano i problemi della vita, il lavoro, le malattie dei familiari. Ma lì a casa stavo bene. Non pensavo diventasse una fonte dell’esperienza finora più brutta della mia vita.
LUNA: Si mi sono messo in discussione Luna. Però forse l’ho fatto tardi. Avrei dovuto farlo prima. Capire dove non capivo. Capire che forse gli altri hanno un altro cervello. Stare attento. Invece no. Non l’ho fatto. Forse ho dato l’Amore di mia moglie per “scontato”. Ma scontato nel senso di “sicuro”. L’ho visto un po’ come quello che potrebbe essere di mia madre nei miei confronti. Quando finirà ? Mai !
Anch’io ho chiesto a mia moglie in questi due anni di provare ad andare in terapia per vedere cosa era successo. Non ha voluto. No io non ho mai fatto come il tuo uomo. Non ho mai detto “non ti amo più, è finita” a mia moglia. Mai successa una cosa del genere.
Vedi voi in fondo le vostre discussioni le avete avute. Noi no. Se no quelle richieste riguardo il figlio. Ma mai una discussione che fosse tale. Tutto si svolgeva nella calma più tranquilla. Ed io ripeto non ho visto nulla di strano nel nostro rapporto. Addirittura chi entrava in caso si meravigliava e rimaneva incantato dalla nostra tranquillità. Io non so veramente non lo so cosa sia realmente successo. Io sarò stato distratto. Ma non ho capito. Ancora adesso come dite voi “mi sto uccidendo” ma non ce la faccio a non farlo.
Ho letto e sto leggendo ancora il tuo post ma, perdonami, Luna onestamente non ho compreso bene i motivi delle vostre crisi. Se dovute a sue ansie e depressioni o cosa. Non ho ben compreso cosa è successo dopo i 10 anni in cui dici che ti ha amato. Non ho ben compreso qual è questa guerra che lui ti ha dichiarato dopo questi 10 anni. E’ entrato in crisi ? Ma in crisi di che cosa ? E perchè ? Perdonami, sarò io che non ho capito. Ma non mi sono chiari i motivi. Mi hai detto del fratello che gli diceva “Ma che stai facendo ?” Ma che stai facendo di cosa. Non ho ben compreso se il problema era il fatto che lui non reggeva le discussioni e non voleva affrontarle o il fatto che a scadenza di dicesse che non ti amava più. Ma da quel che ho potuto evincere c’eramo delle crisi piuttosto evidenti tra di voi. Scaturite da cosa ? Dalla sua depressione, ansia o pessimismo cronico. Mi hai detto che non ti diceva “Ti amo” ma te lo dimostrava. Bè non è poco. Ma allora cos’è realmente che vi ha portato a far sì ch non riuscivate a intavolare un discorso costruttivo. Ci sono dei punti che non ho capito. In Aleba si è visto chiaramente dai suoi racconti la presenza di un uomo assuirdo. Qui ci sarà pure visto che fai una specie di confronto. Ma io non l’ho capita. Non ho capito cioè qual era il problema….
FUORI DAL CORO: sono quelle cose aliene di cui si diceva… difficili da spiegare per questo. Anche se, stringi stringi, comunque sia nel momento in cui una persona ti dice: ti amo, voglio stare con te o dice altro e ha un altro atteggiamento comunque alla base le cose non vanno.
E una relazione esiste finché due persone dicono che quella relazione esiste e si impegnano reciprocamente a farla esistere, continuare, crescere o, in casi di conflitti, a risolverli.
Intendo dire che al di là delle 45000 motivazioni per cui una persona ti dice: non voglio stare con te/questa non è casa tua/non ti parlo più/non ti amo o ti tratta in malo modo questi sono i fatti.
Mi è difficile davvero farti un riassunto molto più chiaro. Diciamo che quando siamo andati a vivere insieme lui è andato in tilt, e mi ha dichiarato una guerra sia nel senso che ha usato (anche contro di sè, dicendolo a me) l’arma del disamore, sia che palesava un suo conflitto interiore che diventava conflitto di coppia ma si rifiutava di ammetterlo e di affrontarlo, sia perché faceva la guerra ad un’idea di me che non ero io.
Non sono molto chiara comunque?
Mi dispiace, ma non è facile spiegare.
La mia storia somiglia molto a quella di Aleba in molte cose.
Dire di no e dimostrare qualcosa che comunque ti fa comodo sia indefinibile no che non mi sembra una gran cosa.
Lui dimostrava distacco e al contempo anche delle forme di attaccamento, ma al contempo per la sua crisi (inespugnabile) le carte in tavola che metteva erano quelle del distacco, e al contempo però rimproverava un mio distacco.
Un vero casino, Fuori dal Coro, veramente impossibile da riassumere in poche righe.
Per quanto riguarda il fatto che ti colpevolizzi per aver date delle cose per scontate, mi domando però perché tendi comunque e sempre a prendere troppe responsabilità su di te e dargliene così poche.
responsabilità, non colpe. Parliamo comunque di una donna adulta, non di una bambina, che nel momento in cui non è chiara nel verbalizzare i suoi contrasti, i suoi bisogni, o ciò che lei considera diverso da ciò che vuole (patate fritte, lesse o in purè) ha comunque questa responsabilità. Non è che l’amore significhi per forza saper decodificare i messaggi anche fuorvianti che una persona ci lancia. Non è che possiamo avere la sfera di cristallo.
E se una persona dopo 5, 10, 15 anni ci rimprovera di non aver capito che si sacrificava mangiando patate fritte invece che lesse per non farci restare male o per mantenere un’armonia forse potrebbe anche prendersi la responsabilità del fatto che non ha verbalizzato i suoi conflitti sulle patate, e potrebbe interrogarsi sul perché non lo ha fatto. Ma non delegando solo all’altro la responsabilità di aver detto, non visto, non capito. Ma chiedendosi: perché io non mi sono fatta capire?
Naturalmente io non c’ero Fuori dal coro e quindi non posso sapere come siano andate le cose,