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Lettera pubblicata il 4 Aprile 2011. L'autore ha condiviso 2 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore C18.
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CB: gentile CB, ora mi è più chiaro dove sta il “problema”.
@Saresti in grado di dire quali ragioni ti hanno spinto a toglierti il costume per restare nuda? Sicuramente in quel momento hai sentito di agire in quel modo, tu scrivi: “quando mi è capitato di andare a prendere il sole senza costume […] non è stata dettata dal fatto che mi piaceva l’idea che qualcuno mi vedesse senza costume”. Quali sono stati i meccanismi inconsapevoli che ti hanno spinta a fare ciò però non li conosci.
Come fai a sapere che io non mi conosco? 🙂
Seguimi, non ti sto dicendo: ehi, io mi conosco, come ti permetti!
Te lo sto dicendo con un sorriso per l’auto-inconsapevolezza che tu sembri temere di riconoscere negli altri. Ma ora, grazie al fatto che hai parlato un po’ più di te stesso e della tua personale esperienza, mi è maggiormente chiaro il perché.
L’importanza che ha avuto per te un certo passaggio. Non quello allo scambismo, ma forse al tuo riconoscimento di te.
credo che forse il tuo errore di fondo, passami la parola, sia, poiché tu hai avuto un determinato percorso che tu valuti di passaggio tra una tua inconsapevolezza di alcuni aspetti di te e una maggiore consapevolezza di te (riassumo così il tuo concetto che ho compreso) di credere che negli altri ciò ancora non sia avvenuto. Cioè forse tu vedi te stesso nel momento precedente ad un certo tipo di analisi e te stesso dopo. sei entusiasta del te stesso dopo, del fatto di aver capito delle cose di te, di esserti sentito, forse, meno “passivo” rispetto a te stesso.
Non so quanti anni tu abbia e a quanti anni tu ti sia fatto una certa serie di domande, anche esistenziali e sulle tue motivazioni più intime e sulla tua altalena tra conscio e inconscio, e sul perché ti mettevi o toglievi una mutanda al sole. Ogni percorso è personale, e ogni persona riconosce, nel suo percorso, dei momenti salienti e di personale cambiamento. E il perché si è fatto delle domande piuttosto che altre, o ha avuto bisogno di fare determinate analisi.
Io trovo così naturale questo aspetto a livello individuale che ho forse meno bisogno di te di razionalizzarlo.
E il motivo per cui lo trovo naturale forse è anche che, per quanto mi riguarda, quella fase di primo, grande, inventario interiore a cui tu fai riferimento, io me le sono fatte a 20 anni, dopo un problema di salute e una mia crisi personale profonda.
E’ allora, a 20 anni, che io ho scelto di andare da uno psicanalista.
Non penso, con questo, che tutti debbano farlo per conoscersi meglio.
Penso che ciascuno di noi segue il suo percorso, con i propri momenti salienti e le proprie illuminazioni. Non penso neanche che si finisca mai di conoscersi o di poter evolvere.
Non mi sento maggiormente illuminata di altri. So che significato ha avuto per me fare quell’inventario e quelli seguenti. Mi viene spontaneo chiedermi, scusami, se tu l’inventario di cui parli lo hai fatto di recente, perché sembri così preso da una fase in cui il fatto di averlo fatto diventa quasi preponderante rispetto al fatto di “viverti”, nelle tue varie parti, anche più istintivamente consapevoli, senza bisogno di analisi costanti. Quasi a ricordare a te stesso che tu non sei più quello di prima. Cosa ti ha dato quell’inventario che prima non avevi, cosa hai scoperto di te che prima non sapevi, in cosa tu eri limitato e ti sei liberato, in cosa agivi magari compulsivamente senza sapere che era compulsione, ma dando per scontato che quello fosse ciò che veramente volevi e sentivi.
Ora mi è più chiaro capire perché insisti su certi punti e perché ti domandi se gli altri siano ancora addormentati o non si interroghino.
Freud, che dava una fondamentale importanza all’inconscio, quando gli fu chiesto un commento sul significato psicanalitico del fumare, rispose che “certe volte un sigaro è solo un sigaro”.
E credo che in queste poche parole abbia detto moltissimo.
E non veniva certo da qualcuno che dava poca importanza al conoscersi, ma al contempo sapeva anche che il conoscersi non è una questione di analisi meramente razionale- E che non è neppure una questione di muoversi solo negli strati più “invisibili”. Ma dell’equilibrio tra gli strati.
E che non è che per conoscerci meglio e stare meglio nella nostra pelle dobbiamo scanerizzare ogni nostra parola o nostro gesto domandandoci se, forse, ci stiamo nascondendo qualcosa. La questione è molto diversa.
Non rischiamo un imbroglio con noi stessi, CB, o una limitazione, ogni volta che ci viviamo invece di domandarci perché viviamo una certa cosa in un certo modo o perché diciamo un sì invece di un no, anzi, molto spesso siamo estremamente sinceri con noi stessi nel momento in cui, fuori da ogni analisi, esprimiamo un nostro gusto. Tanto che è possibile che non sappiamo dare una risposta in 2 secondi non perché non siamo consapevoli, ma perché lo siamo al punto che non abbiamo bisogno di farci la domanda o perché quella risposta è estremamente semplice.
A volte la psicanalisi serve anche a questo, a comprendere la differenza tra le domande utili che ci facciamo e quelle con cui invece ci ammorbiamo soltanto, figlie magari di uno stato di ansietà o disagio che proiettiamo in modo razionale sul chiederci un’infinita gamma di perché, in realtà, che hanno molto poco senso e che invece di aiutarci ad incontrare noi stessi servono a fare da scudo proprio a quell’incontro. Perché magari ci incontreremmo molto di più se ci ascoltassimo soltanto. Cosa che molte persone, peraltro, senza mai essere andate da uno psicanalista, sanno fanno benissimo. Ad altre può essere utile andare dallo psicanalista per recuperare questa innata capacità. Che non è matematica, è “panza”.
Ciao 🙂
Cara LUNA, in questo tuo intervento esprimi una cosa che ritengo esatta ed al tempo stesso errata e mi spiego meglio.
Io non ho mai sostenuto che avessi raggiunto una certa consapevolezza di me, anzi io sostengo che nessuno abbia mai raggiunto la conoscenza di se stesso e probabilmente mai la raggiungerà. Si dice che solo Siddhartha, cioè Buddha, ci sia riuscito raggiungendo l’illuminazione. Anche l’umanità nella sua interezza, cioè come essere unico, non la conosce. Io ho riportato una mia esperienza non perché ritenessi rappresentasse il mio punto di svolta, ma perché volevo indicarti come nella vita si attraversano costantemente cambiamenti che destabilizzano la parte cosciente di noi facendoci scorgere un NOI completamente diverso da quello conosciuto. Ciò che ritengo “pericoloso” e decostruttivo per noi, è proprio il ritenere di aver raggiunto un punto di conoscenza del SE che non ci consente di andare oltre. Io sono intimamente convinto che non si smette mai d’imparare, del resto si ritiene che il cervello sia la cosa più complessa che esista nell’universo e quest’ultimo, è bene ricordarlo, è ancora grandemente sconosciuto. Nel momento che sembra si sia raggiunto un punto di conoscenza adeguato, si scopre che è ancora tutto da scoprire. Quando tu esprimi di avere una sicurezza della tua conoscenza, io mi sento un tantino perplesso, non perché non ti ritenga capace di valutare le cose, anzi apprezzo molto le tue capacità analitiche che qui esprimi egregiamente, resto però perplesso davanti a questa tua spavalda sicurezza sulla conoscenza del SE che non ho mai riscontrato in nessuno, me compreso naturalmente. Quando si ascoltano i racconti di gesta eroiche, è impossibile non notare che gli eroi sono i primi ad essere rimasti meravigliati del loro gesto, questo dovrebbe farci riflettere. Del resto la psicologia si basa proprio su questa non conoscenza del SE, essa tenta di scoprire questa parte di noi che rimane nascosta a noi stessi. Oggi sappiamo quanto sia relativo il mondo in cui viviamo, quante relazioni sconosciute esistono tra le cose, soltanto ora cominciamo a comprendere come il taglio di un albero in Amazzonia può influire sulla mia vita qui in Italia. Quante volte ci è capitato di fare una cosa e poi pentircene a distanza di tempo dicendo: “ma non potevo immaginare che…”.
Io so che il fumo fa male, che la sua incidenza sul proprio portafoglio impedisce di far altro semmai molto più utile, piacevole, ecc… e combattevo la mia battaglia perfettamente convinto delle ragioni che ne erano il fondamento. Poi mi sono ritrovato in una situazione dove il fumo, in una maniera del tutto inaspettata, mi ha aiutato a superare certe condizioni contingenti che non trovavano risposte in altre risorse. Quando ho compreso che ne stavo diventando schiavo proprio come coloro che io stesso condannavo, ho cercato di uscirne trovando difficile l’impresa, nonostante le mie profonde convinzioni di fondo.
Quando Richard Bandler, uno dei fondatori del movimento PNL (Programmazione Neuro Linguistica), sostenne che gli esseri umani sono letteralmente programmabili, rilevò verso questa asserzione una notevole opposizione. Il termine “programmazione” sollevava feroci reazioni per il sentirsi accomunare ad una sorta di robot, cosa assolutamente intollerabile. Nonostante l’abbondanza delle affermazioni a sostegno di questa metodologia psicoterapica, essa non ha ricevuto, ancora oggi, il sostegno della comunità scientifica ed è tuttora in discussione. Il suo valore però è ampiamente utilizzato nel marketing e nel counseling per ovvie ragioni economiche. Qual è la ragione?
Ritengo, per rispondere ad un tuo appunto sul fatto che non è necessario impegnarsi a scannerizzare ogni parola che viene espressa, cosa peraltro già svolta egregiamente ed in automatico dal nostro cervello, che si possa migliorare la narrazione dei fatti a noi stessi, affinché si potenzializzi la propria percezione. Ho molto seguito l’approccio di Milton Erickson che riteneva l’inconscio come qualcosa che è completamente distinto e separato dalla mente conscia.
I telegiornali spesso ci propongono casi di “follia” improvvisi ed inaspettati a cui è difficile dare spiegazioni plausibili, ma quanti casi non estremi come quelli presentati, succedono ogni momento intorno a noi, ed uno lo abbiamo vissuto proprio qui. Posso garantirti che io sono completamente diverso da come sono stato descritto, e tu hai anche affermato che chi mi descriveva in quel modo era diverso da come io descrivevo a mia volta, eppure abbiamo vissuto una condizione di totale incomprensione ed intolleranza non riconducibile a condizioni oggettivamente e precisamente individuabili.
Tu stessa, nonostante hai dimostrato una certa capacità analitica, sei stata vittima di questo percorso ed ancora esprimi qualche condizione d’incomprensione su quanto vado affermando, nonostante io abbia più volte chiarito che il mio approccio al dibattito è generalizzato, indirizzato alla comprensione, non pregiudiziale verso chicchessia ecc… Io rilevo che tu tendi a darmi spiegazioni personali e pregiudiziali che io accetto volentieri, ma vorrei che tu analizzassi anche un aspetto più autocritico, non perché io voglia che tu cambi idea o mi dia ragione, assolutamente, ma solo perché possa, se mai ce ne fosse bisogno, cosa che peraltro puoi sapere solo tu, conquistare più consapevolezza nei cambiamenti attualmente in atto nel mondo e nella cultura d’oggi.
Scusami se qualche volta posso apparirti arrogante o presuntuoso, io in realtà non intendo in nessun modo dare questa impressione, vorrei piuttosto essere come il grillo parlante di pinocchio che pur nel suo ruolo irritante, cerca di suggerire consigli che restano tali qualunque uso se ne faccia. Mio nonno mi ripeteva spesso che è sempre possibile apprendere, anche dalle persone più stupide ed io vorrei essere per te uno di quegli stupidi.
Gentile CB non vedo quale spavalderia ci sia nelle mie parole. Di fronte alla tua affermazione che presupponeva il fatto che io ignorassi il procedimento psicanalitico e il fatto di interrogarsi a più livelli etcc ti ho semplicemente risposto che so di cosa stai parlando. Poiché tu insisti in queste pagine sul fatto che le persone non sanno cosa significhi interrogarsi ad un altro livello, ti ho sottolineato il fatto che farci un giro, nell’inconscio, o meno, non è un dato che presuppone una maggiore o minore qualità, ma che comunque è un tuo pregiudizio pensare ad un eccesso di inconsapevolezza negli altri, che la consapevolezza derivi da andare da uno strizzacervelli, da autoanalisi, o dal coltivare l’orto.
E ti ho anche detto che però il fatto di sapere che la vita è un pantarei non mi impedisce di riconoscermi e percepirmi un’identità che vive un presente, seppure in divenire, che non significa il pensare di essere Buddah, bensì però anche avere un buon contatto con se stessi che permetta di attraversare la vita in divenire, ma non con lo stato d’animo di una bandierina che si muove al primo vento. Anche la persona più aperta seleziona gli stimoli che sono di suo interesse e/o compatibili, e questo è un dato di fatto.
E lo fa anche in maniera istintuale, non solo razionale.
Di fatto tu che ti consideri più aperto in verità non riesci a vedere per te una forma di coppia che consideri chiusa, e non riesci a vedere per te dei modus vivendi che non ti sembrano a te affini, quindi di fatto anche tu, secondo i tuoi parametri, sei una persona non veramente aperta. Per essere aperti come tu intendi tu dovresti essere costantemente aperto a qualsiasi esperienza, anche a quella monacale, e nel tempo presente in cui vivi, scrivi, parli. Se non hai mai provato a fare il monaco come puoi dire che oggi alle 19.06 non vuoi fare il monaco? tu, non te ne accorgi, ma rispetto allo scambismo ragioni così.
In realtà non puoi sapere nemmeno tu cosa sarai domani, è vero.
Se ti mettessero in una gabbia chiuso senza cibo e senza acqua probabilmente riveleresti lati di te che neppure riesci a immaginare. Tuttavia sei immagino in grado di dire che preferiresti ora alle 19.06 (e manco in futuro, se proietti la tua identità nel futuro) non trovarti in una gabbia chiuso senza cibo e acqua. Potresti anche interrogarti per 50 ore sul perché non vuoi stare chiuso in una gabbia, che significato può avere il senso di essere ingabbiato, l’assenza di cibo e acqua, a livello psicologico, emotivo, fisiologico. C’è chi potrebbe dirti che invece potrebbe essere un’eccezionale esperienza mistica in cui scopriresti che puoi stare senza cibo, senza acqua, e che, chiuso in una gabbia, la tua fantasia potrebbe farti pensare che sei ai caraibi sotto il sole pur di sostenere un’esperienza devastante e di resistere.
Ma, di fatto, potresti semplicemente dire, e con cognizione di te, alle 19.06: gabbia? no grazie.
pur non essendo mai stato chiuso in una gabbia.
Tuttavia c’è chi alle
19.06 potrebbe scrivere un annuncio in internet in cui dice:
Cerco qualcuno che mi chiuda in una gabbia, senza cibo e senza acqua. Astenersi perditempo.
E non è fantasia, perché c’era anche uno che ha risposto all’annuncio di un cannibale che cercava qualcuno disposto a farsi mangiare.
Poi, certo, il suo futuribile pranzetto, quando si è trattato di farsi mettere su un vassoio, rispetto al presente in un cui aveva risposto teoricamente di sì (perché la teoria lo solleticava) in un altro presente spostato più avanti ha pensato che tra il dire e il (farsi) mangiare c’è di mezzo il mare, mentre c’è chi si è fatto mangiare davvero, quindi nei due presenti, rispondo e diventare pranzetto, è stato coerente.
con questo cosa voglio dire?
che mi pare che tu dimentichi una cosa essenziale. E cioè che per quanto la variabili astratte, future e futuribili, possano essere moltissime, anche riguardo il fatto che magari un giorno ricomincerai a fumare o no, o fumerai la pipa, militerai nella lotta anti-fumo, te ne sbatterai le scatole o aprirai un negozio di tabacchi, se alle 19.14 una persona ti domanda cosa senti e cosa vuoi in quel momento probabilmente, immagino, sei in grado di dirlo.
E quindi se una persona ti dice: quello che voglio è questo e quello che mi piace è questo ti sta dicendo una sua verità, secondo la sua identità. E il fatto che nel mese di mai di poi possa cambiare idea (ma non è detto) non cambia questa sostanza.
se ti sta dicendo: io la penso così da sempre/la penso così da un mese, ma comunque la penso così e l’idea di fare sesso di gruppo non mi va per questa e quest’altra ragione ti dice quello che sente/vuole/sa giusto per sè. e queste sue affermazioni possono nascere non dall’inconsapevolezza quanto piuttosto proprio da una sua consapevolezza molto profonda, esperenziale, sensoriale, emotiva, razionale.
Così poiché la sua affermazione futuribile si trova nel presente, ed è nel presente che noi viviamo, se una persona ti dice:
io penso proprio che mai mi verrà il bisogno/desiderio di provare un’esperienza che non mi attrae in nessun modo
ti sta dicendo la verità. verità incontrovertibile, quella del sentire, anche se un giorno accadesse qualcosa d’altro di imprevisto.
Mi spiego? forse no, ma il concetto mi pare abbastanza ovvio.
Così, CB, tu allo stesso modo un giorno potresti rinnegare completamente lo scambismo e rivedere la tua personale esperienza con lo scambismo in una luce completamente diversa.
Ma che senso ha questo gioco futuribile? Quando, poi, in realtà è vero che gli esseri umani in certe cose si possono arricchire o impoverire, ma di fatto ci sono anche delle cose in cui non siamo bandierine. Ma non perché siamo chiusi, ma perché siamo noi stessi, seppure in un mondo che pullula di milioni di stimoli. E, mi ripeto, viviamo nel presente, percependoci nel presente in rapporto anche con la realtà, il nostro sentire, volere, sentire piacevole o spiacevole. Non solo di testa. ciao!
Cara LU, veramente non comprendo come arrivati al post 236 tu puoi ancora affermare: “Di fatto tu che ti consideri più aperto in verità non riesci a vedere per te una forma di coppia che consideri chiusa, e non riesci a vedere per te dei modus vivendi che non ti sembrano a te affini, quindi di fatto anche tu, secondo i tuoi parametri, sei una persona non veramente aperta”. Di fatto io non mi considero assolutamente “più aperto” di te in quanto perseguo una modalità di coppia diversa dalla tua. Chi tra noi è più aperto dell’altro potremmo verificarlo definendo i limiti entro cui vogliamo determinarne l’apertura e valutando la posizione di entrambi rispetto a questi limiti. Di fatto noi non solo non abbiamo mai fatto questo lavoro, ma ritengo che non sia neppure di nostro interesse farlo. La realtà è che noi stiamo considerando due modalità d’intendere la coppia che sono state definite da altri, in maniera generica, come “aperte” e “chiuse”, Se noi vogliamo definirle nell’ambito del nostro dibattito in modo diverso potremmo farlo senza problemi, io potrei appartenere alla coppia “chiusa” e tu “aperta”, se definiamo per “chiusa” quella che io perseguo ed ”aperta” quella che persegui tu. Non possiamo però effettuare continuamente passaggi di parametri perché il dibattito che ne scaturirebbe sarebbe ancora più incomprensibile. Di fatto io ho cercato più volte di chiarire questo punto d’incomprensione, ma evidentemente non sono ancora riuscito a chiarirlo adeguatamente, speriamo di riuscirci prima o poi.
Riguardo al fatto di ritenere che ogn’uno di noi si conosce meglio di chiunque altro, non credo ci siano dubbi, io sono pienamente convinto di sapere ciò che voglio. Sono altrettanto convinto però che la mia mente è partigiana nel narrare la realtà al mio “SE” e da ciò ne derivano molteplici dissonanze tra la realtà, il mio “SE” e la mia mente ed io non posso non tenerlo in considerazione lasciando perciò aperti spazi esplorativi altri. Ritengo che la consapevolezza nasca proprio da questo sentire. Se io mi soffermassi a considerare esclusivamente ciò che mi suggerisce la mia mente, le mie sensazioni, i miei sentimenti senza considerare l’oggettività della realtà e il mio “SE” profondo, sono convinto che ciò che ne scaturirebbe sarebbe una mancanza di consapevolezza cosciente.
Diversi anni fa ho letto un libro molto interessante dello psicologo statunitense Julian Jaynes intitolato: “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza” dove s’ipotizzava una spiegazione sull’origine della coscienza portando tra le altre cose, l’ipotesi che la “Odissea” fosse stata scritta a cavallo della fase di transizione da una mente che lo stesso Jaynes definiva “bicamerale” e quella attuale. Nella prima esistevano l’uomo da una parte che escogitava piani e dall’altra gli “Dei” che ordinavano il da farsi. Questo passaggio continuo tra un volere e l’altro si giustificava appunto con questa configurazione della mente divisa bicameralmente.
L’evolversi fisico dell’uomo lo ha portato ad una configurazione diversa del proprio cervello che ha significato il passaggio in una fase dove la “voce” degli “Dei” si è trasformata nel proprio “SE”, in quella voce interiore che ci richiama e ci permette di comprendere meglio la realtà. In pratica la comparsa della coscienza. Ho voluto riportare questa teoria perché la ritengo molto significativa per comprendere il senso che intendo riguardo alla propria consapevolezza. Io posso capire ed esperire la realtà, ma la trasposizione che la mente trasmette al proprio “SE” e come quest’ultimo interferisce col nostro comportamento che quindi risulta non propriamente conseguente con il nostro modo di consapevolizzarci. Credo che migliaia di anni di storia non possano essere così semplicemente cancellati da un nostro egocentrico sentirci, anche perché ho difficoltà a comprendere come sia possibile spiegare il senso della psicologia in un mondo d’individui consapevoli, così come tu l’intendi. Quando tu esprimi: “queste sue affermazioni possono nascere non dall’inconsapevolezza quanto piuttosto proprio da una sua consapevolezza molto profonda, esperenziale, sensoriale, emotiva, razionale”, io non riesco a comprendere dove tu posizioni la parte inconsapevole di NOI, come tu intendi la consapevolezza. Ritengo che le ragioni della psicoanalisi e più propriamente della psicologia nascano proprio dalla mancanza di conoscere l’inconscio, della distanza cioè tra ciò che comprendiamo di NOI e ciò che ci è sconosciuto ed inconsapevole appunto inconscia. Il rendere consapevole l’esistenza dell’inconscio, imparare a sentire questa parte inconsapevole e quello che la sottende, questo è, secondo me, “consapevolezza profonda”, questo significa “comprendere se stessi”, sapere che a me quella cosa mi appartiene o meno, non per un atto di fede in me, ma piuttosto per una consapevole posizione di conoscenza.
Io sono nato con alcune caratteristiche insite ed ho appreso una certa cultura etica che hanno segnato la mia “personalità” parzialmente personale ma nel tempo, il mio crescere mi ha suggerito di personalizzare questa mia condizione iniziale con valori più consapevoli che naturalmente costano molto in termini di analisi ed accettazione. Seguire la fede è facile, non comporta modifiche al proprio essere, significa semplicemente raccogliere giustificazioni ampiamente condivise. Sperimentare nuovi percorsi invece significa violentare i propri pregiudizi, vincere le resistenze ed i timori verso l’ignoto, superare il proprio egocentrismo, divenire in ultima istanza esseri sociali. In questa prospettiva io ritengo l’evoluzione, un percorso che ci può portare ad un rapporto esclusivo con il nostro partner oppure no, ci porta a dare un valore soggettivamente oggettivo e non soggettivamente soggettivo. Vorrei avere un rapporto di coppia non perché gli “Dei” l’abbiano scelto per me, non per una fede che mi è stata culturalmente imposta, ma per mia consapevole scelta.
Interessantissima discussione, ho apprezzato molto gli interventi di Marquito, ma non scrive piú?
É morto.