Ho appreso con orrore, indignazione, disgusto, senso di impotenza, di angoscia e anche di precarietà, la vicenda della signora Shalabayeva e della piccola Alua, meglio conosciuta come il “caso Kazako”.
Chissà perché ci si dimentica che, al di là del “caso”, vi è la vicenda umana di una donna e di una bambina prelevate nel cuore della notte da cinquanta uomini armati e la cui unica colpa sembra essere, allo stato dei fatti, di essere rispettivamente moglie e figlia del dissidente kazako Mukhtar Ablayazov.
Ho poi sfogliato a fondo i giornali per cercarvi quella che pareva una opportuna parola di comprensione, di condivisione, se non di denuncia, da parte delle cosiddette “quote rosa”, ma non l’ho trovata.
Che ne è della tanto palesata sensibilità al “femminicidio” (cattivo e discriminatorio neologismo) della Presidente della Camera e della radicale Ministro degli Esteri Bonino che, mi pare di ricordare, si è un tempo battuta per certi diritti della donna (mi verrebbe da dire che viene, prima di tutto, il diritto alla dignità e al rispetto della persona) e che ora sembra preoccupata unicamente di salvaguardare l’integrità del proprio Ministero?
Eppure, se questo non è “femminicidio”….che altro?!
Vorrei inoltre suggerire al Presidente Napolitano che il fatto di cui si parla rappresenta un imbarbarimento della vita civile molto più grave della quasi quotidiana e sconveniente diatriba Calderoli-Kyenge
Laura Trevisan
15/07/2013
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