Carissimi lettori,
eccomi qui a scrivere un’ altra lettera “a tema”, su un argomento molto sentito, almeno da quel che emerge in questo forum. e cioè la questione – tutta al femminile – sul riappropriarsi della propria dignità, libertà e autoaffermazione dopo che per tanto, troppo tempo, si è state soffocate e ostacolate da abusi di vario tipo, generati perloppiù da fattori culturali. Anche questa volta mi ritrovo a citare un altro libro famoso incentrato sulle problematiche delle donne, perchè in questi ultimi tempi si è parlato in questo forum delle tristi esperienze di donne che, lese fin dall’ infanzia in quella che è la loro dignità e in quello che è il loro valore come persone, da adulte sono diventate ragazze e donne infelici, vittime di aggressioni, di unioni deleterie, di situazioni soffocanti, di scelte infelici. Donne che, come me, si sono ritrovate in situazioni avvilenti perchè fin da bambine sono state sminuite e penalizzate. nel postare questa lettera ho ripreso il titolo di un libro che, per me, è stato illuminante da questo punto di vista, e che secondo me tutte le donne del mondo dovrebbero leggere:” Le brave ragazze vanno in paradiso. Le cattive dappertutto”, scritto da Ute Ehrhardt ed edito da TEA. è bene precisare che in questo caso per “cattive ragazze” non si intende quelle che fanno deliberatamente del male agli altri, che hanno un’ innumerevole quantità di rapporti sessuali promiscui e senza senso, quelle che calpestano persone, valori e principi pur di raggiungere i loro scopi. La descrizione di “cattive” si riferisce a quei soggetti femminili che, dopo aver preso pienamente coscienza del fatto che hanno pari diritti e pari dignità rispetto agli uomini, si adoperano attivamente per uscire da una condizione subalterna, spesso fatta di abusi e mancanza di riconoscimenti, se non addirittura di violenze psicologiche e fisiche. e in questo adoperarsi per la propria liberazione, la “cattiva ragazza” non obbedisce più ciecamente a quello che le viene imposto con la forza, ma si ribella a uno schema precostituito e trova da sola la sua strada, anche a fronte della disapprovazione generale da parte di chi “non se lo aspettava”. perchè ricordatevi che il liberarvi darà fastidio a molta gente, anche a coloro che credevate dalla vostra parte: genitori, congiunti, coniugi, fidanzati, amiche, ecc… Non aspettatevi approvazione e ammirazione quando cercherete di affermare quello che desiderate davvero, ANZI! La maggior parte delle persone che gravitano intorno a voi saranno spiazzate dal vostro cambiamento, dalla vostra ritrovata consapevolezza. ma voi andate avanti! perchè altrimenti sabotereste voi stesse, e non c’è cosa peggiore. Il libro di cui parlo mette anche mirabilmente in evidenza tutti quei piccoli aspetti quotidiani apparentemente innocui, e a cui noi donne siamo abituate da millenni di cultura maschilista, ma che in realtà sono il chiaro segnale di una svalutazione della donna universalmente accettata: l’ occupare meno spazio – rispetto a un uomo – quando ci si siede. preoccuparsi di sorridere e di essere gentili anche quando ci stanno facendo un grave torto. aver paura di litigare e alzare la voce quando dobbiamo difendere le nostre ragioni. trovare normale e naturale rinunciare ai nostri progetti e alla nostra carriera quando ci sposiamo e mettiamo su famiglia, come se da quel momento, per noi donne, non dovesse esistere altro che il marito, i figli e le faccende domestiche. il libro racconta anche di donne intelligenti, brillanti e capaci che hanno aiutato mariti mediocri a fare carriera senza prendersi alcun merito e passando per quelle che sapevano solo cucinare e rammendare i calzini. rimanere nell’ ombra, essere invisibili: sono i precetti del maschilismo, secondo cui la donna deve sempre e comunque ricoprire ruoli marginali per “non offendere e non fare troppo rumore”. Da questo punto di vista, secondo me è indicativo il fatto che tante donne, anche giunte a una certa età, continuano a darsi appellativi “ridimensionanti”: stellina, farfallina, ciocchettina, ecc… quasi a voler sottolineare la necessità di “non occupare troppo spazio per non urtare qualcuno”. beh, cari signori… io non ci sto! IO VOGLIO PRENDERMI QUANTO PIU’ SPAZIO POSSIBILE E SENZA PIU’ CHIEDERE IL PERMESSO! E non me ne frega niente se per alcuni, molti, sarò solo una stronza arrivista. meglio essere disapprovate ma FELICI, ve lo garantisco! e parlo per esperienza personale, in quanto “ex cara ragazza che subìva e basta”. spero che sempre più donne seguiranno il mio esempio, specie quelle che soffrono per una situazione di sabotaggio loro inferta. Noi vogliamo URLARE tutta la nostra rabbia e il nostro disappunto e vogliamo uscire allo scoperto. perchè ci si deve finalmente rendere conto, una volta per tutte, che la donna è prima di tutto una PERSONA, con una sua identità autonoma, un suo sentire, con i suoi sogni, le sue sofferenze, le sue aspirazioni. che vanno rispettate come si rispettano quelle di un uomo. così come la donna, AL PARI DELL’ UOMO, ha il diritto di sbagliare e poi di RICOMINCIARE. Non importa da chi deriva il sabotaggio ( padre-madre, fidanzato, marito, fratello, parenti, amici, compaesani ) o i motivi per cui – a loro dire – vi viene inferto. scordatevi la frase: “Lo faccio per il tuo bene”. Una cosa imposta contro la nostra volontà NON E’ MAI “per il nostro bene”, è un sopruso vero e proprio, care donne. ricordatevelo! e come ogni sopruso, va combattuto ed eliminato. un saluto a tutte le donne che vogliono cambiare, e a tutti gli Uomini – VERI – che ci capiscono e ci sostengono in questa battaglia.
Che fosse sentito molto qui, proprio no. Però capisco ciò che vuoi dire. anche se le ferite degne di essere tali, sono oramai purtroppo solo un “avere” .
sara, mi ha incuriosito questa tua frase “le ferite degne di essere tali..”.
e da quando in qua la sofferenza è motivo di “orgoglio” ? le ferite che subìamo nella vita secondo me sono il risultato, oltre che di sfortuna, anche di errori, di un’ impostazione sbagliata, di mancanza di sicurezza in sè stessi. sono perloppiù SBAGLI, insomma, a cui bisogna in qualche modo rimediare. La nostra cultura perbenista ha sempre riconosciuto a chi soffre o ha sofferto dei meriti in più rispetto a chi è felice e appagato della propria esistenza, e questa cosa non l’ ho mai capita più di tanto. raggiungere uno stato di gioia è frutto tante volte di intelligenza e di capacità fuori dal comune, e l’ apice del godimento è spesso la massima espressione di questo impegno. Vorrei un pò rivoluzionare le cose e introdurre un nuovo modo di vedere le persone felici: non più stronzi/e da invidiare e colpevolizzare, ma persone DA CUI IMPARARE.
Maria Grazia, prenditi tutto lo spazio che vuoi, ci mancherebbe altro! Unica osservazione: guarda che ‘sta roba gira dal 1968, adesso non gliene frega più niente a nessuno perchè si discute di altro (gay, trenini monogamici, transadozioni bizzarre, prolassi eugenetici: queste sono cose attuali che interessano alla gente, il resto sono argomenti da nonnave). Secondo me, devi cambiare letture: prova”Auto da Fè” di Canetti (lo ha letto avidamente anche il dr. Golem e si ricordava anche il nome del portiere, che peraltro adesso abita a 200 m da casa mia, perciò è roba fina), è una splendida introduzione al mistero femminile senza strabordare nel veterofemminismo e nemmeno nel neofemminilismo alla belga. Mi riferisco, ma non dovrei nemmeno dirlo, alla delicatissima figura di Terese (sposata Kien, se la memoria non mi falla). Ecco, direi che Terese è davvero una donna felice da cui imparare.
@MG Sinceramente non credo che nel 2016 le donne abbiamo meno possibilità di un uomo di realizzarsi.
Io giro parecchio e ovunque vedo donne ai posti di comando nelle aziende, ovunque. Più donne che uomini. Inoltre reputo le donne mediamente più intelligenti degli uomini.
Detto ciò sono concorde sul fatto che tante altre donne oggigiorno deve smetterla di fare le subalterne e aspirare a diventare un individuo indipendente, autonomo, capace di vivere appieno la propria vita.
C’è da dire però che c’è un substrato culturale difficile da togliere, tante volte la donna arrivata a 28 anni si sente realizzata solo se ha lo sposalizio con l’abito bianco e così via.
Spesso le ragazzine in tenera età sono viziate e trattate da principesse e questo le spinge poi a fare della propria vita un qualcosa di non proprio appagante. O meglio, a 28 anni un matrimonio può sembrare appagante, ma quando l’amore passa e si arriva ai 40 con un marito che non sopporti più e un lavoro che non ce l’hai l’insoddisfazione ti devasta.
Mi permetto però di farti un appunto, che in un certo senso riguarda anche me.
Se tu nella tua vita avresti trovato l’uomo dei tuoi sogni che ti avrebbe permesso di sposarti all’apice dell’innamoramento, probabilmente adesso non saresti con noi su questo sito. Alla fin fine, ti saresti adeguata anche te, noi in fondo siamo anche il nostro passato e quello che la vita in una certa misura ci ha propinato.
Quindi facile parlare di indipendenza nella tua condizione, non è altrettanto facile per esempio, per mia cugina che a 33 si sposa dopo una vita passata a sperare di sposarsi, perché vissuta sempre col mito della principessina, nella bambagia e nei vizi.
Spero di essermi spiegato.
Io stesso, magari non sarei quello che sono adesso se avessi avuto altra famiglia, altra situazione e altre fidanzate.
Come dicevo altro la mia indipendeza l’ho strappata alla vita coi denti, ma perché ho fatto di necessità virtù.
Qualora la mia famiglia fosse stata normale e le mie fidanzate meno stronze sarei probabilmente sistemato a 1k euro al mese pensando a come pagare il mutuo e i pannolini del figlio che la mia ipotetica fidanzata avrebbe insistito per fare senza una reale possibilità economica. Invece mi trovo a guadagnare bene, a costruire una casa senza bisogno di mutuo ma senza il supporto di nessuno nè di una comapagna.
Alla fine, sebbene ora le pensi come te, è tutto moooolto relativo.
ets, per me NIENTE è stato FACILE. che tu ci creda o no, tutto quello che ho nella mia vita me lo sono guadagnato con le unghie con il sangue e con i denti. niente mi è stato regalato! e, tra l’ altro, avrei avuto più di una volta nella vita l’ occasione di sposarmi o di accasarmi con uomini benestanti, a patto però di annullare me stessa. insomma avrei dovuto vivere la vita di un’ altra persona… sono cresciuta in una famiglia patriarcale ( dove quindi vigeva il mito del matrimonio e dei modelli tradizionali ), con un padre che dettava legge e una madre che taceva e obbediva ( cercando di convincermi a fare altrettanto ) solo perchè economicamente dipendeva da lui e quindi non aveva il coraggio di ribellarsi, e non avendo nè cultura e nè patente era impossibilitata a trovarsi un lavoro. tra l’ altro tutte le decisioni di mio padre derivavano da sua madre ( mia nonna paterna ) che aveva su di lui e sulla nostra famiglia potere decisionale assoluto, con un’ ingerenza e una prepotenza fuori da ogni logica. questa donna odiava me e mia madre e tutto quello che decideva, in realtà era solo per danneggiarci. quindi puoi ben immaginare le conseguenze. sia chiaro che non faccio questo discorso per accusare le madri e le nonne in generale, ma solo questo tipo di persone! e se a mio padre qualcosa che desideravamo ( ad esempio un corso di specializzazione o il lancio di un’ iniziativa commerciale ) non andava bene, non c’era assolutamente niente che io, mia madre o mio fratello potevamo fare. lui aveva già deciso tutto per me: mi sarei dovuta sposare con un “buon partito” che provvedesse al mio mantenimento e farci dei figli. e poco importava se lo amassi o no, o cosa io volessi davvero dalla vita. così, a 23 anni sono scappata di casa e ho condotto per molto tempo un’ esistenza indipendente. i maschi che incontravo mi consideravano una specie di virago pericolosa, e non una ragazza di cui innamorarsi e con la quale stare assieme. e tutto questo, SOLO PERCHE’ vivevo da sola e mi mantenevo! i miei mi imploravano di tornare a casa e si dicevano dispiaciuti. ma sapevo cosa mi aspettava se fossi ritornata ( umiliazioni, limitazioni e vessazioni continue ) e così ho tirato dritto per la mia strada, nonostante le grandi difficoltà. nel mentre, ho affinato le mie competenze professionali nei campi di mio interesse e ho arricchito la mia cultura; inoltre ho acquistato una casa di proprietà, che sarà la mia fonte di sicurezza per gli anni a venire ( destino di vita permettendo ).
Voi dite che il tema trattato in questa lettera è datato e superato. a me – anche leggendo le storie di tante altre donne – sembra più attuale che mai!..
Yog, gira e rigira ( Belgio, Italia o Spagna ) la storia è sempre quella: “Casa di bambola”. che poi con tutte ste bambole gommose ed ergonomiche che oggi si trovano dovunque, che bisogno c’è di chiudere a chiave dentro casa delle donne vere, con tutte le conseguenze del caso?? 😀
in ogni caso con la mia esigua figura, a conti fatti è difficile che io possa occupare molto spazio. se stessi in una banda di rapinatori, mi farebbero fare “la talpa” che si introduce nei minicondotti che portano alla cassaforte.
Comunque seguirò il tuo consiglio.. affiancherò ”Auto da Fè” alla lettura dei fumetti 🙂
però per dubbi e chiarimenti voglio potermi rivolgere all’ illustre consulenza dello specifico reparto presidiato dall’ autorevole assistenza Golemyogghiana! ciao!
Se non fosse stato per il simbolismo intrinseco che il nickname Golem si porta addosso, avrei preso quello dell’ebreo nano e malvivente Fischerle, col quale il sinololgo Kien passa delle interessanti vicende. Felice marito di Therese
quote “Le brave ragazze vanno in paradiso. Le cattive dappertutto”
noi cattivi ragazzi invece possiamo andare solo a Pattaya… ennesima discriminazione a favore del sesso femminile 🙁
https://www.youtube.com/watch?v=2_xqdUw7aIs
MG, “Autodafé ” credo sia l’unico romanzo di Elias Canetti (Nobel nel 1981. Bulgaro ma con passaporto Britannico) che dipinge con rara bravura le vicende umane di un sinologo quarantenne mitteleuropeo, Peter Kien, a Vienna durante la maturazione del fenomeno neonazista, mettendo in evidenza come, in un periodo relativamente breve, si sia compiuta la dissoluzione di tremila anni di razionalità occidentale. Epocale.
Canetti è il padre del mio cinismo. Epicuro la mamma, seppure dal punto di vista tassofilosofico non appartenga alla nota corrente ellenistica da cui ha preso il nome la categoria cui sono fiero di assimilarmi.
Hasta la vista chica
“Gli assetati d’amore sono tutti così simili tra loro, che per studiarli ne basta uno. Ancora piú semplice: se quell’uno siamo noi ”
Elias Canetti
@MG la tua storia ti fa onore 🙂