Da anni non guardo i cartoni animati moderni, sebbene da piccolo fossi un grande appassionato di robot giapponesi. Chi ha la mia età ricorderà Mazinga, Jeeg Robot e Goldrake e non potrà dimenticare quelle barriere di energia che difendevano, come un muro invisibile, le rispettive fortezze spaziali dagli attacchi nemici.
Barriere ugualmente resistenti e invalicabili le vedo spesso nella mia vita quotidiana e sembrano messe lì ad ostacolare il nemico; stavolta c’entrano poco campi energetici di fantascientifica fattura e il nemico forse è solo la diversità. Come spesso accade esagero e, volendo restare con i piedi ben piantati per terra, suppongo che non siano costruite intenzionalmente, ma certo si fa poco per rimuoverle, a volte nulla. Così un concerto, per chi ha una limitazione di movimento, può diventare un inferno, anche se il biglietto è stato pagato regolarmente, anche se la Costituzione e una legge quadro specifica neppure nuovissima dovrebbero garantire a chiunque libertà di movimento.
Anfiteatro Flavio, in quel di Pozzuoli. Una serata che minaccia pioggia, un concerto che si fa ugualmente. Arrivano delle carrozzine, è stato “studiato” un percorso apposito per raggiungere l’area riservata, ai piedi del palco. Ho adoperato le virgolette non a caso: chi l’ha studiato dovrebbe essere rimandato a settembre (ai miei tempi si usava ancora), o meglio ancora bocciato, magari sarebbe il caso di farlo tornare alle elementari ad imparare la geometria e poi la fisica; in seguito, un po’ di ricerca operativa con gli algoritmi per l’individuazione del percorso minimo con guasterebbe.
Un tratto da percorrere sul vialetto sconnesso, ma accessibile e, alla fine, momenti di inaspettato panico: fa la sua figura una discesa lunga e ripida, che creerebbe ansia a chiunque non sia abituato ai ripidi sentieri di montagna, per giunta oscura come una minaccia e, nel tentativo molto vano di aumentare l’attrito sulla pietra antica e levigata, ricoperta da pannelli di legno, semplicemente posati a terra, sovrapposti tanto da creare continue discontinuità. Impossibile affrontare da soli la sfida di una discesa da luna park e anche con l’aiuto dei volontari della Croce Rossa l’impresa resta ardua. Neppure una lampadina ad illuminare i visi rossi provati dallo sforzo e dalla paura di un ruzzolone. E una volta giù, un lungo slalom tra antiche rovine e pedane di metallo, prima di raggiungere il palco, esattamente dalla parte opposta dell’anfiteatro. Ce la fanno, tutti insieme uniti
dal disappunto. Ciliegina sulla torta, per gli accompagnatori neppure una sedia.
Qualcuno, intanto, canta del meraviglioso cielo d’Irlanda; io osservo meditabondo il mio di cielo, sotto il quale è stata mortificata la dignità di uomini e donne che vorrebbero essere uguali a tutti gli altri e autonomi nel limite massimo delle possibilità concessegli da Dio. E invece, senza le braccia forti di qualcun altro, sarebbero rimasti a guardare con orrore e impotenti la discesa verso l’oscuro budello.
dr. Luigi Civita
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