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Lettera pubblicata il 16 Settembre 2011. L'autore ha condiviso 16 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore Leonardo88.
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Rossana
Le mie riflessioni vogliono essere proprio provocazioni e vogliono far riflettere. Mi fa piacere che stuzzicano l’attenzione di qualcuno.
Ci sono cose che forse è bene precisare:
-Quando dico che uno in fondo cresce quando soffre non lo intendo in senso lato ovviamente. Intendo il crescere in virtù dell’amore “maturo”. Perchè in senso lato logicamente ogni esperienza in ogni ambito accresce la nostra conoscenza.
-Quando parlo di amore romantico non mi riferisco a quella modalità di vivere l’amore come un amore ovattato e sdolcinato e pieno di rispetto. Intendo l’idea di amore di coppia in senso generale. Anche i più egoisti e i più superficiali sono influenzati dall’amore romantico. Anche chi dice di voler vivere la relazione con nessuna aspettativa, semplicemente vivendola.. anche loro sono influenzati. E’ proprio la modalità della relazione uomo-donna che è caratterizzata da questo mito romantico.
-Quando si parla di amore sessuale sembra quasi di fare un torto a qualcuno. Sembra quasi che il dire che l’amore si basa sulla sessualità sia un’eresia. Ma questo perchè noi non vogliamo trattarci come delle “bestie”. Ci teniamo a conservare una certa dignità spirituale. Ma che cos’è l’anima? Dov’è il luogo dell’anima? L’ideologia teologica è troppo determinante e il solco che ha scavato riverbera nella coscienza di ognuno di noi.
Se si capisse che forse il luolo dell’anima è anche quello della coscienza e che a sua volta il luogo della coscienza non sta nel nostro cervello ma nella relazione tra io-tu-mondo, forse le cose potrebbero essere viste sotto un’altra luce.
Io personalmente non mi vedo molto lontano dall’animale.
E con ciò non intendo degradare la posizione dell’uomo nel cosmo.
Piuttosto intendo innalzare quella dell’animale.
O meglio della vita in generale.
Cerca su google chi è il bonomo.. =)
per me l’attuale struttura sociale che codifica l’amore (il matrimonio, con tutte le sue implicazioni – in parte già superate di fatto) volgeva a difendere la donna e a proteggere i figli, dando all’uomo una relativa sicurezza che fossero figli suoi (anche se pare che in media un figlio su quattro non lo sia).
ora la donna non ha più bisogno di difesa economica (personalmente non accorderei nemmeno la reversibilità della pensione a chi già possiede abbastanza di suo) mentre i figli sono tutt’altro che protetti, fra genitori che, dopo averli voluti (in caso contrario, adesso si possono benissimo evitare), li trascurano oppure se li contendono a suon di battaglie legali.
in una mia personale visione utopica, partendo dal presupposto economico necessario per crescere i figli e dall’evidenza che se ne mettono al mondo sempre meno, vuoi perchè le donne tendono ad impegnarsi più del necessario nella carriera o per l’instabilità generale che rende i matrimoni precari (vere trappole per l’uomo), mi piacerebbe che la libertà in amore potesse essere assicurata a tutti da versamenti allo stato, tipo quelli che si fanno all’INPS, di modo che lo stato potesse riversarli in egual misura su ogni figlio che abbia meno del necessario, da parte di madre e/o di padre.
ai genitori lascerei piena libertà di stare o di non continuare a stare insieme, fermo restando un periodo iniziale di 6-8 anni dalla nascita di ognuno dei figli. in tal modo si potrebbe ottenere un certo grado di stabilità e di sicurezza economica per “famiglie a termine”, libere di non esserlo se intendono continuare a restare insieme.
questo pensando essenzialmente al benessere dei figli, che sono oggi quelli più penalizzati. e anche in considerazione del fatto, ormai direi molto evidente, che esistono uomini e donne monogami e uomini e donne che non potrebbero mai esserlo… la vita è oggi molto più lunga di un tempo, quando si giurava “finchè morte non ci separi”, giuramento che non avrebbe dovuto avere mai alcun valore legale visto che si basa sulla buona volontà e sul sentimento, che spesso non è in grado di rispettare alcuna regola.
Caro Leonardo,
innanzitutto ti ringrazio per avere chiarito cosa intendi con la parola “romantico”. Forse mi ha tratto in inganno il titolo della tua lettera, che era quanto mai assertivo e categorico, ma mi fa molto piacere sapere che sto parlando con una persona pacata, equilibrata e tollerante.
Se ho ben capito i nostri punti di riferimento sono molto diversi (io sono un inguaribile individualista, che trae diletto “perfino” dalla lettura di Stirner). Quello che vorrei farti capire è che certe utopie, a una persona dotata di temperamento romantico, possono apparire semplicemente delle distopie. A parte questo, non si deve pensare che i cosiddetti “romantici” siano dei poveri illusi che idealizzano oltre misura l’oggetto del proprio amore e che sognano un rapporto idilliaco, privo della benché minima sbavatura e assolutamente perfetto. I cosiddetti “romantici” (ne ho già parlato in un altro forum)sono persone che avvertono con particolare intensità il richiamo del numero 2 e della celebre “coniunctio oppositorum” di junghiana memoria. Queste persone si realizzano completamente nella vita di coppia e traggono la loro felicità e il loro benessere proprio da queste “catene”, che a te paiono così fastidiose e così intollerabili.
Perché, allora, si dovrebbe parlare di un'”illusione nociva” ? 🙂
Luke il punto è proprio questo:
siamo davvero così sicuri che l’Uomo sia davvero monogamo?
La mia tesi è che l’Uomo è quello che un determinato corso di eventi lo hanno portato ad essere.
E se fosse monogamo “scientificamente” (aimhè sembra che la scienza sia il nuovo Dio) come si spiega il tradimento? Come si spiega la danza delle coppie?
La dimensione psicologica..quindi mi stai dicendo che si gioca tutto dentro il cervello? Come se fossimo delle macchine i cui neuroni stimolati dall’esterno reagiscono meccanicamente. Il cervello è dipendente da una coscienza che sta al di fuori di esso, nella relazione con il mondo. Modificandola si modificheranno anche le reazioni neuronali.
Parli di natura umana, ma la natura umana è proprio quella facoltà di inibire gli impulsi in favore di una possibilità di progettarsi la vita. Lo deve fare per sopravvivere.
Come te lo spieghi il nichilismo di oggi?
Quella progettualità congenita deve fare i conti con numerosi problemi:
-di ordine religioso (la promessa di una FUTURA vita eterna è sempre meno presa sul serio)
-di ordine economico (crisi finanziaria, precarietà del lavoro, scarse prospettive per i neolaureati)
-di ordine politico (se prima si riponeva la propria speranza nelle utopie politiche oggi invece sembra che più di una collera per le loro demagogiche assurdità non ci sia nulla)
Dico questo per cercare di spiegare come sia fondamentale la dimensione della progettualità.
E qual è la genesi di questa facoltà peculiare dell’Uomo?
La sua NECESSITA’ di CREARSI un mondo che tuttavia è sorretto da un mondo naturale.
Ma quindi se l’uomo non dipende interamente dalla natura, ma da una sintesi tra il culturale e il naturale, è dire che se fosse necessario si potrebbe creare un nuovo paradigma esistenziale.
Siamo alla fine di un ciclo. Siamo ancora troppo determinati da schemi ormai superati e nello stesso tempo vediamo che le cose stanno cambiando e cerchiamo di adeguarci. Le relazioni quindi sono emblema di questa condizione esistenziale.
Tutti noi quando ci innamoriamo speriamo che duri in eterno. E se prima questo accadeva più frequentemente ora se si supera la soglia dei dieci anni sembra di avere sfondato il muro dell’eternità.
E’ vero che tutto cambia e tutto si trasforma e che bisogna accettarlo. Ma allora perchè temere un totale cambiamento volto magari ad un migliore benessere?
Ma ovviamente non è una cosa che si decide a tavolino, stilando un elenco delle cose da cambiare. Noi ovviamente un ipotetico e fantascientifico cambiamento non lo vedremmo nemmeno. tenderemmo comunque a ripetere schemi che oramai fanno parte di noi. Viviamo nel nostro mondo e non potremmo sostituirlo cosi, con un idea, qualunque essa sia.
comunque ogni parola priva della situazione non ha senso. Il senso lo si costituisce con una relazione ad un determinata situazione. Quando parlo di parola parlo dell’eidos della parola, di una parola pre-verbale.
Caro Marquito.
Il titolo è ovviamente una provocazione. Innanzitutto mi scuso per l’ampiezza delle mie risposte ma ci tengo a fare chiarezza sul mio pensiero.
Ammetto che ho scritto questa lettera abbastanza di getto e quindi non ho badato molto né alla forma né a tutti i possibili fraintendimenti. Nè potevo prevedere gli sviluppi.
Capisco perfettamente il tuo pensiero e lo condivido, da inguaribile romantico. Perchè si, di fatto io sono proprio ciò che critico. Ma vorrei non esserlo. O meglio credo che oramai viviamo in un mondo in cui è quanto mai un rischio esserlo. E’ nocivo in quanto quando ci si scotta si corre il rischio di soffrire più di quanto si dovrebbe se si capisse che in fondo l’amore è una dolce dipendenza. Ma come tutte le dipendenze bisogna stare attenti a non esagerare con la dose. Se mi sparo nell’anima una dose massiccia di amore poi nell’eventualità della sua perdita soffrirei (soffro) le pene dell’inferno. Di fatto i romantici sono avidi di amore. La mia fantasticheria è in fondo incentrata sul tentativo di azzerare il rischio di soffrire questa dipendenza. Non fraintendere però, la dipendenza non è negativa. Tu non sarai d’accordo da buon individualista, ma io credo che l’Uomo vive proprio grazie alle dipendenze. La vita stessa è un circo di individualità-dipendenti. Io scorgo nella vita una tendenza all’unione.
Applicare questa mia teoria alla mia vita sarebbe un assurdo. Non potrei e la rifiuterei. Ma se mi hai seguito in tutti i miei magari intricati ragionamenti capisci il perchè.
Comunque in questa risposta ho utilizzato il termine romantico indicando un tipo di persona che tende ad amplificare ulteriormente l’idea romantica (per l’appunto!) dell’amore.
Altrove ho invece indicato che con il termine romantico intendo la generica modalità di rapporto monogamico uomo-donna. E’ da quest’ultimo significato che prende le mosse la mia critica-fantastica.
Comunque sia questo mio scenario utopico non trova appoggio dal mio Io-mondano.
Lo trova solo dal mio Io-immaginativo, ovvero dall’ipotetico Io figlio di quella stessa utopia.
Diciamo che l’annientamento del romanticismo appartiene ad un utopia che definirei pregnante, che implica un cambiamento radicale di molte precomprensioni.
Leonardo,
visto che insisti sull’ “animalità” dell’essere umano, a mio avviso la sessualità rappresenta l’aggancio, comune a tutti, imprescindibile necessità biologica.
se la relazione si ferma a questo stadio, ha necessariamente durata limitata. se invece questa è la premessa per una relazione più profonda, l’unione spirituale che si può raggiungere è il collante che può sfidare il tempo.
Leonardo,
secondo me, non ci si può sparare nell’anima una dose massiccia d’amore. l’amore da dare cresce e si sviluppa in noi autonomamente, magari anche senza che si possa rendersene conto appieno. esplode, poi, quando trova su chi posarsi, essendo ricettivo ai segnali che lo possono catalizzare.
come credo di aver già espresso, tutto quello che si può fare è tentare di tenerlo il più possibile a freno, analizzando a fondo, criticamente, l’obiettivo, prima di lasciarsi andare alle emozioni.
a seguito della fase di “innamoramento”, che non si sceglie, subentra quella che dovrebbe essere della ragione, e cioè l’accettazione o il rifiuto della persona in questione.
decidere d’amare è sempre, più o meno annebbiato, un atto cosciente della volontà. ed è per questo che quando una qualsiasi storia finisce male la colpa è di entrambi i soggetti coinvolti, se non altro per l’errore in cui si è caduti nella scelta.
Rossana.
Non so.
Si certo, dopo la fase dell’innamoramento si stabilisce un prendersi cura reciproco. Si edifica insieme la vita. Ci si abitua a certe abitudini. Questo perchè si ha la necessità di trovare un equilibrio. Poi chiaramente ci si affeziona a queste cose. Ci si affeziona alla persona e alle abitudini.
Però ognuno di noi è governato da due tendenze: una che mira a trovare una stabilità, l’altra che invece tende al movimento. Riuscire a trovare un giusto equilibrio tra queste due tendenze in una coppia è molto difficile.
La riuscita di una relazione per me è trovare insieme un equilibrio. Poi ci sono temperamenti (come il mio prima della metamorfosi) che per una questione ideologica starebbero insieme tutta una vita anche sacrificando il proprio io. Forse anche un po’ per paura e pigrizia. Paura di non trovare un’altra persona, pigrizia perchè ciò comporta un certo mettersi in gioco. E anche se due persone di questo temperamento si trovassero comunque non vivrebbero bene la relazione se non soddisfacessero quelle due tendenze.
Quindi, finchè non si trova un equilibrio tra le due tendenze (cosa molto difficile) l’alternativa potrebbe essere quella di tenersi in movimento. Il ciò non vuol dire vivere rapporti superficiali. Al contrario vivere le persone senza porsi all’interno di una relazione. Senza formalità e senza catene. E senza possesso. E’ questa idea di proprietà che non mi spiego. Perchè abbiamo bisogno di considerare una persona solo nostra? Solo per la famiglia? Perchè altrimenti ci sarebbero rapporti troppo promiscui in cui è difficile stabilire dei ruoli all’interno della famiglia? E di conseguenza all’interno di un sistema economico? O per altri motivi? Tutti noi siamo influenzati da questa idea di possessività. Poi ci saranno varie sfumature, vari livelli, ma tutti sentiamo il bisogno di possedere l’esclusiva sull’altra persona. Sarebbe curioso riflettere sulla genealogia della possessività amorosa.
In realtà questo lo si potrebbe estendere al concetto di proprietà in generale. Nemmeno le cose si possiedono a mio parere. Però la nostra società ci impone il possesso. Viviamo per il possesso. Abbiamo bisogno di soldi per acquistare il possesso di cose che in realtà ci appartengono solo in una dimensione virtuale, fantastica.
Ciao a tutti 🙂
Io credo che non si cresca soltanto alla fine di una storia, ma assolutamente anche durante. Certo, possono esistere delle relazioni disfunzionali che ci fanno implodere invece che espandere, ma in generale ogni situazione che attraversiamo diventa un bagaglio di esperienza, e la nostra “educazione sentimentale” (connessa anche allo scoprire cose nuove su noi stessi), che è cominciata da quando eravamo piccoletti, e magari abbiamo provato simpatia per il compagno o la compagna di asilo, e siamo stati accolti o rifiutati, abbiamo accolto o rifiutato, non ha vissuto degli step level 1, 2, 3 soltanto quando le storie sono finite, ma sicuramente anche durante la condivisione emotiva, e di quotidianità con l’altro/a. Perché comunque accumuliamo sempre esperienze e se le relazioni d’amore di solito solo un terreno di forte accumulo è anche per l’intensità di emozioni che si provano. Anche solo per il fatto che bere un caffé o vedere un posto con la persona che ami provoca emozioni più forti che andare in gita per le pignatte o bere un caffé con un collega ics parlando del tempo. Ciò non significa che non possiamo emozioni, di diversi tipi e livelli, naturalmente, anche alla gita della pignatta o al caffé al bar a seconda.
Per quanto riguarda la dipendenza emotiva: la dipendenza emotiva e affettiva nel senso “deleterio” del termine è qualcosa che può condizionare l’esistenza cercando nell’altro la giustificazione… di se stessi. Può diventare qualcosa che non differisce molto dalla dipendenza da sostanze, dal gioco et similia. Alcuni, è vero, per un lungo o breve tratto della vita possono non cogliere la differenza. Ma di per sè il fatto di provare e condividere emozioni particolari con persone particolari non mi sembra rappresenti un problema di dipendenza. Sono contenta e provo un’emozione positiva quando mi chiamano le mie amiche più care, sono contenta e sto bene se vado con loro a fare una passeggiata o facciamo una bella chiacchierata davanti ad una tazza di the, ed è naturale provare una forte empatia anche in caso di condivisione di esperienze più drammatiche. Loro, insomma, sono importarti per me, e io sono importante per loro. Tuttavia ciò, riconoscere l’importanza di qualcuno come presenza positiva nella mia esistenza non mi sembra sintomo di dipendenza. E non capisco perchè ciò, quindi, non possa avvenire anche nei sentimenti d’amore. Avrei potuto vivere anche senza conoscerti e fare una serie di esperienze con te, ma sono più contenta di averti incontrato e di condividere una serie di esperienze e sensazioni con te non mi sembra dipendenza. E’ chiaro che se amiamo qualcuno il fatto che ci sia o non ci sia, poter vedersi o no, vivere un periodo di serenità o di discussioni cambia il nostro umore, ma di per sè ciò mi sembra naturale. Siamo esseri umani e proviamo emozioni. Continuamente. E non solo nei rapporti interpersonali.
Se stiamo male quando arriviamo alla dipendenza in senso deleterio stiamo male anche quando però viviamo con il freno a mano, e non ascoltiamo le sensazioni del presente. E forse l’essere umano, pur imparando il fatto che le storie possono finire, vive con piena gioia l’innamoramento quando non si pone il problema di cosa succederà alla fine ma vive nel suo presente anche “uno spirito di eternità”. In fondo anche gli anziani teoricamente molto più vicini alla fine se pensano alla vita e non alla morte vivono molto meglio e con gioia il loro presente.
Per quanto riguarda la monogamia: non credo sia solo un fatto culturale. Esistono i veri monogami come esistono coloro che non sono portati per la monogamia. Le ragioni personali per un aspetto o l’altro non sono credo facilmente generalizzabili. Non dubito che possano esistere anche dei non monogami contenti. Ci sono però anche persone che non riescono a concedere e concedersi la monogamia anche per il terrore di investire i propri sentimenti su una sola persona, come se fossero al casinò e temessero di puntare tutto un su un numero solo che però se poi non esce? Così passano la vita a fare una puntatina su altri numeri, ma anche disperdendosi sui carrè, cavalli e già che ci siamo pure il rosso il nero. Con la sensazione però, più o meno consapevole, di “disperdersi” in continuazione. E se è vero che il sesso è importante, non è però il solo fattore che determina il bisogno/l’esistenza di più relazioni. (scusate se generalizzo, la fretta non mi aiuta nel formulare i concetti che non vogliono essere generalizzati, ma solo per citare degli esempi). Le persone tradiscono per varie ragioni, anche per il loro modo stesso di vivere situazioni percepite come frustranti, ma non per la natura monogamica del rapporto, e per insicurezza personale (idem) ecc. sarebbe quasi “rassicurante” se il problema delle crisi delle relazioni fosse solo che in realtà l’essere umano (maschio o femmina che sia) avrebbe di base una vivacità sessuale o una curiosità che non può convivere con un concetto monogamico. In realtà la maggior parte delle persone soffre quando una relazione importante fallisce e ciò non credo che sia solo perché siamo schiavi di un “ideale romantico” ma perché comunque anche in una società libera in cui non fosse necessario legarsi a qualcuno in particolare la stessa natura umana porterebbe (non dico tutti) a stringere legami emotivi più forti e intensi con alcuni soggetti piuttosto che con altri nel corso della vita, per una serie di variabili, e, al di là anche di un piacere fisico “espanso”, a provare diversi gradi di affettività e aspettativa nei confronti di alcuni legami piuttosto che altri. Paradossalmente, intendo dire, a livello emotivo ciò non impedirebbe, probabilmente, di scoprire dentro di sè sensazioni di esclusività.
Mi sa che in generale chi ha una tendenza monogamica prova più piacere e serenità e benessere a “concentrare” le sue energie su un rapporto solo che a disperderle.